sabato 26 maggio 2012

I culti maya

Cerimonie di fine anno nello Yucatan


I Maya furono uno di quei popoli che, da semplici agricoltori, si sono evoluti fino a creare una grande società. Per compiere questa mirabile trasformazione hanno dovuto concepire, come tutte le altre culture, una religione superiore e una concezione dello stato straordinario, che hanno prodotto una società stabile per almeno mille anni. La religione maya intendeva rispondere a interrogativi circa l’origine del mondo e lo scopo dell’uomo sulla terra. Intendeva dare la speranza di una vita ultraterrena e le direttive da seguire nei  rapporti dell’individuo con la famiglia, la società e gli dei. La religione maya si rivolgeva ai problemi centrali ed eterni della condizione umana nelle società civili: potere, giustizia, uguaglianza, scopo individuale e destino sociale.
Per questo popolo non aveva senso parlare di natura animata e di natura inanimata, poiché per lui tutto era vivente. Il cosmo dei maya era popolato da una miriade di esseri, di divinità e di mostri, ai nostri occhi, esotici. Il mondo fisico era in perpetuo interazione con quello sotterraneo e quello astrale, conseguentemente gli atti e le opere umane avevano ripercussioni nel mondo divino. In altre parole, l’ordine del cosmo non era accidentale o distante dagli affari umani. Così come il terreno per essere fertile e dare le preziose pannocchie di mais aveva bisogno dell’operato dell’uomo, allo stesso modo, per i maya, la continuità del benessere dell’universo presupponeva la partecipazione attiva della comunità umana attraverso il rito. Il mais non poteva crescere senza essere coltivato e il cosmo richiedeva sacrifici di sangue per assicurare la vita.
Con la discesa dei messicani in territorio maya i sacrifici cruenti aumentarono di intensità e di numero. Alle vittime, poste sul disco del Chac-Mool, veniva strappato il cuore, che ancora pulsante, veniva elevato al cielo per divenire offerta suprema alle divinità.
Durante il periodo classico, il cuore della vita dei Maya era il rito del salasso. David Freidel e Linda Schele, a tal riguardo scrivono che

“offrire il sangue del proprio corpo era un atto di devozione che ricorreva in tutti i riti, dalla nascita dei bambini alla sepoltura dei morti. Questo atto poteva essere semplice, come offrire poche gocce del proprio sangue, o estremo, come la mutilazione di varie parti del corpo per produrre un abbondante flusso di questo prezioso liquido. Il sangue poteva essere cavato da qualsiasi parte del corpo, ma le fonti più sacre erano la lingua per uomini e donne e il pene per gli uomini. Le rappresentazioni di questo atto scolpite sulle stele raffigurano i partecipanti che si fanno passare nella ferita cordicelle dello spessore di un dito per dirigere il flusso del sangue verso fogli di carta. Gli uomini, una volta perforati i genitali in questo modo,  avevano l’abitudine di ruotare su se stessi in una specie di danza rotante dei dervisci, che faceva scorrere il sangue su lunghi striscioni di carta o di tessuto legati al membro ferito.  L’intento di questi grandi rituali catartici era la ricerca della visione, l’apertura di una porta sull’Oltremondo, attraverso il quale si potessero invitare dei e antenati in modo che gli esseri di questo mondo potessero comunicare con loro. I Maya consideravano questo processo come un modo per dare la vita al dio o all’antenato, consentendogli di assumere una forma fisica su questo piano dell’esistenza. La ricerca della visione era l’atto centrale  del mondo maya. La pratica del salasso si svolgeva non solo nei templi dei potenti, ma anche sugli altari dell’umile villaggio, com’è attestato dalla presenza dell’ossidiana, uno degli elementi principale del rito, in molti siti di antichi villaggi”.

Quando il monaco Diego De Landa si recò nello Yucatan, il rito del salasso veniva ancora abbondantemente praticato, sebbene molti elementi della tradizione maya classica erano andate perdute: le città erano state abbandonate, le piramidi stavano sempre più sprofondando nella foresta e il sistema politico delle città-stato, con a capo un sovrano, era crollato. Nello Yucatan, inoltre, si erano diffusi nuovi culti e nuove divinità, a seguito della conquista tolteco-messicana.
La Relazione sullo Yucatan rimane però un testo dalla fondamentale importanza etnologica, in quanto è una testimonianza di prima mano dalla notevole imparzialità.
 In occasione di tutte le cerimonie religiose più importanti che si tenevano nel corso dell’anno, ogni oggetto o persona che avesse il benché minimo rapporto con il rituale veniva dipinto di azzurro.
Il francescano De Landa descrive, in maniera dettagliata, le cerimonie che nel 1560 si compivano nello Yucatan alla fine di ogni anno, durante il periodo dei cinque giorni senza nome. Un anno iniziava, per una strana coincidenza dei loro calendari o con il simbolo Kan, o con il simbolo Muluc, o con il simbolo Ix o, infine, con il simbolo Cauac.  
Questi quattro simboli indicavano quattro giorni del loro mese di venti giorni. Ogni giorno aveva un suo nome, un suo glifo e un suo significato.
Diamo qui di seguito il significato dei nomi dei loro venti giorni, per poi vedere quale cerimonie i Maya svolgevano alla fine di ogni anno per assicurarsi la benevolenza delle divinità che presiedevano l’anno successivo.

