Nasce
a Stoccarda il 27 Agosto del 1770. Affrontando nella gioventù
problemi quali la vita di Gesù, il destino del cristianesimo, il
rapporto tra popolo e religione, nascono alcuni scritti determinanti
per la sua concezione dello spirito, della dialettica e della storia,
che verranno pubblicati da Hermann con il titolo improprio di
Scritti teologici giovanili.
Nel 1801 insieme a Schelling fonda il Giornale
critico della filosofia.
Nel contempo escono i suoi primi scritti: la Differenza
tra il sistema filosofico di Fichte e di Schelling,
Il
Rapporto
dello scetticismo alla filosofia,
Fede
e sapere,
Le
maniere di trattare scientificamente il diritto naturale e
il
Sistema
dell’eticità e la Costituzione della Germania.
Nel 1807 esce la poderosa Fenomenologia
dello Spirito.
Quindi la Propedeutica
filosofica.
Del 1812-1816 è La
scienza della logica
articolata in tre sezioni riguardanti rispettivamente la logica
dell’essere, dell’essenza e del concetto. Nel 1817 esce
L’Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio,
quindi la Filosofia
del diritto
e infine la II e III edizione dell’Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio.
Muore a Berlino il 14 Novembre del 1831. Il nome di Hegel nel
pensiero contemporaneo è strettamente connesso al concetto di
dialettica. Ma se noi volgiamo uno sguardo all’opera hegeliana
possiamo notare un fatto, a prima vista abbastanza sconcertante: alla
dialettica Hegel non ha dedicato nessuno scritto specifico e neppure
una delle tante sezioni in cui veniva meticolosamente articolando i
suoi libri. Questo fatto ci porta subito nel cuore del pensiero
hegeliano. La dialettica viene concepita sotto un aspetto nuovo in
quanto non è più un procedimento del pensiero che si applica alla
realtà e al proprio oggetto, ma è una legge interna e necessaria
tanto del pensiero quanto della realtà. Quindi per Hegel la
trattazione di ogni problema non può che essere una trattazione
dialettica, se vuole essere filosofica e cogliere la verità. Se
ancora in Kant la metafisica, come disciplina più specificatamente
filosofica, viene riportata a tre problemi specifici: Dio, anima,
mondo. Quindi, ancora in Kant la filosofia teoretica veniva distinta
accuratamente da quella pratica, la morale dalla conoscenza, il
sentimento da entrambe e così via. Con Hegel, infatti, non si può
più distinguere a priori che cosa abbia rilevanza filosofica e che
cosa no, ciò perché non è mai possibile trovare in un singolo
concetto o in un singolo contenuto la verità; infatti, ogni
passaggio è una manifestazione dialettica che ha fondamentale
importanza filosofica. La dialettica hegeliana è, prima di tutto,
strettamente connessa alla nozione di sviluppo, ma non di uno
sviluppo illimitato, bensì di uno sviluppo che tende al concreto
mediante il superamento dell’astrattezza insita in ogni
opposizione. Ciò non significa che per Hegel il concreto sia il dato
sensibile, e l'astratto
il concetto. Veramente concreto è per Hegel il compimento di un
processo, l’unità di opposti (dove
l’uno ha bisogno dell’altro per realizzarsi). Per fare un
esempio: elementi come idrogeno e ossigeno sono astratti rispetto
alla loro sintesi, ossia l’acqua; o ancora l’uomo e la donna
presi di per sé sono due elementi astratti rispetto alla loro
sintesi che è l’amore e la famiglia. La nozione di astratto di
Hegel non è pertanto legabile ad un significato ontologico o
gnoseologico, bensì è un processo dove
i termini opposti si negano reciprocatamene e si integrano in una più
ricca unità. Si tratta perciò di comprendere la funzione feconda e
insopprimibile della contraddizione come legge di sviluppo della
realtà. Ciò significa che la logica hegeliana si contrappone alla
logica tradizionale fondata sul principio di identità e sul
principio di non – contraddizione, accusata di chiudersi nell'astrattezza degli opposti e di non giungere pertanto alla
mediazione, ossia a cogliere l’unità degli opposti nella loro
sintesi. Bisogna quindi superare la supposizione che la dialettica
abbia un risultato negativo. La negazione dialettica non è mai
assoluta, è, infatti, negazione di un limite e suo superamento per la
realizzazione di un qualcos'altro di più alto e perfetto. Come
succede nell'Idea della natura che si pone come altro da sé e poi
torna a sé nello Spirito. Una tesi hegeliana assai celebre afferma
che “ciò
che è razionale, è reale; ciò che è reale, è razionale
”. Tale tesi è enunciata nella prefazione della Filosofia
del Diritto.
