venerdì 25 maggio 2012

Il calendario maya: astronomia, astrologia e matematica


Probabilmente, la più alta espressione intellettuale dei Maya si esplica nella loro sofisticata tecnica di misurazione del tempo. Essi adoperavano due diversi calendari: uno di 260 giorni (ciclo divinatorio) e l’altro di 360 giorni più cinque considerati nefasti (calendario astronomico). Il calendario più corto sembra che fosse stato ereditato dagli Zapotechi, utilizzato da questi a partire dal 600 a.c. Era frutto della combinazione di venti nomi (mesi) e 13 numeri (giorni), svincolato da qualsiasi ritmo e rapporto di tipo agrario, ugualmente ciclico, di valore prettamente divinatorio, e prendeva il nome di Tzolkin. Il professor Michael Coe sottolinea che “Ogni singolo giorno aveva il suo presagio e le sue associazioni, e l’inesorabile susseguirsi dei venti giorni era una sorta di perpetua macchina divinatoria che guidava i destini dei Maya e di tutte le popolazioni del Messico”.1 Guy Annequin fa notare che: il programma delle feste religiose e di tutte le altre attività cerimoniali o private veniva stabilito sulla base di questo calendario.2
I due calendari, sebbene di lunghezza diversa, venivano a coincidere al termine di 73 periodi di 260 giorni e cioè ogni volta che trascorrevano 18.980 giorni, cioè 52 anni, lasso di tempo che costituiva una sorta di secolo per i mesoamericani. Ogni 52 anni i due calendari tornavano in sincrono e il ciclo del calendario ricominciava. L’unità minima era costituita dal giorno (kin); 20 kin davano vita ad un mese chiamato Uinal; 18 uinal davano un anno di 360 giorni chiamato tun, 20 tun davano un Katun (7.200 giorni quasi 20 anni del nostro computo), 20 katun davano un Baktun e cioè 144.000 giorni, circa 400 anni moderni e così via fino al piktun che valeva 20 baktun (2.880.000 giorni), 20 piktun davano un kalabtun (57.600.000 giorni), 20 kalabtun davano un kinchiltun pari a 1.152.000.000 di giorni; l’ultimo ciclo comprendeva 23 miliardi e 40 milioni di anni! Un calcolo lunghissimo in base vigesimale, che ci dà prova della perfezione raggiunta dalla loro matematica nel primo secolo d.c. e che prende nome di Lungo Computo.
Scarpi scrive che “l’anno, in ogni caso, non è l’unità di misura del tempo, ma lo sono piuttosto i cicli, di 52 anni”.3 Ossessionati dal trascorrere del tempo, i Maya, alla fine di un ciclo di 52 anni, per scongiurare l’esaurirsi dell’universo, compivano sacrifici umani.
Il secondo calendario prende invece il nome di Haab, solare e agricolo, era, come già accenato, formato da 360 giorni, suddivisi in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, ai quali si aggiungeva come appendice, per fare quadrare i conti, un periodo malefico di cinque giorni, considerati nefasti, vuoti e senza nome, detti di ristabilimento; giorni critici, dunque, durante i quali non si lavorava, si digiunava e si osservava la continenza. Pietro Bandini, analizzando questi cinque giorni, annota che:

“non avevano nome ed erano definiti complessivamente xma-kaba-kin, ovvero i senza nome; visto che[i Maya]non avevano nemmeno un dio che regnasse su di loro[…]Questa idea funesta si spiega[…]probabilmente con la concezione ciclica che i Maya avevano della creazione: come nel corso delle ere del mondo, alla fine di un universo seguiva una pausa, una deflagrazione, lo scatenamento del caos prima che le forze fossero di nuovo ordinate e indirizzate verso un’ulteriore creazione, così anche sulla terra, tra la fine di un anno e l’inizio del successivo, si spalancava un abisso pericoloso che si poteva superare solo con fermo coraggio e stoica pazienza”.4

Una settimana era costituita da 13 giorni. I numeri 13 e 20 erano sacri per i Maya: il primo era il numero dei cieli, mentre il secondo simboleggiava l’uomo (venti è il risultato della somma delle dita dei piedi e delle mani).
Ma parlare dei calendari significa riferirsi anche al tempo e alla concezione del tempo sviluppata dai Maya. A questo proposito Eric Thompson fa notare che:

