martedì 29 maggio 2012

Anselmo d’Aosta


Nato nel 1033 ad Aosta e morto nel 1109 a Canterbury (ove divenne arcivescovo), fu discepolo di Lanfranco di Pavia. Le sue opere principali furono: Monologion, Proslogion, De grammatico, De veritate, De libertate arbitri, De casu diaboli, Epistola de incarnatione Verbi, Cur Deus homo, le orationes e le mediationes.
L’opera di Anselmo acquista un particolare significato nella storia del pensiero medioevale soprattutto per il compito assegnato alla ratio e alla dialettica nell’approfondimento della speculazione dogmatica. Egli è all’inizio di un processo che porterà all’elaborazione della teologia come scienza. Per tale motivo venne considerato il padre della scolastica. Anselmo non vuole subordinare la fede (come fanno i dialettici moderni) alla dialettica, e non vuole nemmeno negare la ratio in nome della autcotoritas, vuole, semmai, affermare il peculiare ed ineliminabile compito della ratio per enucleare tutta la ricchezza del patrimonio dogmatico accettato dal credente per semplice fede. La ratio fedi, che l’uomo deve intendere, ha il suo fondamento nella stessa ratio divina ( la ratio divina=Verbo di Dio ). Ratio divina che si manifesta nella rivelazione. La ratio fedi è dunque una ragione oggettiva (rivelazione) che è compito dell’uomo penetrare e comprendere con la propria ragione. La ragione dell’uomo trova però il suo fondamento nella ragione divina, per tale motivo l’uomo può cogliere le ragioni necessarie. Bisogna però precisare che per tale motivo la ragione non esaurisce mai la fede, infatti la comprensione misterica diverrà totale solo dopo la morte. Per Anselmo non vi è una distinzione tra filosofia e religione, in quanto entrambe si risolvono nella ricerca e nel godimento del bene. Tra le opere più importanti di Anselmo, oltre all’Epistola de incarnazione Verbi (dove si approfondisce il tema della incarnazione e della redenzione) si hanno il Monologion e il Proslogion. Nel Monologion, Anselmo, vuole dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio e la trinità. I Vari argomenti del testo si riducono alla constatazione di una gerarchia oggettiva di valori implicante l’esistenza di un valore assoluto del quale tutti gli altri partecipano. Se vi sono cose buone deve esistere un summe bonum dal quale tutte le altre cose traggono fondamento. Da ciò si vede l’influenza platonica. Il Proslogion presuppone e semplifica le conclusione del Monologion. Anche in tale testo la dialettica riveste un ruolo preciso e l’ascesa non può essere ridotta ad una pura intuizione mistica. Anselmo vuole, anzi, che il suo argomento abbia valore per chi non ha fede, per il non credente. L’argomento del Proslogion è il cosiddetto argomento ontologico: l’essere del quale non può pensarsi nulla di più grande non esiste solo nel pensiero, ma anche nella realtà. Sia il credente che il non credente con la parola Dio intendono qualcosa di cui non si può pensare qualcosa di più grande. Ma l’essere di cui non si può pensare nulla di più grande include, per essere veramente il più grande, la sua esistenza nella realtà. Tale argomento per Anselmo doveva convincere anche l’ateo, ma già un suo contemporaneo, il monaco benedettino Gaunilone, nel suo Liber pro insipiente, critica la prova di Anselmo sostenendo che ciò che è pensato come il più grande non necessariamente esiste: altrimenti dovremmo dare ragione a chi, definendo le isole fortunate come le migliori di ogni altra terra conosciuta, affermasse, in base a questa definizione, che esse esistono realmente. L’esistenza non può, pertanto, accertarsi dalla definizione di un concetto, ma deve essere provata per altre vie ( per fede o per esperienza). Anselmo, nel suo Liber apologeticus adversus respondentem pro insipiente, che l’argomento si applica al concetto di un solo essere, perché uno solo può essere ciò di cui non può pensarsi nulla di più grande.

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