Ludwig
Feuerbach
nasce il 28 luglio del 1804 e seguì le lezioni di Hegel. Il suo
primo lavoro prende il titolo di Pensieri
sulla morte e l’immortalità
(1830), seguito dalla Critica
della filosofia hegeliana
(1839), L’Essenza
del Cristianesimo
(1841), Tesi
provvisorie per la riforma della filosofia
(1843) e Principi
della filosofia dell’avvenire (1841).
Nel 1846 esce L’essenza
della religione.
Tenne, inoltre, le Lezioni
sull’essenza della religione
e scrisse una Teogonia.
Muore il 13 Settembre del 1872. Appartenente alla sinistra hegeliana,
Feuerbach si caratterizza per il tentativo di costruire una nuova
filosofia intesa come antropologia. Questa operazione non è, però,
arbitraria, ma rappresenta la conseguenza della filosofia moderna che
culmina in Hegel. Pertanto, bisogna partire da Hegel per vedere
l’ultima mistificazione del pensiero speculativo. Denunciata tale
misticazione si può rivendicare il sensibile, l’immediato e il
reale. Questo compito comporta un’ulteriore umanizzazione di Dio
che era stata già perseguita in età moderna. Per Feuerbach,
infatti, storia della filosofia e storia della teologia (e del
Cristianesimo) vanno di pari passo, ovvero vanno sotto un medesimo
processo che culmina nella trasformazione della teologia in
antropologia grazie alla filosofia, identificata in critica della
religione. Nello studio del fenomeno religioso, Feuerbach utilizza un
metodo dialettico e nel contempo storico-genetico, secondo il quale
la religione non è un semplice cumulo di sciocchezze o di errori, ma
è il risultato del processo conoscitivo della coscienza, che nel
conoscersi tende ad oggettivare la sua essenza in qualcosa
considerato altro da sé. Pertanto, la religione non è altro che il
risultato di questo processo di oggettivizzazione dell’essenza
dell’uomo in un essere considerato indipendente da lui (ovvero
Dio). La storia delle religioni è perciò la storia della coscienza
umana che prima si conosce in maniera frammentaria (e si ha il
politeismo) per poi concepirsi come un tutto totale (e si ha il
monoteismo). Tale proiezione della propria coscienza viene, però,
vissuta dall’uomo come se Dio fosse realmente esistente. Il
processo religioso è un processo dialettico di alienazione e
integrazione. Alienazione perché l’essenza della coscienza si vede
altra da sé; integrazione perché l’uomo in questa proiezione o
oggettivazione della sua coscienza in altro da sé ne trova
soddisfazione. Ora, se nella religione, in qualsiasi religione, il
complesso rapporto tra la coscienza e il suo oggetto è destinato a
rimanere nascosto, è invece, compito della filosofia portarlo alla
luce. L’età moderna non è altro, secondo questo pensatore, che la
negazione della teologia, e l’idealismo tedesco è la vera e
propria apoteosi della ragione come scoperta del fatto che il
contenuto delle religioni, anche delle più alte e pure, è
costituito precisamente dalle strutture logiche e dialettiche della
ragione stessa che in quelle religioni si è obiettivata e alienata.
La filosofia, però, ancora non è riuscita a chiarire questo suo
compito e anzi la speculazione di Hegel è un nuovo sistema che
difende ulteriormente la dottrina Cristiana. Per superare le
difficoltà della filosofia speculativa bisogna rivalutare ciò che
Hegel ha trattato solo in nota. Bisogna rivalutare il sensibile sotto
una luce nuova, diversa anche dall’empirismo illuministico.
Infatti, anche quest’ultimo ha dimenticato che il più importante
ed essenziale degli oggetti sensibili è proprio l’uomo. Ma la
sensibilità non è solo uno strumento conoscitivo, e, infatti,
l’uomo si riconosce un qualcos’altro nelle passioni e nell’amore.
Solo quando c’è amore e passione c’è scoperta dell’esistenza
delle cose e degli altri. Per
chi non ama è indifferente che l’oggetto esista o meno; in tal
senso l’unica prova ontologica dell’esistenza degli oggetti fuori
della nostra testa è dato dall’amore. Tuttavia, la coscienza non
si svilupperebbe se la tensione tra soggetto e oggetto riguardasse
solo le cose, ma anzi la coscienza si sviluppa perché il processo
dialettico è sempre un dialogo tra uomini, che sono sempre un io e
un tu. Nessun uomo, inoltre, ha in sé l’essenza dell’uomo, ma
questa si realizza soltanto nella specie, nell’intero
genere umano, ossia nell’intera comunità dell’uomo con l’uomo.
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