“nessun’altra civiltà ha mai dedicato al tempo un interesse così intenso; e anzi nessun’altra civiltà ha prodotto una specifica concezione di un tema, parrebbe, così poco popolare[…]. Per i Maya il tempo era l’oggetto di un interesse divorante. Ogni loro stele ed altare aveva lo scopo di indicare il flusso del tempo, di celebrare la chiusa di un periodo[…]. Per i Maya i giorni non erano in rapporto con gli dei, ma erano dei; […]o per la precisione ogni giorno è una coppia di dei. Ogni giorno ha una combinazione numero + nome: e il numero è un dio e il nome un altro[…]Essi concepivano le suddivisioni del tempo come altrettanti carichi portati a turno, per l’eternità, da squadre di divini portatori. Questi portatori erano i numeri da cui le singole frazioni del tempo erano contrassegnate. Portavano il loro carico sulla schiena, con una cinghia che passava sulla fronte[…]un esempio del meccanismo adoperando il nostro calendario è la data 31 dicembre 1952, [che]esigerebbe cinque portatori: il dio del numero trentuno porta dicembre in spalla; il dio del numero uno porta il millennio, il dio del nove porta i secoli, il dio del numero cinque porta i decenni, quello del numero due porta gli anni. Alla fine della giornata c’è una pausa momentanea, poi la processione riparte; il dio del numero trentuno con il dicembre in spalla è sostituito da dio del numero uno che porta in spalla gennaio, il dio del numero tre prende il posto e il carico del dio del numero due[…]Ora l’immagine dei portatori e dei fardelli si prestava ad essere interpretata misticamente nell’idea che nel corso dell’anno giungessero buone o cattive fortune a seconda che fosse benevola o malevola la disposizione dei successivi portatori; e i sacerdoti maya si dedicavano infatti ad un complesso lavoro di valutazione del bene e del male che i successivi periodi di tempo avrebbero portato. Un anno giungeva col fardello della siccità, un altro col fardello di un buon raccolto.” 5

Il primo giorno dell’anno era il dio portatore dell’anno; se un anno cominciava con il giorno Kan, allora ci si aspettava un buon raccolto, dato che Kan è uno degli aspetti del granoturco; stessa cosa se iniziava con Muluc, poiché esso era un dio della pioggia. Gli anni che iniziavano con il giorno Ix o Cauac erano disastrosi, poichè questi erano divinità malevoli. Con ciò si spiega il forte senso divinatorio attribuito ai calendari dai popoli mesoamericani. Il computo del tempo permetteva loro di comprendere il futuro, che poi non era altro che il ripresentarsi del passato secondo una visione ciclica, rispondente alla convinzione che la storia si ripete: le influenze divine si ricompongono nell’equilibrio di partenza. A turno i divini portatori conducevano innanzi il tempo nel suo viaggio infinito; entrava però in gioco l’elemento ciclico, costituito dal fatto che gli dei si alternavano a turni fissi e continui: quello che interessava ai Maya era sapere quali dei si sarebbero trovati a marciare insieme in un dato giorno. In questo modo, mediante un calcolo complesso, potevano valutare l’influenza globale degli dei in marcia, considerando le relazioni che si creavano tra gli dei buoni e quelli cattivi. Evidentemente per i Maya interessava di più il passato, questo infatti ripresentandosi permetteva di capire gli eventi futuri.
Anche David Webster chiarisce questo aspetto divinatorio del calendario maya, spiegando che: “le concezioni che i Maya avevano del tempo erano estremamente diverse dalle nostre ed enfatizzavano cicli in cui gli eventi, in un certo senso, ricapitolavano se stessi. Lo studio di episodi passati, unitamente a riscontri calendariali ed astronomici, forniva pronostici di ciò che sarebbe avvenuto nel futuro”. 6
Così Pietro Bandini descrive la concezione di tempo e spazio secondo i Maya:

“Per i Maya tempo e spazio formavano un ciclo infinito in cui gli avvenimenti fondamentali si ripetevano sempre a intervalli determinati. Così come gli astri, dopo rivoluzioni enormemente lunghe, comparivano nuovamente e immancabilmente nello stesso punto, allo stesso modo guerre, catastrofi o altri eventi sopraggiungevano di nuovo nella data assegnata loro per tutti i tempi. Per scoprire cosa nel futuro attendesse loro e il loro popolo, i sacerdoti e il re dovevano perciò analizzare, nel modo più esatto possibile, ciò che le relative costellazioni avevano provocato nel passato. Se si fosse giunti a stabilire in maniera perfetta (cosa che nella prassi non poteva quasi mai riuscire) gli influssi che avevano segnato un giorno, un mese o una stagione, si sarebbe divenuti invulnerabili di fronte a sorprese non desiderate, come anche di fronte al malumore dei numerosi dèi che dovevano essere lodati e festeggiati, ognuno nel proprio giorno”.7


Quindi, come scrive Michael Coe:

“Ogni singolo giorno aveva i propri auspici e associazioni, e l’inesorabile marcia dei venti giorni aveva la funzione di una sorta di perpetua macchina predittiva che guidava i destini dei Maya e di tutti i popoli del Messico”.8