1. Kan = Lucertola;
2. Chiccan = Serpente;
3. Cimi = Morte;
4. Manik = Cervo;
5. Lamat = Coniglio;
6. Muluc = Acqua, Pioggia;
7. Oc = Carne da mangiare;
8. Chuen = scimmia;
9. Eb = Vegetazione;
10. Ben = Mais verde, canna;
11. Ix = Giaguaro;
12. Men = Uccello;
13. Cib = Falco;
14. Caban = Terremoto;
15. Ezanab = Coltello, lama;
16. Cauac = Temporale, tuono;
17. Ahau = Fiore;
18. Ynix = Coccodrillo;
19. IK = Luna, vento, spirito;
20. Akbal = Casa.

Il simbolo Kan veniva, dai maya, associato al punto cardinale posto a sud.  Il simbolo Muluc era associato all’oriente. Il simbolo Ix indicava il nord. Infine, il simbolo Cauac era connesso all’occidente.
Riportiamo il resoconto di De Landa della cerimonia in onore del nuovo anno iniziante con il giorno Kan:
In tutti i centri abitati dello Yucatan c’era l’usanza di erigere, uno di fronte all’altro, due mucchi di pietre ai limiti esterni delle località ed il corrispondente delle quattro parti della stessa, e cioè a oriente, occidente, settentrione e mezzogiorno, per la celebrazione delle due feste dei giorni infausti che ogni anno essi celebravano come descritto qui di seguito.
Nell’anno di Kan eras auspice Hobnil e, secondo quanto dicevano, presiedevano entrambi alla parte di mezzogiorno. Quest’anno facevano un’immagine cava di argilla del demone che chiamavano Kan-u-uayeyab e la portavano ai mucchi di pietre a secco che avevano costruito nella parte sud della città.
Sceglievano un notabile nella cui casa veniva celebrata in quei giorni questa festa, in occasione di un demone che chiamavano Bolon-Zacab, che veniva collocata nella casa del suddetto notabile in un locale appositamente preparato a ricevere il pubblico affinché tutti potessero recarvisi.
Ciò fatto, si riunivano il sacerdote, i nobili e gli uomini della città e si recavano molto devotamente in processione dove avevano collocato la prima statua, dopo avere spazzato accuratamente la strada ed averla addobbata con archi di foglie; ivi giunti, il sacerdote la incensava usando in tale occasione il copale e 49 grani di mais macinato mescolati insieme. Di questa misura deponevano un pizzico per ciascuno sul braciere del dio e così lo incensavano.
[…] Incensavano l’immagine sacra, decapitavano una gallina e ne veniva fatta offerta al dio.
Dopo di ciò collocavano la statua su una portantina chiamata Kantè e le ponevano accanto un’immagine alata simboleggiante l’acqua; anni come questo dovevano essere favorevoli (anche se) le immagini alata erano dipinte e rese spaventose. Così le portavano con molta allegria e danze alla casa del notabile dove già si trovava l’altra statua di Bolon-Zacab.
Dalla casa del notabile anzidetta veniva portata al sacerdote ed ai nobili sulla strada una bevanda fatta con 415 grani di mais tostato[…]e tutti ne bevevano; giunti di fronte alla casa del notabile collocavano quest’immagine di fronte a quella del demone che avevano lì e le rendevano molte offerete di cibi e bevande, di carni e di pesci, che venivano ripartite tra tutti i forestieri presenti, mentre al sacerdote davano una coscia di cervo.
Acuni si cavavano sangue tagliuzzandosi le orecchie e bagnando con quello una statua di pietra che avevano lì di un demone chiamato Kanal Acantun. Confezionavano un cuore di pane e altro pane coi semi di zucca e li offrivano all’immagine del demone Kan-u-Uayeyab. Tenevano così quest’immagine durante i giorni infausti e la incensavano col copale e col mais macinato misto a copale.
Erano certi che, se non avessero fatto queste cerimonie, sarebbero sicuramente stati colpiti da infermità durante quest’anno. Trascorsi i giorni infausti, toglievano la statua del demone Bolon-Zacab e la portavano al tempio, mentre l’altra statua la portavano all’ingresso orientale dell’abitato dove si sarebbero recati a compiere le cerimonie prescritte l’anno successivo e ve la lasciavano. Ciò fatto, se ne tornavano tutti a casa a vedere ciò che ciascuno aveva da fare per la celebrazione del nuovo anno.
Ultimate le cerimonie che abbiamo detto e scacciato il demonio, consideravano, a loro ingannevole giudizio, anni come questo anni buoni dato che sotto il segno di Kan regnava il Bacab-Hobnil di cui dicevano che non aveva mai peccato contro i suoi fratelli e per tale motivo durante l’anno a lui dedicato non accadeva nulla di male[…] ”
Questo è il resoconto del monaco spagnolo circa le cerimonie svolte dai Maya durante il capodanno iniziante con il giorno Muluc:

