Nasce
in Breslavia nel 1768. Il suo primo scritto prende il titolo di Sulla
religione: Discorso alle persone colte che la disprezzano, seguiti
dai Monologhi. Nel 1803 si hanno i Lineamenti fondamentali
di una critica dell’etica fino ad oggi. Infine, si hanno i due
volumi de La dottrina della fede. Muore a Berlino nel 1834.
Nella
sua formazione incidono interessi teologici, filologici e filosofici.
Forti furono gli influssi di Spinoza, Kant, Jacobi, Fichte e
Schelling, oltre che dell’antico Platone. Collaborò con lo
Schlegel e insieme a lui sperava in un forte rinnovamento spirituale
che desse largo spazio all’immaginazione e al sentimento.
Schleiermacher fa valere questa esigenza soprattutto in campo
religioso: si tratta, infatti, di uno sforzo grandioso di rivendicare
la peculiarità e l’irriducibilità della dimensione religiosa
nella vita spirituale dell’uomo, in polemica contro ogni tentativo
riduzionistico di fondarla su argomenti metafisici o morali. Tanto la
conoscenza quanto l’azione, tanto la metafisica quanto la morale,
portano infatti necessariamente ad una visione parziale,
frammentaria, inadeguata della realtà nella sua infinità e
universalità. Soltanto la religione, mediante il sentimento, è in
grado di consentire un’intuizione dell’universo nel quale l’uomo
o, meglio, l’individuo, si sente dipendente dal Tutto, ma non si
risolve né si dissolve in esso. Schleiermacher riserva grande spazio
alla natura e al rapporto con essa; ciò perché la natura agli occhi
della religione si dischiude come totalità infinita, dove ogni
essere finito è espressione del divino. Schleiermacher, inoltre,
rompe con la concezione di volere fondare la religione su una
rivelazione storica o positiva avvenuta una volta per tutte e
affidata ad un singolo testo sacro; si deve, invece, ammettere una
rivelazione continua di cui tutte le religioni sono manifestazioni.
Rimane
così peculiare nel suo pensiero filosofico la distinzione dell’etica
in tre arti fondamentali: la dottrina della virtù, quella
del dovere e quella del bene e del male, considerate non
soltanto da un punto di vista teoretico ma anche nel loro sviluppo
storico. Egli sottolinea, infatti, che la dottrina dei beni nel suo
rapporto con il problema politico e pedagogico ha trovato attenzione
già a partire da Socrate. Si deve quindi riprendere il concetto di
sommo bene che è andato perduto nella sua sostanza nell’età
moderna. Questa sua riflessione polemizza contro la concezione morale
di Kant e di Fichte, tacciata di uno sterile formalismo. È
fondamentale, in un discorso etico, il riconoscimento della funzione
determinante della individualità dell’essere umano rispetto
all’astrattezza dell’universalità. Il sommo bene non va inteso
quindi come un qualcosa di comparativo, bensì indica la pienezza
della vita etica come qualcosa di organico capace di integrare
ragione e natura. In maniera più specifica, mentre la virtù e il
dovere sono limitati alla singolarità dell’uomo e dell’azione
morale, il sommo bene riguarda i rapporti con se stessi e con tutti
gli altri. Proprio per tale motivo il sommo bene si concretizza nella
Chiesa, nello Stato e nelle comunità scientifiche, e qui si fa
spazio l’utopia di questo filosofo: l’uomo, nel suo operare
nell’universale, deve trasformare la natura in un simbolo che
esprima la sua vitalità e la sua presenza in modo da poter
organizzare un mondo nel quale la collaborazione tra gli uomini porti
alla pacifica convivenza tra uomo e natura. Riguardo
all’interpretazione delle Sacre Scritture, il processo esegetico si
deve sviluppare secondo due linee: una grammaticale e l’altra
psicologica. Nel primo caso bisogna leggere il testo da un punto di
vista linguistico appartenente al periodo storico preso in esame,
cosicché da poter avere delle regole costanti e oggettivabili a cui
potersi attenere. Il secondo caso prevede che il testo venga
ricondotto alla sua originaria intenzionalità di significato; ciò
permette di potere comprendere un autore ancor meglio di quanto lui
stesso possa essere in grado di fare. Il processo ermeneutico,
quindi, è un processo circolare, per cui l’interpretazione della
parte va riferita al tutto e, viceversa, il tutto alla parte.
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