È chiaro, quindi che “i Maya – come ritiene Herbert Wilelmy – non praticarono mai la scienza, cioè soprattutto la matematica e l’astronomia, per proprio diletto o, come nelle oasi fluviali dell’antico continente, per la misurazione del terreno e la regolazione delle acque. Essa era messa esclusivamente a servizio della religione”.9
Punto di riferimento della loro cronologia era una data iniziale che corrisponde al nostro 3113 a.c. Notano Peter James e Nick Thorpe: “questa data rappresenti la creazione del mondo, o degli dei, ma più probabilmente si riferisce alla mitica nascita della civiltà maya, poiché sono state ritrovate iscrizioni che fanno riferimento ad eventi accaduti agli dei antecedenti a quella data”10. Eric Thompson parla, in tal senso, di un punto di partenza fittizio, come l’ab urbe condita dei romani. Forse era la mitica datazione della creazione dell’ultimo mondo, dato che i Maya credevano che questo era stato distrutto e ricreato dagli dei più volte.11
Magda Wimmer afferma che la fine dell’attuale Grande Ciclo è prevista per il 23 dicembre 2012, quando cioè per i Maya il mondo andrà incontro ad un catastrofico cataclisma.12 Sembra comunque che non avessero mai utilizzati né clessidre né orologi a sabbia, e per quanto si è capito sembra che non avessero nemmeno un sistema preciso di suddivisione del giorno, ci si è fatti l’idea che le -ore- dei Maya consistessero in suddivisioni molto approssimative, chiamate con nomi che significavano -è mezzogiorno-, oppure -il sole spunta-, -il sole ora è lontano-, ecc.13
Le date dei calendari venivano scritti in senso verticale anzichè orizzontale, il sistema, come già detto, non era decimale ma vigesimale, e il segno corrispondente al nostro zero indicava solo il completamento della serie, non aveva quindi il valore di –non c’è nulla- che noi gli attribuiamo.
Il numero che corrisponde al nostro zero, con la limitazione di cui abbiamo già parlato, di solito era segnato con una conchiglia. I numeri da uno a quattro venivano scritti mediante dei punti, mentre il cinque con una sbarra. In tal modo un punto e una sbarra davano come numero il sei, oppure due sbarre e tre punti davano come numero il tredici. La matematica, essenziale strumento nel computo del tempo, conserva anch’essa una sorta di sacralità. Martin Brennan sostiene che “il numero era uno degli strumenti principali usati dai Maya nel cercare il significato del tempo, che consideravano un attributo degli dei, rappresentati qui come poteri viventi personificati. Nella loro ricerca attraverso gli stadi sempre mutevoli del passato, presente e futuro, percepirono il tempo come proveniente dalla divinità, come parte del suo stesso essere, pervasivo e illimitato”.14
Il concetto maya di zero è diverso da quello occidentale, infatti non indica il nulla, ma implica dei significati molto più vasti, oltre al fatto di possedere un forte senso religioso. Significa che il computo si è evoluto o è salito a livelli superiori. Donde il dio - zero- è mostrato con lo sguardo rivolto verso l’alto. Sulla base di questa magnifica ossessione, contavano lo zero sia come una terminazione o un completamento sia come un portale, che continuamente innalza il computo del tempo a livelli superiori in cicli infiniti di epoche illimitate. Riflesso in questa continua ascesa ai livelli superiori è il loro concetto di sacrificio, considerato il principale mezzo dell’evoluzione spirituale umana. Il termine o il completamento di un ciclo temporale è uguagliato alla morte, non una finalità, bensì un portale per l’evoluzione. “Il dio – zero – porta i capelli legati alla maniera di una vittima sacrificale.
Lo zero nei codici è rappresentato dal guscio della chiocciola, denotando l’evoluzione a spirali ascendenti. Il segno dello zero, e per estensione il sacrificio umano, è rappresentato da una chiocciola ”15.
In altre parole la sostanziale differenza tra lo zero occidentale e quello mesoamericano consiste in un diverso valore simbolico a questi attribuitogli. Il nostro zero, dal significato prettamente matematico, è una astrazione descrittiva del “non abbiamo nulla”. Poiché assume questo valore viene posto all’inizio del computo. Partiamo cioè da una situazione di mancanza e aggiungiamo le varie infinite unità. Per i mesoamericani lo zero veniva posto invece alla fine del computo per completare un ciclo composto da venti unità e permettere di potere progredire oltre. La matematica, per i Maya, era fondamentalmente sacra, e i numeri venivano personificate da divinità che li proteggevano e li reggevano. Il tempo e il computo costituivano pertanto un sinolo indissolubile. Lo zero diveniva il reale mezzo di continuazione del computo e quindi del tempo e, per estensione, della creazione. In termini filosofici il nostro zero implica significati legati al non-essere, per i mesoamericani invece indica la potenza dell’essere: il solo modo per farlo progredire in una maggiore evoluzione. Lo zero pertanto veniva associato ad una serie di animali e simboli indicanti la fertilità. Veniva personificato da Xipe-totec (lo scorticato), divinità del sacrificio. Questo numero infatti permetteva al tempo di non fermarsi così come il sacrificio, assicurando cibo agli dèi, perpetuava la creazione. Lo zero veniva inoltre connesso alla spirale, simbolo che nasce dalla stilizzazione del serpente, e che indica evoluzione, progressione, elevazione e anche fertilità.
Magda Wimmer chiarisce che: “il vero fondamento di tutti i calcoli maya non è l’uno, ma lo zero, poiché esso simboleggia Hunab Ku, Il Grande Spirito, la divina energia primordiale, dalla quale tutto proviene e alla quale tutto fa ritorno16”.
Per i Maya, i numeri non erano quindi dei semplici strumenti matematici, utilizzati in funzione meramente computistica, ma erano divinità essi stessi e venerati come tali erano portatori di un evento. Il numero zero ricopriva un ruolo ben preciso, che abbiamo cercato di chiarire; e sebbene tutti i numeri fossero sacri, ve ne sono alcuni dai Maya considerati di maggiore sacralità: è il caso del numero quattro, nove, tredici e venti, oltre che lo zero e il tre. Ricordiamo che quattro erano i cieli e i punti cardinali e quattro gli aspetti di ogni divinità che presiedeva un cielo; tredici erano i cieli, preseduti da altrettante divinità; nove gli inferi governati da nove demoni; venti invece era il numero simbolo dell’uomo, in quanto risultato della somma del numero delle dita dei piedi e delle mani.
Il numero 13 e 20 sono alla base del calendario Tzolkin (260 giorni), calendario del tutto artificiale in quanto non rispecchia alcun calcolo ed osservazione astronomica. Un calendario dal significato totalmente mistico, che nasce dalla moltiplicazione del tredici con il venti. Probabilmente, l’origine di questo calendario va ricercata nel senso del mistero legato alla vita e alla fertilità, al concepimento, alla gravidanza e alla nascita. Tredici volte bisognava terminare il ciclo delle dita delle mani e dei piedi, dopo l’interruzione del ciclo mestruale, perché un bambino nascesse, e nove volte, durante tale periodo, la luna appariva e scompariva nel cielo. Le dita, elementi fondamentali del computo, erano considerati incarnazione di un dio o di un animale totemico, i soli esseri in grado di produrre tale fertilità.
Non si può non rimanere meravigliati dalla spiritualità di questo popolo, che seppur sconosceva la ruota e gli animali da soma, si prodigò nella costruzione di strade al solo fine cerimoniale e che si impegnò nella costruzione di templi, anche giganteschi, i quali raggiunsero l’altezza di 70 metri. Tali templi erano considerati esseri viventi a tutti gli effetti in quanto venivano costruiti in pietra. La pietra oltre a costituire l’elemento con cui veniva costruito un altare sacrificale, era ricoperta da un forte senso mistico. Nel libro sacro Chilam Balam la pietra di giada venne posta all’inizio del tutto, prima ancora della comparsa degli dei. Da tale pietra nasce ogni cosa della creazione. Pertanto la giada è la pietra sacra per eccellenza mentre tutte le altre conservavano un significato metaforico forte simboleggiando il cosmo e l’ordine della creazione.17 Ogni piramide che, rappresentava e doveva essere agli occhi dei mesoamericani una sintesi del mondo, del tempo, del calendario e della fertilità della madre terra, veniva spesso costruita con 52 scalini: uno per ogni anno costituente un secolo maya, cioè un intero ciclo dei due calendari. Un esempio del senso mistico-religioso delle costruzioni mesoamericane ci viene dato dal sito di El Tajin, ad opera dei Totonachi.18 L’archeologo Adriano Forgione constata che:
“i Totonachi eressero in diverse fasi questo centro politico-religioso (il sito è datato tra il II secolo a.c. e il 1200 della nostra era) situato nel municipio di Papantla, Veracruz, al centro di quello che queste genti chiamavano Totonapacan, ‘il luogo dei totonachi’[…]Tajin significa ‘tuono’, ‘fulmine’ o ‘tempesta’, e tale nome è dovuto al fatto che questo centro è dedicato al dio totonaco delle tempeste e dei fulmini, Tajin appunto[…]La più nota ed enigmatica delle strutture di El Tajin è la ‘piramide delle nicchie’, impressionante espressione della sofisticata mente simbolica dei totonachi. Gli archeologi più conservatori pensano che le nicchie presenti sull’intero edificio siano una mera soluzione decorativa, tipica dello stile totonaco di El Tajin. E’ vero che altre costruzioni del sito presentano la stessa caratteristica ma si è fatta ormai l’idea che la risposta delle nicchie non risponda solo ad esigenze artistiche, e ciò viene provato da loro numero: 365.
L’archeologo Forgione ritiene che