Dell’anno che iniziava con il giorno Muluc era auspice Canzienal. A tempo debito il sacerdote ed i nobili sceglievano un notabile per organizzare la festa; ciò fatto, confezionavano una immagine del diavolo simile a quella dell’anno precedente e la chiamavano Chac-u- Uayeyab, portandola poi ai mucchi di pietre edificati al lato orientale dell’abitato dove avevano lasciato l’altra.
Costruivano una statua del dio chiamato Kinich Ahau e la collocavano convenientemente in casa del notabile prescelto; da lì, dopo aver pulito e abbandonato la strada, andavano tutti insieme in processione con la consueta devozione all’immagine del dio Chac-u-Uayeyab. Ivi giunti, il sacerdote la incensava con fumigazioni di copale unito a 53 grani di mais macinato[…].
Il sacerdote dava ai notabili, perché lo ponessero sul braciere, dell’incenso di quello chiamato Chahaltè e poi, come l’anno precedente, decapitavano un pollo e, collocata la sacra immagine su una portantina di le chiamata chactè, la recavano (a casa del notabile che organizzava la festa ) tutti insieme e devotamente eseguendo delle danze di guerra chiamate Holcan-okot e batel- okot.
Ai nobili veniva recata sulla strada la loro bevanda fatta con 330 grani di mais tostato e simile a quella dell’anno prima. Giunti alla casa del notabile, collocavano questa statua di fronte a quella di Kinch-Ahau e le presentavano tutte le offerte dovute, che venivano poi ripartite come le altre.
Offrivano all’immagine sacra del pane a forma di bottone, di cuore di cervo ed altro ancora contenente del pepe. Molti si cavavano sangue tagliuzzandosi le orecchie e lo spargevano poi sulla statua di pietra del demone chiamato Chac-cantun. Qui portavano dei fanciulli ed a forza cavavano sangue anche dalle loro orecchie, tagliuzzandole con coltelli.
Custodivano così questa statua per tutta la durata dei giorni infausti e nel frattempo le bruciavano dell’incenso a titolo di offerta. Trascorsi questi giorni l’immagine veniva portata nella parte settentrionale dell’abitato dove l’anno successivo sarebbero andati ad accoglierla e l’altra (quell di Kinch-Ahau) la portavano al tempio, dopo di che se ne andavano a casa loro a preparare tutto per il nuovo anno. Se non facevano quanto si erano proposti di fare, dovevano temere gravi malanni agli orifizi del corpo.
Quest’anno che iniziava col giorno di Muluc e che si svolgeva sotto gli auspici di Bacab.Canzienal era ritenuto un anno favorevole in quanto affermavano che quello testè nominato era il più importante e il migliore dei Bacab, per cui lo nominavano per primo nelle loro preghiere[…] ”.

Vediamo ora il rituale del capodanno degli anni inizianti con il giorno Ix.

L’anno che iniziava col giorno di Ix aveva come auspice Zacciui; fatta la scelta del notabile che aveva il compito di celebrare la festa, fabbricavano un’immagine del demone chiamato Zac-u-Uayeyab e la portavano ai mucchi di pietra che sorgevano sul lato settentrionale dell’abitato, dove ne avevano lasciata una analoga (appartenente a Chac-u-Uayeyab) l’anno precedente.
Confezionavano anche una statua del dio Itzamna e la collocavano in casa del notabile; poi, tutti insieme e dopo aver preparato la strada, si recavano devotamente presso l’immagine di Zac-u-Uayeyab. Ivi giunti, la incensavano come al solito, decapitavano un pollo e, collocata l’immagine sacra su una portantina di legno chiamta zachia, la trasportavano devotamente eseguendo delle danze chiamate alcabtan-kamaahau.
Veniva recata la bevanda di mais sulla strada come al solito e, giunti alla casa (del notabile prescelto), collocavano questa statua davanti a quella di Itzamna e le presentavano poi tutte le loro offerte, dividendole successivamente tra i presenti. Alla statua di Zac-u-Uayeyab offrivano una testa di tacchino e delle fritture di pernici, oltre ad altre cose ed alle loro bevande.
Alcuni si cavavano del sangue e lo cospargevano sulla statua del demone Zac-Acantun; tali idoli venivano tenuti così per tutti i giorni che mancavano all’anno nuovo, continuamente incensati, finchè, giunto l’ultimo giorno, portavano Izamna al tempio e Zac-u-Uayeyab ad occidente, dove si sarebbero recati a riceverlo l’anno successivo.
Le sventure che dovevano temere durante quest’anno, nel caso in cui fossero stati negligenti nei servizi religiosi, erano svenimenti, debolezza grave e male agli occhi. Consideravano tale anno come scarso di pane e favorevole invece al cotone.
Quest’anno che iniziava con la giornata Ix e di cui era auspice Zacciui-Bacab era ritenuto un anno negativo per cui dicevano che nel corso di esso dovevano temersi varie sventure come grave mancanza di acqua e sole torrido che avrebbe seccato i campi di mais, per cui ne sarebbe derivata una grave carestia; a causa della fame si sarebbero diffusi i furti e a causa dei furti molti sarebbero stati fatti schiavi e venduti a chi li voleva[…] ”.