Identificando il reale con il razionale, Hegel non intende minimamente
glorificare il fatto compiuto, appiattire il razionale sul reale, ma
ottenere il risultato esattamente contrario, cioè dare un criterio
per individuare nel complesso di fenomeni che si accavallano nella
storia e nella natura un filo conduttore capace di orientarci, di
farci comprendere che cosa veramente è significativo ed efficace e
che cosa, invece, è soltanto contingente e irrilevante.
L’identificazione di reale e razionale può sembrare scandalosa,
scrive Hegel nel sesto capitolo dell’Enciclopedia, a chi non si
rende conti di due punti essenziali: da un lato che Dio è reale, è
la cosa più reale, è la sola cosa veramente reale, è dall'altro che l’esistenza è in gran parte fenomeno, manifestazione,
apparenza e solo in parte realtà. È vero, dice Hegel, che nella
vita quotidiana si attribuisce il nome reale a cose anche passeggere
e difettose, ma basta pensarci un poco per capire che un’esistenza
accidentale non merita il nome di reale, bensì di possibile, in
quanto può esistere ma anche non – esistere. Veramente reale è, per esempio, non l’arcobaleno, ma le leggi fisiche che lo formano.
Hegel chiama questo processo razionale, anche se supera i limiti e le
funzioni della ragione. Perché? Per Hegel la ragione è anche un
modo di pensare e di agire dell’essere umano, ma non il solo. Per
Hegel la ragione si identifica con l’essenza di quella realtà di
cui anche l’uomo è una manifestazione. Una razionalità che non
sarebbe tale se non giungesse a conoscersi concettualmente. La
conquista di questo sapere passa attraverso la natura e la storia;
viceversa la natura e la storia portano alla conquista di questo
sapere mediante l’Idea. Tutto questo sapere che si realizza pienamente nella
filosofia. Per tale motivo il momento dialettico (negazione,
movimento) è inseparabile dal momento speculativo: ossia della
conquista del sapere assoluto. La ragione spiega, quindi, un sapere che
nasce dal superamento degli opposti e che ne comprende l’unità
dialettica, e si allontana da quelle forme di sapere (come la logica tradizionale e
le scienze naturali) che derivano dall'intelletto e che, invece, si
fermano agli opposti, irrigidendoli nella loro opposizione e
considerandola come insuperabile e definitiva. In altre parole, possiamo dire che l’intelletto vede i finiti come termini ultimi,
irriducibili, inconciliabili; la ragione comprende invece che nessuno
dei finiti è autosufficiente, è veramente in sé, ma ciascuno
richiede di essere compreso mediante gli altri, nell'unità dialettica e speculative degli opposti. A tale posizione Hegel non
giunge in base alla risoluzione di problemi logici o metodologici,
bensì in seguito allo studio approfondito del senso della storia.
Ciò lo si comprende molto bene dai suoi Scritti
teologici giovanili, dove cerca un nuovo concetto di filosofia che possa risolvere il
problema del rapporto tra finito e infinito, e quindi le interne
lacerazioni del mondo moderno, in maniera tale da potere riconciliare
l’uomo e il mondo, Dio e l’uomo, Dio e il mondo. Secondo Hegel, infatti, con il tramonto del mondo classico la nuova mentalità
ebraico-cristiana ha portato a contrapporre il mondo terreno a quello
ultraterreno, e ha scavato tra l’uomo e Dio un solco invalicabile.
Le filosofie che rimangono chiuse nell'ambito dell’intelletto
corrispondono a questa lacerazione storico-politica-religiosa. Il
superamento di tale posizione non si è avuta nemmeno dai più grandi
pensatori moderni come Kant, Fichte e Jacobi. Ma afferma Hegel in
Fede e sapere finchè tale superamento tra finito e infinito non
verrà compiuto rimarrà sempre la concezione dell’infinito come
“cattivo infinito”, ovvero come un qualcosa di irrealizzabile,
come un qualcosa di al di là del raggiungibile. Sciogliere, dunque, la filosofia dai limiti dell’intelletto e portarla al livello della
ragione significa passare a un concetto nuovo di infinito e cioè
intenderlo non come semplice negazione dei finiti (gli uomini, le
cose della natura, e le entità storiche), ma come la loro unita e
conciliazione dialettica che si realizza nella storia.