“quest’edificio doveva essere tra i più sofisticati osservatori astronomici dell’America pre-colombiana”.

Ciò è confermato dall’archeologo messicano Roberto Ramirez Rodriguez che afferma:

“Questa piramide è ben organizzata geometricamente e le sue 365 nicchie obbediscono a principi astronomici ma non solo. Paul Westheim ha definito i legami del numero di queste nicchie con il numero 52. Considerando che la piramide è divisa in 7 livelli si può dire che vi sono 7 volte 52 nicchie[…].Ciò stabilisce una relazione diretta con i 52 anni in cui era divisa il secolo mesoamericano[…]inoltre, il 7 era il numero magico per queste culture. Guardando la scalinata centrale e contando le nicchie; oggi ne restano 15, ma in origine erano 18 proprio come i 365 giorni dell’anno solare erano divisi dai mesoamericani in 18 mesi di 20 giorni ciascuno[…]”.

Forgione conclude scrivendo che 19

“questa splendida piramide e una summa di relazioni simbolico-astronomiche, inserite volutamente dagli architetti totonachi […] le piramidi erano costruite per rivestire un ruolo polifunzionale, sintesi della mente unitaria che caratterizza gli antichi, in cui scienza e spirito erano una cosa sola ”.

Le nicchie, secondo lo studioso Adriano Forgione, rappresentano il visibile da cui tutto prende forma. La costruzione è quindi per l’archeologo:

“una rappresentazione dell’ordine della creazione, e, pertanto, il gioco di luci e ombre che queste nicchie creano con il sole può essere visto come l’eterno gioco tra luce e ombra, tra visibile e invisibile, tra il manifesto e l’immanifesto che dà vita a un ordine visibile e percepibile. E un po’ come osservare un alveare ”.