Infine vediamo la cerimonia del capodanno degli anni inizianti col giorno di Cauac.

“In occasione dell’anno che iniziava col giorno Cauac e di cui era auspice Hozanek, fatta la scelta del notabile, fabbricavano l’immagine del demone chiamato Ekuvayeyab e la recavano ai mucchi di pietre sul lato occidentale dell’abitato dove ne avevano portata un’altra l’anno passato. Costruivano anche una statua dell’idolo chiamato Uacmitun-Ahau e la collocavano nella casa del notabile in un sito adatto; da lì si recavano tutti insieme dove si trovava la statua di Ekuvayeyab, dopo aver ben preparato la strada. Giuntivi, il sacerdote ed i nobili la incensavano secondo l’usanza e decapitavano un pollo.
Compiute queste cerimonie, collocavano la statua su un palanchino chiamato Yaxek e vicino ad essa mettevano un teschio, l’immagine di un uomo morto e, sopra a tutto, un uccello che si nutriva di rifiuti chiamato Kuck quale segno di grande mortalità, e ciò in quanto consideravano quest’anno assai funesto.
Portavano così questa statua molto devotamente ed eseguendo alcune danze tra le quali una piena di fango che veniva chiamata Xibalba-okot che vuol dire danza del diavolo. I coppieri portavano sulla strada la bevanda dei notabili che veniva recata sino alla statua di Uacmitun-Ahau di fronte alla quale collocavano la statua del demone chiamato Ekel-Acantun, e così trascorrevano questi giorni infausti.
Passato questo periodo portavano la statua di Uacmintun-Ahau al tempio e quella di Ekuvayeyab alla porta meridionale della città dove l’avrebbero ricevuta l’anno successivo.
Consideravano quest’anno che iniziava col giorno di Cauac e di cui era auspice il Bacab Hozanek assai nefasto, e ciò non solo per i pesanti pronostici di morte di cui abbiamo già parlato ma anche per l’eccessivo caldo che avrebbe distrutto i campi di mais e per invasioni di formiche e di stormi di uccelli che avrebbero mangiati i semi; ciò non si sarerebbe verificato dappertutto ma in taluni luoghi ci sarebbero stato da mangiare, sia pure scarso[…]. ”

La natura sanguinaria della religione maya-tolteca
Influsso messicano a Chichèn Itzà

Abbiamo già visto che nel periodo post-classico il mondo maya attraversò una grave crisi e le dinastie furono costrette ad allearsi militarmente con popolazioni di origine straniera. Accadde, così, che molte istituzioni politico-sociali venissero sovvertite, e ai sovrani-sacerdoti si sostituissero dei re-guerrieri. In quell’epoca, Chichen Itzà diverrà la metropoli maya-tolteca più importante, assumendo il ruolo di capitale politica dello Yucatan per circa tre secoli. La città si rivestì di una serie di elementi architettonici che erano il connubio di elementi maya e toltechi: il grande piazza-le cerimoniale avrebbe rappresentato, secondo il pensiero maya, il luogo primordiale della creazione, mentre l’enorme piramide di Kukulcan avrebbe simboleggiato la montagna dove la Prima Madre aveva modellato i primi uomini di mais, confacentemene alla mi-tologia Tolteca. Su questa struttura maya i Toltechi, provenienti da Tula, introdussero i simboli delle loro tradi-zioni guerresche come il “ muro dei crani ”, i Chac Mool (forse mediatori degli dèi, e pertanto loro messaggeri) e le immagini di serpenti, giaguari e aquile, che divennero motivi ossessivi e onnipresenti. La religione divenne ancora più sanguinaria, come ben si comprende dal già ricordato “muro dei crani”, sul quale i sacerdoti depositavano decine, o perfino centinaia, di teste umane mozzate. Altre strutture, destinate ai sacrifici, si rifacevano ora non più all’ordine sacerdotale, ma agli ordini guerreschi toltechi delle Aquile e dei Giaguari: animali mostrati mentre divorano cuori umani. Kukulcan divenne l’elemento principale di culto, e la piramide di “El Castillo” (come la chiamarono gli Spagnoli) era dedicata a questa divinità. Le quattro scalinate della costruzione sono ornati da lunghissimi “serpenti piumati”, le cui fauci si trovano e si aprono alla base della piramide, mentre le colonne del tempio superiore sono costituite da serpenti a sonagli la cui coda sostiene un’architrave.
Kukulcan, grazie ad una geniale soluzione architettonica, fa la sua apparizione nei giorni detti degli equinozi di marzo e di settembre, quando l’ombra delle nove terrazze si proietta sul muro nord-ovest, creando l’illusione di un serpente che striscia lungo la piramide.
Il sacro cenotes di Chichèn Itzà.