Comprendere
l’identità di razionale e reale significa non solo raggiungere un
adeguato sapere filosofico, ma anche saper cogliere il significato
più profondo della storia. Queste tesi hegeliane non sono però
frutto di una metodologia; in questo caso di
una metodologia che sembrerebbe dialettico-speculativa. Come dimostra
la Fenomenologia
dello spirito
la conquista del sapere assoluto (o speculativo) è il risultato
necessario dell’intero sviluppo della storia della coscienza umana
e dei suoi modi di pensare, dalle forme più semplici a quelle più
elevate come la filosofia, che non è più sapere proprio di questa o
quella coscienza singola, ma sapere assoluto dove lo spirito ha
finalmente trovato e compreso se stesso e la propria storia.
Considerare il problema del metodo o il problema del criticismo
rispetto alla verità significa semplicemente pensare che la verità
esiste in sé e per sé indipendentemente dalla via in cui viene
raggiunta. Ciò significa precludersi la conoscenza della verità che
non sta nel soggetto o nell’oggetto, ma nella loro sintesi. Ma non
per questo Hegel cade nell’errore dei romantici, secondo i quali la
verità sta in una intuizione immediata, in un atto di fede o di
sentimento: la verità è sempre ragione, è negazione degli opposti
e loro superamento, è sintesi. Pertanto, non vi è verità senza
ragione. La mediazione, la sintesi avviene all’interno
dell’Assoluto. L’Assoluto non è una sostanza morta, ma è una
sostanza che è anche soggetto, poiché ha in sé il principio del
proprio movimento e della distinzione negli opposti e della loro
unione nella sintesi. Questa sintesi è lo Spirito, che nel suo
sviluppo ha una finalità ben precisa, che è quella della conquista
graduale del sapere assoluto. Il problema della verità non è più il
problema posto dal soggetto rispetto all’oggetto; il problema della
verità trova la sua più grande risoluzione nell’intero, ovvero
nella dialettica che muove all’interno delle negazioni per
sintetizzarle. Il processo di conquista del sapere implica l’intera
storia dell’umanità: dal primitivo dispotismo che dà vita alla
dialettica tra padrone e servo, al mondo greco idealizzato nelle
grande figure della tragedia, allo stoicismo, allo scetticismo, alla
coscienza infelice, fino alla cultura frivola del settecento e
all’aridità della ragione illuministica, destinata a concludersi
nel terrore, alla nuova moralità rigorista kantiana e alla
incapacità dell’anima bella di realizzare il suo ideale di
riconciliazione. Questo quadro storico non è però una sintesi,
bensì è la dispiegazione dell’assoluto secondo una successione
di gradi o, meglio, di figure della coscienza sempre più alte e
complesse, di cui lo Spirito, alla fine, coglie la necessità e
l’ordine in un quadro dialettico unitario. Dal cammino
fenomenologico si giunge alla scienza del concetto come sapere puro,
che conosce la necessità logica del proprio sviluppo, e in questo
senso Hegel può definire la logica come speculativa. Oggetto della
logica è infatti “la verità come essa è in sé e per sé senza
velo”, ossia l’Idea pura, le leggi e le determinazioni del
pensiero quali il pensiero dà a se stesso senza presupporli, o
esserne dipendente. Ossia l’insieme di nozioni che permettono lo
sviluppo interno, dialettico del pensiero puro. La logica si divide
in tre parti: dottrina dell’essere, dottrina dell’essenza e
dottrina del concetto.
Dottrina
dell’essere.
