Di
famiglia povera, nasce
in Sassonia nel 1762. Nel
1791 pubblica,
in maniera anonima,
i Saggi
di una critica di ogni rivelazione, che,
considerati
ad opera di Kant, gli
comportano
una veloce fama. Manifesta piena adesione agli ideali del
romanticismo e scrisse due opere politiche dal titolo Rivendicazione
della libertà di pensiero
e i Contributi
alla rettifica dei giudizi del pubblico sulla rivoluzione francese.
Nel 1724 mette per iscritto i primi principi della dottrina
della scienza
e cioè Fondamenti
dell’intera dottrina della scienza.
Quindi, vengono pubblicati le Lezioni
sulla missione del dotto, il Sistema della dottrina morale, La
missione dell’uomo, Lo stato commerciale chiuso, I tratti
caratteristici del tempo presente, La guida alla vita beata, Discorsi
alla nazione tedesca.
Muore a Berlino il 29 Gennaio del 1814, dopo avere lavorato alla
fondazione dell’Università di Berlino, ed esserne stato primo
rettore.
Per
Fichte la scelta tra realismo dogmatico e idealismo creativo è prima
di ogni cosa una questione di temperamento, e cioè una questione
riguardante ciò che si è disposti ad accettare: o la passiva
accettazione di un ordine già meccanicamente stabilito nel mondo
esterno, o l’attiva partecipazione a un mondo che è la costante e
infinita espressione dell’Io.
Un Io
che non va inteso più nel senso trascendentale di Kant, ma bensì
come l’Assoluto
che, dispiegandosi all’infinito nell’universo, vi realizza la
propria essenza morale e, ciò fatto, si conosce. Nella ricerca del
fondamento dell’esperienza la coscienza, l’io, può considerarsi
o come derivazione da un mondo di fenomeni meccanicamente causati
l’uno dall’altro, o (afferma Fichte) come attività originaria da
cui deriva il mondo dei fenomeni. Ciò significa che ogni essere
viene dichiarato come non concepibile altrimenti che come prodotto
del pensiero. Naturalmente, l’io a cui fa capo questo processo non
è più l’io trascendentale di Kant (ossia una mera coscienza
normale umana che si limitava a trovare e ad enumerare le leggi del
pensiero – le forme a priori – nelle cose dell’esperienza) ; è
l’Io
puro, è l’Io infinito il quale esprime, deduce, le leggi del
pensiero e della realtà (che è espressione del pensiero) dalla
propria attiva essenza.
La necessità di fondare la filosofia non su un fatto, ma su un atto
spontaneo comporta, però, un rovesciamento dei rapporti tra logica e
filosofia. Non è più la logica che fonda il sapere filosofico, ma è
bensì la filosofia che fonda la logica, e cioè le condizioni
necessarie per il sapere. Per fare ciò, però, l’io non deve
essere posto come fatto, bensì come atto,
ovvero come attività
pura e spontanea dello spirito umano;
solo se poniamo l’io come atto si possono avere infatti i giudizi
e, quindi, la logica. Pertanto, la logica è solo una benefica
invenzione che può contribuire ad un più sicuro e agevole sviluppo
delle scienze, ma non può fondarle. Questo compito è solo della
filosofia, o meglio della dottrina
della scienza.
Ora la logica generale o formale garantisce grande valore al
principio di non – contraddizione, per cui se è posto A, allora A
è affermato, allora è A. Questo principio però con Fiche non è
più ipotetico (solo se pongo A, allora A visto che è affermato,
allora è A). Questo principio di non – contraddizione è per
Fichte assoluto: per cui A = A non è un fatto, bensì un atto. Dove
per A si intende la coscienza, l’io, l’attività pura.
Detto
ciò, Fichte intende analizzare le attività necessarie della
coscienza nella sua attività rappresentativa. Tre sono i momenti o
principi che egli individua:
- L’identità o spontaneità originaria ( Io = Io [ A = A], e cioè l’Io puro pone se stesso in quanto è attività originaria in cui azione e fatto, agente e prodotto coincidono interamente).
- La negazione o contrapposizione rispetto all’identità e spontaneità originaria (all’io è opposto un non-io, alla libertà la necessità, al pensiero la cosa. Ciò significa porre la rappresentazione davanti a sé, come una cosa contrapposta e diversa da sé. Cioè, l’io deve considerare la cosa davanti a sé come un qualcosa di distinto, di altro da sé. Se ciò non fosse, io mi identificherei nel tavolo che osservo, o nell’albero, ecc. Contrapporre a sé la cosa richiede però due condizioni: la prima, come già detto, che la cosa venga opposta all’osservatore; la seconda, non meno importante, è che l’osservatore [l’io, la coscienza] conservi la propria unità dei due momenti; quello di porre e affermare se stesso e quello di opporre a sé la rappresentazione, ovvero ciò che viene osservato).
