martedì 29 maggio 2012

I sofisti.


Nell'Atene del V secolo si sviluppa un movimento di filosofi che smette di interrogarsi sull'essere e sulla natura, per porre l'attenzione sull'uomo. Questi intellettuali presero il nome di sofisti.
Essi affermarono la relatività di ogni conoscenza e l'impossibilità di rispondere a domande che vanno oltre le reali possibilità umane. Per tale motivo non godettero di buona fama, tanto che Platone polemizza contro di loro in vari dialoghi. L'avversione verso questi studiosi ha fatto sì che le loro opere andassero perdute, e che si siano conservate solo pochi frammenti.
I contemporanei li accusavano anche di essere mercenari, gente disposta a vendere il proprio sapere a chiunque fosse disposto a pagarli.
In realtà i sofisti furono un gruppo di intellettuali, di studiosi intenti ad eliminare superstizioni e tradizioni retrive.
Essi partivano dal postulato di base che delle cose che vanno al di là della realtà umana è inutile parlare, perché non si hanno elementi per provarle o confutarle. Perciò non ha senso discutere dell'esistenza o meno delle divinità, della totalità dell'universo o di altro. Bisogna conseguentemente studiare solo ciò che siamo in grado di conoscere.
I più importanti sofisti furono Protagora di Abdera, vissuto tra il 485/486, e Gorgia da Lentini, vissuto tra il 485/480 a.C.
Ambedue accantonano il vecchio problema dell'archè e dell'essere e, spostando l'attenzione sull'uomo e sui loro rapporti, studiano la virtù politica e la possibile comunicazione mediante la parola (da ciò derivano le indagini a carattere logico – linguistico).
Famosa è la frase di Protagora: di tutte le cose misura è l’uomo; di quelle che sono per come sono, di quelle che non sono, per come non sono. Quindi col pensiero l’uomo non può cogliere né gli dei, né l’essere. Qualsiasi dimostrazione in tal senso non trova luogo e tutto si riduce ad una mera costruzione della mente. La natura si presenta a noi come fatto di esperienza, ed è l’uomo (la verità) a dire ciò che è vero e ciò che è falso. Proprio per ciò la tesi A può essere vera quanto la tesi B, pur essendo entrambe contraddittorie. Nascono da ciò le antilogie (contraddizioni), che portate alle estreme conseguenze porteranno all’eristica, cioè in quella degenerazione della sofistica consistente nella confutazione di qualsiasi tesi, vera o falsa che sia, con argomenti volti ad avere comunque la meglio nella discussione, a prescindere dalla verità o falsità delle tesi sostenute.
Pertanto, per Protagora vero è ciò che convince e persuade. Ragionare è discorrere e persuadere, a tale fine possono essere utilizzate due tecniche: la brachilogia (breve domande e risposte) e la macrologia (lungo discorso oratorio).
Gorgia afferma di non preoccuparsi dell’essere o del non – essere, porre l’uno o l’altro è la stessa cosa, essi, infatti, sono inconoscibili e non incidono affatto sul mondo umano.
Nel DE non – ente o della natura vi sono tre capisaldi: nulla è; se qualcosa è, è umanamente inafferrabile; se pure è afferrabile è certo incomunicabile e non spiegabile agli altri.
Nell’Elogio di Elena viene rilevata la grande importanza della parola, che, con piccolissimo e invisibilissimo corpo, riesce a compiere divinissime cose.
Prodico di Ceo, nato tra il 470-460 a.C., concentra i suoi studi sull'origine delle parole (etimologia) e sulle differenze di significato tra parole simili (sinonimica).
Ippia, Antifonte e Trasimaco insegnarono in un momento delicato della storia greca, e si affermarono come critici del diritto. Erano, infatti, dell'opinione che la giustizia non risiede unicamente nella cieca ubbidienza alle leggi civili.
Per questi tre studiosi la legge è solo una convenzione, e spesso essa mortifica il più debole, mentre per natura gli uomini sono tutti eguali.
Le leggi civili dovrebbero essere solo un ausilio per seguire meglio le esigenze primarie dell'uomo, che sono la nascita e la morte. Ma dato che esse vengono fatte dai potenti non salvaguardano i più poveri. Inoltre, ammettendo pure che siano effettivamente opportune e giuste quando nascono, hanno il difetto di rimanere in vigore anche quando sono diventate obsolete ed assurde.
Quando le leggi divengono tiranniche, il filosofo deve invitare a non osservarle e a seguire, piuttosto, le leggi della natura. Infine, la sfiducia nelle leggi civili culmina nell'asserzione di Trasimaco che la giustizia dell'uomo non è altro che l'utilità del più forte.
Questo forte pessimismo provocò il distacco da questo gruppo di sofisti di Socrate, il quale, invece, credeva nella reale possibilità dell'uomo di realizzare una vita giusta all'interno di una società.

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