In questa prima parte della logica che concerne le determinazioni
dell’essere come qualità, quantità e misura, si ha a che fare con
categorie che passano l’una nell’altra, nel senso di avere una
propria determinatezza, ma che tale si realizza soltanto in quanto
ciascuna svanisce nella successiva. È quello che si vede all’inizio
con la triade “essere, nulla, divenire”. Tale triade riconosce
che la nozione di essere, presa in sé isolatamente, è del tutto
vuota, non indica nulla in quanto ciò che conosciamo è sempre
qualcosa di determinato, dotato di questa o quella qualità,
quantità, ecc. Inoltre tale triade chiarisce che l’essere puro
stesso, preso nella sua immediatezza, nella sua essenza più propria,
si rovescia dialetticamente, passa necessariamente nel suo opposto,
nella sua negazione, ossia nel non-essere, nel nulla; tutto questo
non deve essere inteso però come se essere e nulla fossero dei
termini sussistenti di per sé, di cui il divenire rappresenterebbe
una sintesi estrinseca; al contrario, il divenire non è altro che il
passare dell’essere nel nulla in un processo che si conclude con il
superamento dei primi due termini nel terzo, dando luogo ad un
ulteriore sviluppo del processo, a una nuova nozione; come dice
Hegel, la
sfrenata inquietudine del divenire precipita in un risultato calmo, e
cioè nella quieta semplicità dell’essere
determinato.
Hegel quindi prende in esame il concetto di infinito sotto due
aspetti: qualità e quantità. Nel caso della qualità Hegel si
preoccupa di mostrare l’inadeguatezza di qualsiasi concezione
dell’infinito che viene limitato o contrapposto al finito; un
infinito che avesse qualcosa di fronte a sé come esterno, ne sarebbe
limitato e sarebbe quindi esso stesso finito. avremmo quindi il
cattivo infinito, poiché si dovrebbe andare oltre il finito. Nel
caso della quantità afferma che una concezione sbagliata
dell’infinito ha fatto si che esso venisse concepito come una
progressione quantitativa infinita, ma il limite del quanto rinvia al
di là di esso stesso a qualcosa che a sua volta è ancora un quanto
e che per sua natura rinvia ulteriormente a un quanto, e così
all’infinito in una contraddizione irrisolta.
La
dottrina dell’essenza.
In questa seconda parte della logica vengono esaminate quelle
categorie che non passano più l’una nell’altra, ma si trovano in
un rapporto relazionale intrinseco, per cui si riflettono l’una
nell’altra avendo al proprio interno il momento della negazione e
della mediazione. Pertanto, se prendiamo ad esempio, i termini
positivo e negativo e li confrontiamo con quelli essere e nulla,
vediamo subito la differenza. Il positivo preso di per sé non ha
alcun senso, richiede infatti necessariamente e intrinsecamente il
riferimento al negativo; e questo al positivo. Quindi nella dottrina
dell’essere, l’essere svanisce nel nulla, e in questo svanire sia
il divenire; che la quietitudine dell’essere determinato. Nella
dottrina dell’essenza ogni termine è già determinato, ma è
relativo al suo altro, cioè all’opposto. Pertanto non si ha un
vero e proprio passare, perché nel passare del diverso al diverso,
il diverso non scompare, ma i diversi non avrebbero significato se
non relazionati tra loro. La dottrina dell’essenza si articola in
tre sezioni e cioè, l’essenza in quanto appare in se stessa,
l’essenza in quanto esce fuori di se e si manifesta come fenomeno,
e infine l’essenza quale unità di essenza e fenomeno nella realtà
effettiva. Nella prima parte fondamentale è la discussione sulle
classiche categorie di identità (A=A), di non contraddizione (A=A
diverso da B) e del terzo escluso (se A è A allora, posto che A è
affermato non può essere B). Tale logica se è valida da un punto di
vista intellettivo, perde di significato da un punto di vista
razionale, ove la ragione muove da una dialettica che nella sua
negazione sintetizza gli astratti opposti in una realtà.
La
dottrina del concetto. In
quest’ultima
parte viene studiato lo sviluppo intrinseco del concetto, termine che
in Hegel non ha nulla a che fare con una concezione astratta,
nominalistica o psicologica del pensiero, ma che costituisce una
parte fondamentale della realizzazione dell’Idea. Anche questa
dottrina si divide in tre parti che studiano rispettivamente la
soggettività, l’oggettività e l’Idea. Anche nella dottrina del
concetto però i vari tipi di concetto (universale, particolare,
singolare) e di giudizio (positivo, negativo, infinito) vengono
inclusi nel quadro del processo dialettico-speculativo, nel quale il
concetto, attraverso la determinazione data dal giudizio come
rapporto di soggetto e predicato tra le determinazione del concetto
realizza la totalità sempre più complessa del sillogismo. Il
sillogismo pertanto non è un semplice strumento argomentativi, bensì
costituisce la dimostrazione del carattere intrinsecamente dialettico
del concetto e quindi della sua oggettività, quale momento
essenziale della realizzazione dell’Idea. L’oggettività a sua
volta si esplica in tre gradi: meccanismo, chimismo, teleologia.