La città di Chichèn Itzà fu, inoltre, il teatro principale di un altro tipo di sacrificio umano, quello dell’annegamento nel pozzo sacro che in quanto luogo di culto, attirò nel corso dei secoli folle di pellegrini venuti a gettarvi le loro offerte.
Il cenote si è originato dal crollo naturale della crosta calcarea. Il pozzo formatosi, dalle pareti scoscese, è largo circa 60 metri e profondo una quarantina di metri, pieno per metà d’acqua.
I pellegrini, accorsi da tutte le parti ,gettavano nell’acqua ogni tipo di offerta, come orecchini, coltelli di selce, gioielli di giada ed anche esseri umani, in onore dei Chaci. Si sperava così che tali divinità mettessero fine a qualche grave cala-mità, come la sicci-tà o la carestia. Il rito, di carattere divinatorio, esigeva una fase di prepara-zione costituita da un’astinenza ed una continenza rigoro-sissima di sessanta giorni. Le vittime, preferibilmente donne di alto rango sociale, sul fare dell’alba venivano gettate nel pozzo. Esse dovevano pregare il dio di un’annata favorevole e benefica a suffragio di tutta la comunità. Se a mezzogiorno galleggiavano ancora, veniva loro calata una corda e, tratte in superficie, esse raccontavano il responso del dio circa le future piogge. In seguito, le donne che sopravvivevano venivano venerate come creature prescelte dagli dei: in pratica, divenivano agli occhi di tutti delle vere e proprie ‘sante’. Nel cenote, alla cui sommità si trovava un piccolo tempietto tutt’ora visibile, venivano sacrificati anche bambini e uomini.
Edward Herbert Thompson, console degli Stati Uniti nello Yucatan, tra il 1905 e il 1908 fece effettuare dei dragaggi, a seguito dei quali assunse  due pescatori greci per esplorare il fondo, dopo aver tolto quasi tre metri di melma. Dopo due giorni di lavoro vennero riportate alla luce due palline di resina di coppale, una grande quantità di figure simboliche incise sulla giada o sbalzate su dischi d’oro e di rame, propulsori di dardi, armi da lancio in punta di selce ed ossidiana, decine di campanelli di rame, braccialetti, collane, perle di smeraldo e di giada, orecchini, asce, dischi di rame ed oro, coltelli cerimoniali con manici in legno finemente lavorati, conchiglie abilmente incise, idoli e suole di sandalo in rame.  Molti di questi oggetti erano stati volontariamente rotti, cioè, secondo la concezione maya “uccisi”, e questo fatto lo si può spiegare come un modo per indicare in maniera simbolica che tali utensili, in quanto doni agli dèi, erano stati depauperati della loro energia.
Vennero estratte, scavando ulteriormente, ossa umane di almeno 21 bambini, (la cui età oscilla tra i 18 mesi e i 12 anni), di 8 donne e 13 uomini. È probabile, però, che i lattanti, le cui ossa troppo tenere non hanno resistito, fossero molto più numerosi, se non addirittura la maggior parte.
L’esame degli oggetti rivelò che alcuni di essi provenivano da molto lontano: da Oaxaca, dal Messico, dall’Honduras, dal Guatemala e addirittura dalla Columbia e da Panama. Alcuni oggetti risalgono al periodo classico a testimonianza che già allora il pozzo era considerato luogo di culto, anche se noi pensiamo che questi oggetti preziosi fossero stati conservati nelle case dei ricchi per vari secoli e che, quindi, solo in un secondo momento questi ultimi abbiano deciso di sacrificarli alle divinità.
Nel 1960 un gruppo di studio americano ha recuperato dal pozzo frammenti di tessuto e anche di bambole moderne vestite di seta artificiale. Ciò sta a dimostrare che il pozzo, a tutt’oggi, non ha perduto la sua attrattiva e il suo potere agli occhi di alcuni Maya.

Un anno vissuto ritualmente.

Presso tutte le religioni del mondo antico (come quelle più primitive, così quelle che presentano, al modo di quella cristiana, una più elaborata visione in senso filosofico-dottrinario), i tre termini di religione, mito e rito sono tra di loro complementari, integrandosi a vicenda.
Come affermano gli studi di vari storici della religione, i riti non sono altro che una teologia continuamente rivissuta, in maniera sia visiva (e quindi esteriore) sia più partecipativa (e pertanto interiore).
Il rito e la religione si connettono e rimandano al mito, inteso e vissuto dai fedeli come racconto dei primordi e rivelazione iniziale, in cui vengono risolti i più profondi interrogativi esistenziali della vita e vengono indagate le forze ordinatrici del cosmo.
Anche per i mesoamericani tali presupposti restano validi, e i Maya, ricordando le tre distruzioni precedenti e la labilità dell’ultima creazione e del sole notturno, cercavano, mediante i loro culti, che ripetevano ritualmente le vicende divine e umane del passato, di scoprire se fosse possibile assicurare energia al cosmo. Gli astronomi e i matematici avevano compreso come la natura si muovesse secondo un modello ritmico e ciclico, e adoperarono tutte le loro capacità osservative  per scoprire l’ordine intrinseco allo svolgersi di questo ritmo.
 Combinando queste osservazioni con i riti, fatti di preghiere e di sacrifici, i Maya cercavano di propiziarsi gli dèi che, di volta in volta, secondo un ciclo sempre uguale, presiedevano a questi ritmi non solo per il bene del singolo o della sola umanità, ma per la sopravvivenza stessa di tutto il creato. L’uomo donava alle divinità la vita, per avere in cambio la vita: offriva, per esempio a Chac, il proprio sangue, per avere in cambio la pioggia.
 I Maya ritenevano che i ritmi del cosmo fossero governati dalle divinità, sicchè la loro conoscenza diveniva sacra, in quanto i sacerdoti si adeguavano ritualmente ad essi seguendo il cammino degli esseri celesti. Il tempo, vissuto sacralmente, seguiva il ciclo del calendario Haab e Tzolkin. Ciascun mese era consacrato ad una specifica divinità, che presiedeva ai singoli ritmi stagionali, e a cui veniva dedicata una cerimonia.
Scorriamo velocemente i sacrifici compiuti mensilmente dai Maya nel cosiddetto periodo messicano. I nomi delle divinità e dei mesi da noi riportati sono in lingua nahua perché, come abbiamo più volte avuto modo di precisare, dopo l’anno mille divenne forte l’influenza dei toltechi: popolo la cui tradizione venne assunta in seguito dagli Aztechi.