El Tajin è pertanto un luogo simbolico: metafora della creazione e dell’ordine cosmico, le sue piramidi sono intessute da una miriade di simboli sacri come spirali, croci, losanghe e svastiche, tutti elementi che hanno una forte relazione con i culti mesoamericani. Forgione, a questo proposito, spiega che la spirale era associata alla conchiglia, simbolo di fecondità (e anche di sacrificio, nonchè segno dello zero) ed espressione dell’anima. Inoltre, non bisogna dimenticare che la spirale è anche legata al serpente, animale totemico di Quetzalcoatl (o Kukulcan per i Maya), il serpente piumato[…]La spirale è movimento evolutivo mentre la scala che la completa è simbolo di risalita, di cammino verso l’alto. Possiamo parlare di una vera e propria geometria sacra, ove le piramidi svolgevano il ruolo di sintesi di tutta la spiritualità del popolo, oltre che essere portale per l’aldilà e “albero” che unisce la terra al cielo. La sacralità di queste costruzioni ci viene testimoniata anche dal fatto che venivano orientate in un certo modo, e non in maniera casuale: orientamenti connessi con il quadrato o con la croce cosmica.20.

A chiarimento di quanto diciamo ci viene in aiuto il mayanista Herbert Wilhelmy21 che scrive:

I principi di orientamento degli impianti delle piazze e delle linee di fuga degli edifici sono più complicati di quanto possa sembrare a un rapido esame delle piante dei centri[…]Fra tutti i maggiori centri cerimoniali Quiriguà è conformata sul quadrato cosmico, cioè con assi orientati a nord-ovest e sud-est. Assi che corrono in direzione nord-sud o est-ovest si riscontrano nell’acropoli settentrionale di Tikal, il più antico complesso edilizio di questo grande centro cerimoniale, il cui allineamento non si è modificato dall’epoca preclassica in poi. Il famoso gruppo di templi E di Uaxactun che serviva a scopi astronomici è stato recepito nel mondo scientifico, in base allo schizzo fattone da S.G. Morley, come il prototipo di un gruppo edilizio orientato sui principali punti cardinali[…]. Per alcuni palazzi, anche essi apparentemente in rapporto con le coordinate sferiche, ci si è però chiesti a quale direzione vada attribuita importanza preminente; per l’orientamento est-ovest potrebbero essere stati determinanti i riferimenti al dio del sole e della pioggia[…]. Infine si è pensato di aver rinvenuto nel piano regolatore di Teotihuacan, spiegato in base ai principali punti cardinali, la prova più convincente del criterio fondamentale di orientamento a cui si ispiravano i centri e
gli edifici cultuali della Mesoamerica”.
Tutta la sapienza dei Maya nasce in funzione della religione: così lo sforzo matematico e astronomico e i due calendari acquisivano significato solo in senso mistico. Sempre occupati a predire il futuro, niente doveva essere lasciato al caso, per cui bisognava conoscere il domani, cercare di comprendere se esso fosse benevolo o disastroso, e, quindi, agire di conseguenza.
In altre parole, con Thompson possiamo dire che “le conquiste della mente maya non erano (almeno dal nostro punto di vista) conquiste pratiche: soddisfacevano a bisogni spirituali. Non erano nemmeno, nell’intendimento, conquiste teoriche. L’astronomo maya cercava di ampliare il suo sapere non per astratto bisogno di conoscere, ma per potere controllare il destino: insomma era un astrologo. A suo parere, i cieli avevano un ordine al quale si conformavano gli dei; e una volta decifrato quest’ordine, egli avrebbe saputo anche quali dei erano di turno in un dato momento, e quindi avrebbe saputo quali placare”.22 Chiarificatore del significato dell’astronomia maya è anche quello che ci dice Henri Sterlin:

“i Maya osservavano gli astri essenzialmente per stabilire il loro complesso calendario e per consultare la disposizione del cielo per fini astrologici. Nel loro desiderio di disporre di calcoli sempre più precisi, e di leggere il futuro nelle costellazioni predicendo la comparsa all’orizzonte di taluni corpi celesti, essi svilupparono una straordinaria scienza dell’astronomia. Naturalmente, si trattava di una forma di astronomia che si limitava al movimento visibile delle stelle, come è avvenuto con tutte le grandi civiltà antiche (egiziana, greca, romana e araba). Si poneva quindi in un sistema geocentrico, nel quale la Terra occupava il centro dell’universo”. 23