Nella teleologia vediamo una ripresa della fisica aristotelica, per
cui si ha una finalità interna. L’ultima sezione del concetto
considera infine la realizzazione dell’Idea nei tre gradi dell’Idea
della vita, dell’Idea del conoscere e dell’Idea assoluta. L’Idea
del conoscere a sua volta si articola in Idea del vero e Idea del
bene. La trattazione dell’Idea assoluta si conclude con il
passaggio dalla logica alla filosofia della natura attraverso quella
che Hegel chiama l’assoluta liberazione dell’Idea, ovvero la sua
decisione di estrinsecarsi nello spazio e nel tempo, come natura.
La
natura
Nella parte della filosofia della natura, la natura rappresenta la
realizzazione e l’estrinsecarsi dell’Idea per ritrovarsi come
spirito. Tale estrinsecità non va però intesa come una semplice
contrapposizione esterna tra la natura e l’Idea (quasi come tra una
creatura e il creatore, o qualcosa di derivato e la sua fonte), bensì
come estrinsecità dell’Idea a se stessa. A questo punto si
acquisisce un criterio ben preciso per comprendere per comprendere
l’articolazione e distribuzione della filosofia della natura, come
ricostruzione dell’itinerario attraverso il quale l’Idea cerca di
superare tale estrinsecità e di tornare a se stesso. Tale tentativo
non verrà mai raggiunto in maniera completa e totale in quanto anche
nelle forme di vita animale più complesse il rapporto tra
l’individuo e l’universale non sarà mai un rapporto di
conciliazione adeguata e completa quale si potrà avere solo nello
spirito. Non si può fare quindi nessuna divinizzazione della natura,
in quanto anche la forma più elementare di manifestazione dello
spirito è già un fondamento della conoscenza dell’essere di Dio
di gran lunga superiore a qualsiasi oggetto naturale. Hegel afferma
che la natura ha una contraddizione insoluta e non è in grado a
realizzare il concetto. Sottolineare i limiti della natura non
significa però dimenticare che anch’essa costituisce un momento
dello sviluppo dell’Idea e in quanto tale richiede una
considerazione rigorosamente razionale e concettuale. Per tale motivo
Hegel polemizza contro coloro che riducono la natura ad un sapere
puramente intellettivo. Infatti se è vero che essa è esperienza è
anche vero che nella natura il processo dialettico rimane
fondamentale per capire che la verità si raggiunge a gradi, ove il
successivo e meno completo del seguente e così via.
La
Meccanica.
Questa parte si apre con lo studio dei complessi rapporti dialettici
tra spazio e tempo, considerati da Hegel i primi parametri
dell’estrinsecità. Da tali parametri trovano risultato la nozione
di luogo, movimento e materia. Si affronta quindi la meccanica finita
con il suo movimento costituito da inerzia, urto e caduta. Si giunge
quindi alla terza parte dedicata alla meccanica assoluta che tratta
della gravitazione universale. Suo oggetto di studio è il sistema
dei corpi celesti, ove i corpi celesti sono presi di per sé, e non
tornati ancora all’unità organica del concetto. Per Hegel il
sistema solare costituisce una forma di organismo che ha estrinsecato
le sue parti, cioè non è un vero e proprio organismo in sé, in
quanto l’unità (o idealità) delle sue parti è dato dal
movimento.
La
Fisica.
Questa parte studia gli elementi della natura e il suo giungere alla
vita. Questo processo, che innalza la materia al di sopra della
gravitazione e culmina con la vita, viene studiata nella
realizzazione di quella forma che è l’individualità.
Individualità che però non è ancora organicità. Infatti tale
individualità si manifesta in un rapporto di neutralizzazione e
differenziazione degli opposti, che però non ha ancora il carattere
di circolarità ed autonomia propria della vita.
La
fisica organica.