1) Atlcoualco ( mancanza d’acqua per cessazione della pioggia; 12 febbraio-3 marzo): è il primo mese dell’anno, dedicato a Tlàloc, il dio della pioggia e alla sua compagna. Sulle montagne venivano sacrificati un numero consistente di bambini, i quali, prima, dovevano piangere molto, al fine di ottenere abbondanti piogge.
2) Tlacaxipeualiztli ( disossamento di uomini ): è il mese della semina   ( 4 marzo-23 marzo). Il sacrificato offerto a Xipe Totec (lo scorticato) consisteva nell’uccisione di un prigioniero di guerra, che dopo l’immolazione veniva scorticato. Il rito, insieme con la danza di sacerdoti indossanti le pelli umane, sta a indicare la rinascita della terra dopo la morte invernale.
3) Tozoztontli (breve digiuno; 24 marzo-12 aprile) è il mese che termina il ciclo dedicato a Xipe Totec, per ottenere la pioggia, offrendo nuovi sacrifici di bambini.
4) Huei Tozoztli (lungo digiuno; 13 aprile-2 maggio): è il mese dedicato alla venerazione del nuovo mais. Si offre al dio il vecchio mais, e gli si esprime amore con penitenze e autosalassi.
5) Toxcatl (sdrucciolevole; 3-22 maggio): inizia la stagione delle piogge, ed è dedicato a Quetzalcoatl, al quale veniva sacrificato un giovane.
6) Etzalqualiztli (zuppa di fave; 23 maggio-11 giugno): mese anche questo dedicato a Tlaloc, per ottenere la pioggia. Venivano sacrificati un fanciullo e  una fanciulla per annegamento.
7) Tecuhilhuitontli ( piccola festa dei principi; 12 gigno-1 luglio): è il mese dedicato all’acqua salata, festeggiata dai salinai. Anche in questo mese si invoca la pioggia, col sacrificio di una sacerdotessa.
8) Hueitecuhilhuitl (grande festa dei capi; 2-21 luglio): è il mese sacro alla madre del mais in maturazione, Xilonen. Si Sacrificava una schiava, dopo del quale la popolazione poteva cibarsi del nuovo mais: la festa durava di regola otto giorni.
9) Tlaxochimaco (nascita dei fiori; 22 luglio-10 agosto): è una festa gioiosa in onore del dio del sole. Si fanno danze di guerra, a cui partecipano anche le donne. Si consumano banchetti e non vi sono sacrifici cruenti.
10) Xocotlhuetzi (maturazione dei frutti per il caldo; 11-30 agosto):  mese sacro al vecchio dio del sole. Si fanno sacrifici di prigionieri di guerra, che vengono arsi vivi dentro delle fornaci.
11) Ochpaniztli (mese delle ginestre) nel quale la madre-terra si rinfresca; (31 agosto-19settembre): è dedicato alla terra. Veniva compiuto il sacrificio di una donna che impersona il mais maturo.
12) Teotleco (il ritorno degli dèi, 20 settembre- 9 ottobre): mese in cui viene celebrata la festa del racconto. Il primo dio ad arrivare è Quetzalcoatl, impersonato da un prigioniero, che poi viene immolato.
13) Tepeilhiutl (festa delle montagne; 10-29 ottobre): si ritorna a invocare i vari Tlaloque dei monti, per ottenere la pioggia. Venivano sacrificate quattro donne e un uomo, cui seguiva un pasto cannibalico.
14) Quecholli (30 ottobre-18 novembre): è il mese della caccia dedicato al dio di tale arte. Per quattro giorni tutti facevano penitenza, spargendo il proprio sangue. Dopo una caccia collettiva attuata al solo scopo cerimoniale, si sacrificavano gli animali catturati alla divinità.
15) Panquetzaliztl (19 novembre-8 dicembre): è il mese del solstizio invernale, dedicato al dio del sole. Si eseguivano combattimenti tra prigionieri, che poi venivano immolati.
16) Atemoztli (9-28 dicembre): è il mese delle piogge. Si invocava ancora Tlaloc, offrendogli cibi.
17) Tititl (29 dicembre-17 gennaio): è il mese dedicato alla luna. Mese sacro alla dea Ilamatecuhtli, corrispettiva della maya Ixmucane, cui si sacrificava una donna anziana.
18) Izcalli (18 gennaio- 6 febbraio): è l’ultimo mese dell’anno, dedicato al dio del sole e all divinità maya Itzamna. Comportava l’accendimento del fuoco nuovo dopo lo spegnimento del vecchio.

