Arthur
Schopenhauer
nasce
nel 1788 e nel 1813 pubblica la sua tesi di laurea dal titolo La
quadruplice radice del principio di ragion sufficiente.
Avvicinandosi alla cultura indiana, mette per iscritto il suo
capolavoro, ovvero Il
mondo come volontà e come rappresentazione
(1818). Muore a Francoforte nel 1860.
Nell’opera
di questo pensatore vi sono una serie di elementi che avranno grande
rilevanza nel pensiero dell’ottocento e del novecento; e cioè: il
rifiuto di qualsiasi prospettiva ottimistica e razionalistica della
vita inutilmente tesa a nascondere il dolore che pervade la vita
dell’uomo e dell’universo; una violenta polemica contro tutta
quanta la filosofia idealistica, in special modo quella hegeliana,
considerata da Schopenhauer una colossale mistificazione, poiché non
sa distinguere tra ideale e reale e risolve l’intera realtà nei
concetti; l’attribuzione all’arte e alla contemplazione estetica
di una funzione rigeneratrice; una forte predilezione per la
religiosità e la mentalità indiana contrapposte all’umanesimo
scientificizzante della cultura occidentale ed europea (atteggiamento
definito dagli studiosi come quello di “un disertore
dell’occidente”). Schopenhauer, tuttavia, non ripudia tutti i
risultati della filosofia europea, anzi, al contrario, fonda l’intera
sua visione della realtà sulla ripresa di alcuni classici come Kant
e Platone. Gia tipicamente kantiano è il linguaggio che apre la sua
opera principale e la visione del mondo riportata tutta a
rappresentazione del soggetto; un modo inteso in senso
specificatamente fenomenico. Gli intenti di Kant e Schopenhauer sono
però molto diversi e il suo richiamo al kantismo serve solo ad
ammonimento contro la ciarlataneria dei sistemi idealistici, e a
ricordare che il nesso causale, e quindi i procedimenti razionali,
valgono solo all’interno dell’ambito fenomenico. Detto ciò
Schopenhauer passa su un piano metafisico. La cosa in sé non rimane
per Schopenhauer una cosa inconosciuta o un concetto limite, la cosa
in sé rivela infatti in maniera chiara la sua volontà di vivere, di
sforzo perenne nell’affermarsi e nel perpetuarsi. Questa volontà
la si può constatare particolarmente nell’uomo e nel rapporto con
il suo corpo; l’uomo infatti non è un semplice soggetto
conoscente, ma è la manifestazione concreta ed oggettivata della
volontà universale in quanto egli stesso è volontà operante sul
corpo e nel corpo. La concezione della volontà presenta in
Schopenhauer delle caratteristiche fortemente pessimistiche in quanto
essa non è intesa come una volontà avente degli scopi o dei fini,
bensì è intesa come una forza cieca che tende continuamente ed
esclusivamente a realizzare e perpetuare se stessa. In tal modo tutti
i viventi, compreso l’uomo, sono coinvolti in un perenne circolo
vizioso, poiché mediante istinti, appetiti e voglie vengono
allettati a perseguire e a incrementare la vita, come se questo
incrementare fosse loro effettivo interesse e non invece causa della
loro sofferenza e del dolore che dilaga nel mondo. Ogni volta che la
volontà si scontra con un ostacolo e viene impedita nella
realizzazione di un suo scopo si ha, infatti, la sofferenza. Ma in
tutta la natura noi constatiamo che questo avviene continuamente e
ancora di più nelle forme di vita più complesse. Perciò negli
animali, e soprattutto nell’uomo, tale sofferenza e continua e
incessante in quanto l’uomo non persegue mai uno scopo che possa
essere raggiunto in maniera definitiva e conclusiva, in maniera tale
da acquietarsi. Così ogni desiderio scaturisce da una
insoddisfazione, ma a sua volta genera nuova insoddisfazione e così
all’infinito, e, l’individuo obbedendo a questo meccanismo non fa
altro che sottostare a questo gioco senza senso e senza scopo della
volontà universale. Tutto ciò perché l’individuo crede di avere
una realtà propria e non si rende conto che l’individuo ha senso
solo sul piano fenomenico. Ora, mentre le forme a priori di spazio e
di tempo servivano a Kant per spiegare la conoscenza universale e
necessaria del mondo fisico, per Schopenhauer sono invece un
principio di suddivisione, e cioè spazio e tempo servono a spiegare
il rompersi dell’universale volontà di vita, che è una, nella
molteplicità di esseri consistenti e transeunti sul piano dei
fenomeni. Schopenhauer ritiene che il grande merito di Platone e di
Kant è quello di avere avuto la consapevolezza dell’irrealtà e
illusorietà del molteplice che ci circonda. Mentre Kant però è
giunto alla nozione di cosa in sé, da cui facilmente, se solo avesse
rinunciato alla cosa in sé intesa ancora come oggetto, poteva
ricavare la volontà universale; Platone si è fermato ad uno stadio
intermedio dato dalle idee, ovvero dalle forme immobili, eterne ed
immutabili. Le idee sono per Schopenhauer suddivise in una gerarchia
che culmina nell’uomo. Le idee sono l’oggettivizzazione della
volontà che si realizza pienamente nell’uomo, il quale per
acquisire significato non poteva rimanere solo, ma aveva bisogno di
tutte quelle idee discendenti che trovano in lui il gradino più alto
e perfetto della piramide. Le idee vanno distinte dai concetti, che
sono semplici prodotti
dell’astrazione delle idee, e pertanto i concetti non esisterebbero
senza di esse. I concetti hanno senso solo nell’ambito dei fenomeni
regolati dalle leggi di causalità e individualizzati dallo spazio e
il tempo, che tendono ad unificare dall’esterno; in questo senso,
dunque, i concetti solo semplici espedienti classificatori nei quali
si possono raccogliere cose affini, ma senza mai che tali cose si
sviluppino dai concetti stessi, mentre l’idea è simile ad un
vivente, perché è un principio da cui si genera una molteplicità
di fenomeni, pur senza intaccarne l’immobilità e l’eternità.
Non, dunque, il pensiero astratto, il ragionamento scientifico può
portare alla conoscenza delle idee, ma soltanto quella forma di
contemplazione che ha il suo modello nell’attività del genio e che
si realizza nell’arte e di fronte alle opere d’arte. Infatti, il
genio consiste nella capacità di conoscere le idee, e del trovarsi
di fronte a loro non come individuo, ma come puro soggetto del
conoscere. Alla musica Schopenhauer dà un posto privilegiato in
quanto essa non solo è indipendente dal sensibile ma anche dalle
idee, al punto che si può dire, paradossalmente, che la musica
esistesse anche se il mondo non esistesse. La musica riproduce la
volontà universale direttamente e si trova al suo stesso piano.
Pertanto, quando la musica è imitazione scade inevitabilmente. La
morale deve portare l’uomo a sollevarsi dal suo egoismo e dalle
proprie passioni ed istinti per giungere ad una forma di ascesi che
sia negazione della volontà e quindi del dolore. Essa si articola in
giustizia che con la costrizione porta alla negazione della volontà
di imporsi sugli altri. poi la compassione e cioè l’immedesimarsi
nel dolore altrui, infine l’ascesi, culmine filosofico di negazione
della volontà.
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