Questa parte con il termine organico comprende dei significati molto
ampi, tanto che per organico si intende anche l’organismo
terrestre, a cui è dedicata la prima parte. Quindi si passa alla
trattazione degli organismi che hanno una propria individualità
vivente, e che realizzano una reciproca funzionalità tra le proprie
membra. Si parla pertanto delle piante e degli animali. Nelle piante
questa organicità e individualità è ancora imperfetta, in quanto
la pianta è sola un aggregato di individualità indipendenti e
capaci di scindersi da essa; si realizza però pienamente negli
animali, ove l’individualità è garantita dalla differenziazione
sessuale e dalla capacità di riprodurre il proprio genere tramite un
complesso e articolato rapporto con la natura esterna. Per quanto
alta e perfetta questa vita però non si realizza quella negazione
“ideale” dell’altro che solo con lo spirito e il sapere si
realizza. Infatti questo grado di vita si esaurisce in un cattivo
infinito,
in quanto non si realizza un’autentica sintesi di unità e
singolarità, ma solo in una continua ripetizione di un medesimo
processo di riproduzione di altri individui.
Lo
spirito soggettivo.
Con
il superamento della natura nello spirito, l’Idea che nella logica
era sta concepita nel suo sé e nella filosofia della natura nella
sua estrinsecità a se stessa, viene invece colta nel suo essere per
sé, a partire dalle forme più embrionali della coscienza sino al
sapere concettuale assoluto della filosofia.
lo studio di questo processo, a cui è dedicata la terza parte delle
Enciclopedia
delle scienze filosofiche,
si articola in tre sezioni concernenti rispettivamente lo spirito
soggettivo,
lo spirito
oggettivo
e lo spirito
assoluto.
Anche in questo caso si tratta di cogliere il nesso
dialettico-sintetico tra lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo
che si realizza con lo spirito assoluto, ovvero con arte, religione
e filosofia. Infatti lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo,
nella loro opposizione, sono ancora finiti, limitati e, richiedono
quindi la sintesi (che si realizza con lo spirito assoluto). Lo
spirito soggettivo
rappresenta il momento di negazione della natura che si realizza a
partire dalle forme più elementari di vita psichica, e via via nelle
forme più elevate di sapere e di volere. Lo
spirito oggettivo
invece si realizza con la negazione dello spirito soggettivo nelle
istituzioni, nella storia, e nell’eticità.
Lo spirito soggettivo si attua con la sintesi dell’anima con la
coscienza. E cioè lo spirito soggettivo si realizza in tale modo:
anima
+ coscienza = spirito soggettivo.
Ciò significa che lo spirito soggettivo è il risultato della
sintesi dato dal processo dialettico che nega i due e li supera nella
realizzazione dello spirito soggettivo. La filosofia hegeliana nega
pertanto ogni forma di dualismo tra corpo e anima, tra sensibilità e
ragione, e anzi cerca di cogliere lo sviluppo integrale della psiche
umana, che nel suo primo momento (anima) getta le basi profonde nella
corporeità. L’anima indica infatti tutto quel complesso di legami
tra spirito e natura che nell’uomo si manifestano come carattere,
come temperamento, come le varie disposizioni psicofisiche connesse
alle diverse età della vita e alle differenze di sesso; è la vita
nel sonno e nella veglia, dello sviluppo regolare della mente o delle
sue deviazioni; è la vita psichica che culmina nell’abitudine come
esercizio in cui l’anima prende veramente possesso del proprio
corpo, delle proprie sensazioni, dei propri sentimenti, in modo da
trasformarli in strumenti duttili e maneggevoli. A
questo momento iniziale di identificazione con il proprio corpo segue
un secondo momento opposto e antitetico, in cui lo spirito non solo
tende a distinguersi dal proprio corpo, ma anche dall’individualità
particolare e dal mondo sensibile e naturale: è il cammino della
coscienza all’autocoscienza, gia descritta nella Fenomenologia
dello
spirito,
e dove gioca un ruolo importante la dialettica servo–padrone.