Infine, vi sono i cinque giorni detti “ i senza nome” che, non facendo parte del calendario, venivano considerati privi di protezione divina. Durante questo periodo, considerato nefasto, si digiunava, si compivano autosalassi e si fermava qualsiasi attività.

L’omicidio sacro: un rituale che tardò a morire

 Sacrifici successivi alla conquista spagnola


Alcuni drammatici resoconti di particolari cerimonie ci dimostrano che il rito sacrificale resistette alla conquista spagnola e alla conseguente evangelizzazione.
Si ha una deposizione, resa da un testimone dello Yucatan nel 1562, a seguito di un’indagine compiuta per verificare la veridicità delle accuse di alcuni indiani battezzati circa il ritorno di alcuni di loro al paganesimo.
Il documento venne ritrovato nel 1950 nell’Archivio delle Indie a Siviglia.
L’inchiesta venne aperta ventun anni dopo la totale conquista dello Yucatan, quando la chiesa non aveva ancora assunto il totale controllo religioso della zona. Il numero di frati francescani giunti nel nuovo territorio non era adeguato ad istruire le masse al cristianesimo e i Maya, perciò, rimanevano per lo più legati alla propria tradizione pagana.
Il testimone, Juan Couoh, era un maestro mandato dai frati a fare scuola a Yaxcaba, e probabilmente era stato allevato dai francescani. Il giovane sembra fosse stato combattuto tra la fedeltà alla vecchia casta sacerdotale e la fedeltà alla nuova religione, nell’ambito della quale era stato educato. Era un catechista, ma confessò sia di aver nascosto circa sessanta idoli appartenenti a suo padre, sia di avere sacrificato in loro onore. Confessò, inoltre, di avere assistito ad una cerimonia in una chiesa vicine, ed ecco la sua storia:

Ero a casa mia un martedì sera, a mezzanotte mi mandò a chiamare Diego Pech, il cacicco di Yaxcaba, perché gli leggessi una lettera. Strada facendo, nel passare davanti alla chiesa scorsi Pedro Enan, che è un amministratore di Yaxcaba, il quale un tempo aveva il compito di sacrificare uomini e bambini agli idoli. Aveva con sé un giovane di Tekax nella provincia di Mani, il quale aveva le mani legate dietro la schiena. Il ragazzo, Francisco Canich, era venuto a Yaxcaba in vacanza a trovare dei parenti. Sedeva vicino alla base dell’altare e, come ho detto, aveva le mani legate dietro la schiena. C’era un cero acceso. Chiesi loro che cosa facevano lì, e Pedro Eunan mi rispose: “perche ti interessa saperlo? Va dal cacicco a leggergli quella lettera, poi ritorna e vedrai che cosa stiamo facendo”.
Mi riavviai verso la casa del cacicco. Lì trovai riuniti con il cacicco Diego Pech, un altro cacicco, Juan Ku, l’amministratore Juan Tzek, Francisco Pot, Gaspar Chim e Juan Cambol. Questi tre ultimi una volta erano stati preti pagani. Poi c’era Lorenzo Ku, sorvegliante delle scuole, e suo padre Diego Ku. Queste sono le persone che ho riconosciuto, non ricordo se ci fosse qualcun altro.
Appena arrivai, Diego Pech mi rivolse dei rimproveri, disse che gli dovevo molta gratitudine per l’appoggio che mi aveva dato in passato, ed ecco come lo ripagavo, aiutando i frati a corrompere la città. Eppure sapevo che quando diceva che ero come un loro figliolo non dovevo badare alle loro parole. Poi disse che stavano per sacrificare un giovane ed io dovevo stare dalla loro parte ed assistere al loro rito. Gli risposi che ciò era molto grave, non facevano una cosa giusta. Non era permessa ai cristiani. Diego Pech mi ribattè che facessi come mi si ordinava; e mandò a chiamare Pedro Euan che stava facendo la guardia al ragazzo in chiesa. Pedro Euan appena giunse mi gridò anche lui perché non volevo obbedire. Gli risposi che non ne volevo sapere. Loro facessero quello che volevano ma io non mi ci volevo immischiare. Allora Pedro Euan mi pigliò per i capelli [ era il modo simbolico presso i maya per indicare che un uomo era prigioniero e andava sacrificato] e mi disse: “Se tu ci metti i bastoni tra le ruote anziché aiutarci faremo anche a te quello che facciamo a questo ragazzo”.
Avevo una tale paura che cedetti, dissi che avrei fatto come volevano.  Allora si alzarono e andarono a prendere dieci idoli che avevano portati dal campo di grano di Diego Pech e tutte le altre cose occorrenti per il sacrificio, poi si diressero in chiesa.
Quando furono in chiesa non pregarono e non si inginocchiarono all’altare ma andarono a collocare i dieci idoli in fila su alcune foglie di copo [ una varietà di fico usata nelle cerimonie dei Maya ]. Di fronte agli idoli posero una stuoia, sulla stuoia un coltellaccio di selce con l’impugnatura avvolta in un pezzo di tessuto bianco. Poi Gaspar Chin e Pedro Pech, che è un altro ex prete pagano, presero due ceri. Si misero a sedere su sgabelli bassi e ordinarono di portare l’indiano che era rimasto seduto presso l’altare, e lo fecero sedere in mezzo a loro.  Aveva le mani legate, gli occhi bendati, non aveva camicia ma solo un paio di calzoni corti.  Gaspar Chim a questo punto disse che io li avrei denunciati ai frati, e sotto minaccia di venir sacrificato a mia volta dovetti promettere di non dire nulla. Allora Diego Pech disse al giovane che stavano per sacrificare, e che piangeva: “ sta di buon animo, non disperarti così. Non ti faremo del male. Non ti mandiamo all’inferno ma alla gloria del cielo, come facevano i nostri avi ”.
“Fate quel che volete,-gli rispose il ragazzo - Dio che è in cielo mi aiuterà”.
Allora Gaspar Chim disse: “Slegatelo e fate quello che dovete fare prima che venga il sole e che comincia ad esserci gente in giro”.
Così slegarono il giovane e lo gettarono sulla stoia. I preti passarono ad altri i ceri che tenevano in mano, poi in quattro pigliarono il ragazzo e lo misero supino. Lo tenevano per le mani e per i piedi.
Pedro Euan, preso il coltello di selce, inferse al ragazzo un’ampia ferita sul fianco all’altezza del cuore, afferrò il cuore e con il coltello tagliò le arterie. Poi passo il cuore al prete, Gaspar Chim, che fece alla sua estremità due tagli in croce e poi lo sollevò al di sopra del suo capo. Poi ne taglio una parte, non so quale, e la mise in bocca all’idolo più grande, l’idolo di Itzamna. Poi presero il cadavere e il cuore del ragazzo e il suo sangue che avevano raccolto in una zucca, e gli idoli, e andarono in casa del cacicco. Non so lì che altro fecero. Uscendo dalla chiesa mi avevano ancora ammonito che non fiatassi coi frati.