Quello che interessava essenzialmente ai precolombiani era di determinare nella maniera più esatta possibile alcuni cicli astrali. Henri Sterlin, a tal proposito, precisa:

“Per la natura visibile dell’astronomia maya, dovremmo menzionare l’anno venusiano o il ciclo di Venere, che gli osservatori maya avevano calcolato di 584 giorni, mentre il calcolo moderno fissa il periodo a 583, 92 giorni[…]. Come riuscirono i Maya, che non possedevano strumenti capaci di misurare ore, minuti e secondi, strumenti di osservazione dotati di lenti ottiche e gradazioni angolari, a raggiungere tali risultati? La spiegazione sta nel fatto che per stabilire il ciclo di Venere essi si basavano su una lunga serie di osservazioni, probabilmente della durata di 384 anni, oltre che su calcoli aritmetici. In questo modo furono eliminati gli errori principali, che si riducevano in proporzione al numero di operazioni seguite “.24

Un’esattezza quasi realizzata, con un errore minimale di un giorno ogni 6000 anni, grazie a dei calcoli estenuanti realizzati al solo fine divinatorio, confermando ancora una volta il ruolo astrologico dell’astronomia. “I Maya” infatti, come ci dice Thompson,: “erano convinti che la stella di Venere fosse malefica al tempo della levata eliaca (quando appare come stella del mattino); era necessario, perciò, che i sacerdoti potessero prevedere la data per scongiurare in tempo gli effetti nefasti”.25 Il ciclo di Venere, effentuantesi in una rivoluzione sinodica di 584 giorni, per i Maya, costituiva una sorta di terzo calendario rispetto agli altri due. Come abbiamo già avuto modo di accennare, tale calendario veniva calcolato in base alle levate eliache del pianeta nei diversi anni.
Un altro risultato importante ottenuto dai sacerdoti maya come astronomi fu la combinazione di una tabella per predire le eclissi del sole. I risultati di questi calcoli, osservazioni, deduzioni sono contenute nel testo geroglifico maya conosciuto come il Codice di Dresda (è conservato, per l’appunto, in una biblioteca di Dresda). Ancora Henri Sterlin, sull’anno solare, dice che, “i Maya erano consapevoli che l’approssimazione data dai 365 giorni del calendario si poteva migliorare, altrimenti il sistema era soggetto a deregolarsi. Il calcolo maya si basava su 365, 2420 giorni, mentre i moderni astronomi fissano la stessa lunghezza di tempo a 365, 2422 giorni”. L’errore era veramente insignificante e “quindi, non aveva alcuna rilevanza sull’aggiunta di un giorno ogni 4 anni”.26
Un’esattezza quasi perfetta venne raggiunta anche nei due diversi calcoli del ciclo lunare. Uno riguarda 405 lunazioni, o 46 anni sacri di 260 giorni, vale a dire, secondo il calcolo moderno, di 11.959,888 giorni, mentre, per i Maya, era pari a 11.960. L’errore maya è, quindi, di 0,112 di un giorno in un periodo di 32 anni, pari a 23 secondi per lunazione. L’altro calcolo si basa su 4.400 giorni, pari a 29,530587 giorni per lunazione, mentre l’approssimazione maya corrisponde a 29,53020 giorni. Questo calcolo, come afferma lo storico dell’arte Henri Sterlin, venne compiuto nel 682 dagli astronomi di Copàn, e contiene un errore di 33,43 secondi per lunazione. Questi dati ci fanno comprendere quale sia stata la brillante astronomia che da essi fu sviluppata, sia la grande pazienza e minuziosità nei calcoli. Le energie impiegate dai sacerdoti astronomi, erano dunque volte, al solo intento predittivo degli eventi futuri, a fini divinatori. Sforzi, questi, che ci permettono una chiara idea dello spirito religioso di questa civiltà.
1 Micharel D. Coe, op. cit., pagg. 54, 55.
2 Guy Annequin, op. cit., pag. 244.
3 Filoramo-Massenzio-Raveri-Scarpi, op. cit., pag.143.
4 Pietro Bandini, op. cit., pagg. 133-134.
5 Eric Thompson, op. cit., pagg. 172-174.
6 David Webster, op. cit., pag.133.
7 Pietro Bandini, op. cit., pag. 20
8 Michael D. Coe,. op. cit., pagg. 54-55.
9 Herbert Wilhelmi, op. cit., pag. 74.
10 Peter James-Nick Thorpe, op. cit., pag. 38.
11 Eric Thompson, op. cit., pag. 188.
12 Magda Wimmer, I Maya, Tessitori del tempo, giocolieri dell’universo, Newton e Compton Editori, Roma, Dicembre 2003, pag. 34. Titolo originale: Die Maya.