Dopo che la coscienza penetra la natura scoprendone le leggi e
capendo che in tale leggi si ha un principio intelligibile analogo a
sé, la coscienza tende ad innalzarsi a libera autocoscienza mediante
il riconoscimento dell’altro. Questo riconoscimento avviene con il
conflitto tra due autocoscienze, ognuna delle quali si pone come
assoluta contro l’altra; cade nello stato di servitù colui che
sceglie la vita a posto della libertà, e che pertanto preferisce la
servitù alla morte. La condizione di servitù e il conseguente
obbligo di lavorare per il padrone portano il servo a negare,
mediante il lavoro, la propria singolarità e l’egoismo del proprio
appetito naturale. Singolarità ed egoistico appetito naturale di cui
invece rimane prigioniero il padrone. Per cui il prodotto del lavoro
non è altro che il termine di tale fruizione o negazione del servo
rispetto al padrone. Il prodotto è il risultato della modificazione
apportata dal soggetto, e viceversa ogni modificazione dell’oggetto
è apportata dal soggetto. Attraverso ciò il servo giunge alla
propria autocoscienza, in quanto coscienza di chi lavora. Il terzo
momento è quello dello spirito soggettivo vero e proprio, che
unifica in se i due opposti, e cioè l’anima come attività
produttiva inconscia e la coscienza come sapere. Tale unità si ha
nell’intelligenza come sapere produttivo e conscio insieme.
All’intelligenza che si realizza come momento teoretico si
contrappone un momento pratico (ma sempre soggettivo), che è la
volontà di autodeterminazione: è la vita degli impulsi e del libero
arbitrio, come possibilità formale di fare o di non-fare qualcosa.
Dalla sintesi di intelligenza e volontà si giunge allo spirito
soggettivo vero e proprio. Lo spirito soggettivo è libero (in quanto
volontà) e sa (in quanto intelligenza) di essere libero. Questa sul
libertà però si può realizzare solo con un ulteriore passaggio
dialettico, ovvero nello spirito oggettivo.
Lo
spirito oggettivo.
Lo spirito oggettivo è il mondo della storia e delle istituzioni.
Hegel, polemizzando contro il romanticismo che affermava che la
storia doveva essere compresa nel mondo del linguaggio, della poesia
e del mito, afferma che non vi può essere storia là dove non vi
sono istituzioni, ovvero dove lo spirito non si sia realizzato solo
in maniera soggettiva mediante il linguaggio, ma anche in rapporti
oggettivi come quelli giuridici-politici. Questi rapporti non sono
però il frutto di contratti sociali, o di accordi tra uomini. Al
contrario le istituzioni si possono avere solo all’interno di un
tessuto storico (costume, ethos) che costituisce la seconda natura
non traducibile in principi astratti o generici, ma corrisponde alla
vita spirituale di un singolo popolo in una fase determinata del
processo storico. Perciò il momento più alto dello spirito
oggettivo è l’eticità come sintesi dei due momenti anteriori e
tra loro opposti: il diritto e la morale. Il diritto corrisponde
all’esistenza del singolo sotto il piano formale. La moralità
invece rappresenta l’interiorizzarsi del volere non come semplici
rapporti esterni in ossequio alla legge, o al diritto; bensì
rappresenta l’interiorizzarsi del volere come intenzioni e
propositi. Tuttavia la moralità chiusa e isolata in sé stessa
finisce per scomparire in una soggettività astratta che vuole il
bene generico, universale, senza aggancio con il mondo dei doveri e
dei diritti. Quindi la moralità chiusa si supera nell’eticità
come libertà diventata consapevole di sé, come unità di essere e
di dovere essere che si realizza nello spirito di un popolo. La
storia viene pertanto vista da Hegel in secondo una sua intrinseca
razionalità. L’eticità si distingue in una articolazione
dialettica che vede la famiglia, la società civile e lo stato. La
società civile si articola in classi e in diverse forme di lavoro,
si dispiega in una serie di funzioni e di organismi che vanno
dall’amministrazione della giustizia alle corporazioni che devono
garantire all’individuo il suo riconoscimento all’interno di una
collettività. Lo stato a sua volta è la sintesi della famiglia e
della società civile. Se sul piano concettuale sembra che lo stato
appaia come il risultato di due momenti precedenti, sul piano
dell’Idea lo stato è il divaricarsi in questi due momenti.
L’individuo pertanto trova oggettività, eticità e verità solo
all’interno dello stato.
Lo
spirito
assoluto.