“ Neanche se ci bruciano dobbiamo dire una sola parola ”.
Li lasciai e ritornai a casa, mi pareva che ciò che avevano fatto fosse molto brutto.
Abbiamo altre prove sul ritorno al paganesimo e ai suoi culti: i domenicani Cristabal De Prada e Jacinto De Vargas, caduti in mano agli Itzà di Taysal nel marzo del 1696, vennero sacrificati secondo il rituale del palo.  Nello stesso anno la testa di un francescano, sempre ucciso dagli Itzà, venne esposta su un palo.
Le varie inchieste francescane portarono alla luce un sacrificio particolarmente cruento operato ancora alla fine del 1700: una fanciulla legata al palo venne battuta a morte con un ramo spinoso di ceiba.
Presso i Lacandoni ancora per tutto il ‘700 e ‘800 si usava immolare uomini e donne. Le future vittime, per timore che potessero fuggire, venivano chiuse in gabbie, vicino alle quali venivano messe delle guardie per controllarle. Di giorno, invece, i Lacandoni le lasciavano libere di camminare per il villaggio, sempre, però, sotto sorveglianza. Nel 1562 alcuni abitanti del Chiapas vollero possedere un loro proprio Cristo, a immagine di quello degli Spagnoli che, secondo i Maya, i conquistadores avevano scelto per inchiodarlo alla croce, adorarlo e chiamarlo loro signore. Pertanto presero un bambino di circa 10 anni e, in mezzo a spesse nuvole di incenso e nell’estrema esultanza degli abitanti del villaggio e dei visitatori accorsi per vedere quella brutale cerimonia, lo crocifissero. Il dottore Benedetto Giacalone narra che , nello Yucatan, nel 1917, cinque turisti, che erano stati sorpresi in posizioni che gli stregoni locali consideravano sospetta, furono presi e portati davanti ad un Cristo crocifisso, e sacrificati. Davanti allo stesso crocifisso e nella stessa chiesa, scrive lo studioso Giacalone, nel 1859, un gran numero di prigionieri spagnoli, fra i quali 35 donne, furono sacrificati. Il Cristo di misericordia ebbe bagnato il viso col sangue delle vittime, per placarsi. Queste testimonianze mostrano come il rituale cruento, molto sentito nell’animo meso-americano, tardasse a morire:  possiamo affermare che esso fu praticato fino alla prima metà del novecento. Certamente, gli episodi di ritorno ai culti del paganesimo sono molti di più da quelli da noi ricordati, poichè di molti non si sarà saputo nulla e di altri si sarà probabilmente persa la stessa memoria. Quelli da noi presentati mettono, comunque, in evidenza un fatto: per i Maya, il sacrificio era l’unico reale mezzo di perpetuazione del cosmo. Il suo significato mistico-religioso è tutt’ora presente presso il popolo del mais, che continua il rituale con la “sola” differenza che al posto di esseri umani si immolano animali.

Nessun commento:

Posta un commento