13 Eric Thompson, op. cit,. pagg. 189-190.
14 Martin Brennan, op. cit., pag. 27.
15 Ibidem, pagg. 27-28.
16 Magda Wimmer, op. cit., pag. 50.
17 Martin Brennan, op. cit, passim.
18 “Hera, Civiltà scomparse, Misteri archeologici”. Hera Edizioni, Roma, mensile n. 57, Ottobre 2004, articolo di Adriano Forgione, El Tajin, la bellezza e il mistero, cit., pag 23. Antico popolo mesoamericano stanziato nel Messico, nella zona ove oggi si trova lo stato di Veracruz cioè lungo le sponde del golfo di Campeche – porzione occidentale del golfo del messico. Era gente pacifica, dedita all’ agricoltura e alla caccia. Ad essi si fa risalire la cultura del Tajin ( o cultura totonaca ) che ebbe in Tajin il più importante centro archeologico. Contigua all’ area della cultura precassica precolombiana olmeca, la civiltà totonaca subì certamente le influenze artistiche, sociali e religiose dei vicini. L’ arte dei totonachi appare particolarmente matura e raffinata. Molto scarse sono comunque le notizie intorno a questo popolo le cui testimonianze archeologiche hanno tuttavia tutte le caratteristiche delle altre culture mesoamericane del periodo classico . El Tajin, sebbene esistente all’ arrivo degli spagnoli nello stato di Veracruz nel 1519, restò del tutto sconosciuta fino al 1785, quando venne scoperta per puro caso dall’ ingegnere Diego Ruiz “. L archeologo Roberto Rodriguez, a proposito della loro origine dice: ‘ Ho passato decadi a raccogliere i miti di questa gente e c’ è ne uno che reputano della massima importanza. E stato Don Petro, un totonaco esemplare a narrarmelo ’. Questi dice: ‘ Veniamo da oriente, da dove oggi è mare e dove c’ era Atlanticù, il nome della grande isola dove riposa il nostro buon padre ’. Quindi come chiarisce l’ archeologo Roberto Rodriguez , i totonachi sono convinti che fosse “ Atlanticù il loro luogo d’ origine e che questa isola, centro vitale, ricco e meraviglioso, dotata di case bianche che rispendevano al sole come argento, fu distrutta in una sola notte a causa del tradimento degli uomini alle leggi divine “.
19 “Hera, Civiltà scomparse, Misteri Archeologici”, Hera Edizioni, mensile n. 57, Roma, Anno V, Ottobre 2004, articolo di Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, pag. 24-27.
20 I Maya concepivano la terra quadrata e con quattro angoli, ognuno dei quali in corrispondenza di un punto cardinale che aveva un valore cromatico: rosso per l’ est, bianco per il nord, nero per l’ ovest, giallo per il sud, mentre il centro era verde. Il cielo era pensato multistratico e sorretto agli angoli da quattro Bacab, dei titanici con le relative associazioni cromatiche.
21 Herbert Wilhelmi, op. cit., pag. 371.
22 Eric Thompson, op. cit., pag. 203.
23Henri Sterlin, I Maya, Palazzi e Piramidi della Foresta Vergine, Benedikt Taschen Verlag GmBH, 1998, pag. 180.
24 Ibidem.
25 Eric Thompson, op. cit., pag. 182.
26 Hernri Stierlin, op. cit., pag. 180.

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