Se lo spirito vive negli stati e nei popoli, e se questa vita è
essenziale perché lo spirito si attui concretamente come libertà,
in queste sue realizzazioni vive però ancora in modo essenzialmente
oggettivo, e cioè senza un sapere pieno e assoluto del significato
della propria vita e del proprio sviluppo. Questo sapere, come
conciliazione autentica tra finito e infinito, può essere attinto
nelle tre “forme” dello spirito assoluto, arte,
religione
e filosofia,
identiche per il loro contenuto (che è appunto l’Assoluto,
l’integrazione dialettica di finito e infinito), ma diverse per il
modo in cui lo esprimono e comprendono. Nell’arte,
essendo l’opera d’arte finita e sensibile, lo spirito coglie
l’Assoluto come sapere immediato che consiste nell’intuizione
della forma sensibile come segno dell’idea. Nella religione,
al contrario, l’Assoluto viene colto nella rappresentazione; ovvero
la religione va oltre l’immagine che è sempre legata al sensibile,
e trasferisce tutto sul piano dell’universalità e del pensiero.
Tuttavia la rappresentazione anche se tenta di negare l’immagine e
il sensibile, non vi riesce in maniera completa, pertanto la
religione rimane sospesa tra l’intuizione e il pensiero. Ciò
significa che il rapporto tra l’uomo e Dio rimane sempre un
rapporto contraddittorio e dualistico, senza che si arriva alla loro
autentica conciliazione sul piano del sapere. Perciò la religione
non può essere l’ultima forma dello spirito, ma deve essere
superata nella
filosofia,
dove l’Assoluto passa nella forma del concetto, l’unica forma
completamente adeguata per la verità,
l’unica
forma in cui lo spirito è veramente per se stesso.
Tra arte, religione e filosofia si ha un rapporto dialettico che si
manifesta nel processo storico, per cui dall’arte alla religione, e
dalla religione alla filosofia. L’arte nasce in oriente e vede come
sua massima espressione la sfinge, che con la sua figura enigmatica
(tra uomo ed animale) corrisponde ancora ad una concezione inadeguata
e confusa che lo spirito ha di se stesso. Con un passaggio dialettico
lo spirito arriva nelle polis greche a contrapporsi dalla natura,
quindi si contrappone alle divinità della terra e del sangue con
quelle etiche della vita dello Stato. Quindi si ha l’arte classica
che si manifesta come perfetta corrispondenza tra lo spirito e la sua
espressione sensibile, nasce la rappresentazione plastica della
figura umana. Con la morte delle polis e della società greca si ha
il Cristianesimo, nuova religione ove lo spirito si riconosce come
interiorità. L’arte diventa quindi un’arte intrinsecamente
romantica in quanto si distacca sempre più dal sensibile e avverte
l’impossibilità di esprimere adeguatamente lo spirituale nel
sensibile. Si ha la cosiddetta morte dell’arte in quanto questa
avverte l’impossibilità di esprimere lo spirituale. Arte che viene
soppiantata dalla religione e dalla filosofia. Hegel distingue tra
religione precristiane ed extracristiane, che si autoescudono a
vicenda, e religione rivelata e assoluta, quella Cristiana, che ne
supera le unilateralità. Quanto alle prime si possono ricordare le
religioni naturali o immediate, diffuse soprattutto nel mondo
orientale e ove l’unione tra naturale e spirituale viene colta con
divinità dalle varie forme. Quanto alla religione rivelata o
assoluta Hegel dice che essa riprende lo schema trinitario e la
concezione storica salvifica che coinvolge la natura, la caduta,
l’incarnazione, la redenzione e il costituirsi della comunità dei
fedeli. La religione in questo modo rappresenta l’unione globale e
conclusiva dell’unita della natura umana e divina e del carattere
divino dello spirito. Quindi Hegel non sottolinea solo il carattere
speculativo della religione, ma rivendica il suo strettissimo
rapporto con la filosofia. Essa infatti è l’esplicazione
concettuale del contenuto assoluto manifestatosi nella religione.
Tutto questo però non deve fare pensare ad un carattere mistico
della filosofia, in quanto essa è sempre razionalità che si
identifica nella dialettica negativa che supera l’opposizione e la
sintetizza nella più alta realtà dell’unità. Inoltre la
filosofia non è altro che il proprio tempo appreso con il pensiero
al punto che la filosofia non può mai andare oltre il proprio tempo.
Pertanto la serie dei sistemi filosofici, quale si rivelano nella
storia, coincide con la successione delle determinazioni che lo
spirito ha dell’Idea. Quindi la storia della filosofia sarebbe la
storia della riappropriazione del concetto dell’Idea.
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