- La divisibilità dell’io e del non-io in quanto si limitano reciprocamente ( all’io divisibile è opposto il non-io divisibile. Per cui nella spontaneità dell’io, come incessante attività di posizione e contrapposizione, e quindi autolimitazione, si hanno le condizioni sufficienti del sapere delle cose altre.
Ora,
se tutto questo è vero come può la dottrina della scienza
dimostrare
la
verità delle sue affermazioni? Fiche risponde a tale domanda in modo
molto chiaro: la
dottrina della scienza non può affatto dimostrare la propria verità
o almeno la verità del suo punto di partenza. Se infatti tale punto
di partenza è la spontaneità pura, ossia l’Io che pone se stesso
come attività e unità, non si potrà mai dimostrare tale principio,
appunto perché questo principio è un’attività e non un fatto, e
solo i fatti possono essere dimostrati.
Ciò significa che un dogmatico, un materialista, un fatalista e
qualsiasi altro filosofo non può mai essere teoreticamente persuaso
della falsità della sua filosofia. L’idealismo è una infatti una
filosofia per uomini liberi e spontanei. Bisogna, inoltre, dire che
se l’io è la coscienza, il non-io è la natura. Ciò significa che
l’io per realizzare la sua piena libertà e spontaneità ha bisogno
della natura, delle cose, dei fenomeni, del necessario. Quindi senza
natura, senza non-io, la libertà rimarrebbe irrealizzabile in quanto
inapplicabile a un qualcosa. La natura, pertanto, è in funzione alla
spontaneità della coscienza. Tutta questa concezione trova
applicazione nel diritto e nella morale. Da un lato infatti abbiamo
l’attività dell’io che si spiega in quanto la coscienza ha a che
fare con la natura varia e molteplice. Condizione di una causalità
libera è infatti l’operare su un oggetto, ma se tale oggetto fosse
assolutamente eterogeneo rispetto al soggetto e alla sua volontà, la
libera causalità sarebbe condizionata da qualcosa di assolutamente
estrinseco, necessario, determinato, e pertanto non sarebbe più
causalità libera né potrebbe conoscersi come tale nel suo operare.
Questa difficoltà si supera solo ammettendo che anche l’oggetto a
cui si riferisce la libera causalità sia a sua volta soggetto e
capace quindi di libera causalità. Ciò significa che l’uomo
diventa uomo solo tra gli uomini; cioè che l’essere razionale
finito per essere tale deve essere libero, ma non può esserlo se non
in un rapporto di libera causalità in cui anche gli altri esseri
sono liberi. Nasce da ciò una concezione del diritto che sia garante
della libertà di ciascuno. La comunità statale non deve essere,
pertanto, un insieme disorganico di individui che pensano per sé, ma
che, al
contrario,
pensano anche per gli altri; e proprio in tal modo, pensando per gli
altri, pensa anche per sé, infatti, il rapporto tra il cittadino e
lo stato è come quello che si ha tra le membra e l’organismo
vivente: dove
il tutto mantiene e incrementa le parti e viceversa. Compito
dell’uomo è, pertanto, il raggiungimento della libertà, e su tale
principio si fonda la morale di Fiche. Ma su tale principio si basa
anche la concezione storica dell’intera umanità. Secondo Fichte si
possono contare cinque tappe nel cammino storico dell’umanità come
graduale processo verso la libertà:
- L’epoca in cui la ragione domina mediante l’istinto, o stato di innocenza del genere umano;
- L’epoca in cui l’istinto razionale si trasforma in autorità esterna coercitiva, o stato di incipiente peccato;
- L’epoca di totale rivolta tanto contro ogni autorità esterna, quanto contro ogni istinto razionale; si afferma la più completa indifferenza rispetto alla verità e la più spinta licenza; è lo stato di integrale peccaminosità. Per Fichte queste sono le caratteristiche del tempo presente.
- L’epoca in cui la verità viene riconosciuta e rispettata come la cosa più alta, ed è lo stato di incipiente giustificazione;
- L’epoca in cui l’umanità vive e agisce come fedele ritratto della ragione, ed è lo stato di perfetta santificazione e giustificazione.
L’umanità
nel suo processo storico non fa altro che cercare di ritornare al
primo momento, e cioè allo stato di innocenza e perfezione perduta.
Questo ritorno all’originario non è però una fatica inutile, in
quanto lo stato originario era posseduto spontaneamente, mentre dopo
diviene frutto di una libera conquista. Solo nel Cristianesimo il
filosofo può trovare un’autentica dottrina della religione, e
soprattutto nel Vangelo di Giovanni. Esso, per Fichte, non afferma
che la creazione è stato un atto di arbitrio assoluto, bensì dice
che non vi fu affatto bisogno di alcuna creazione, poiché già tutto
era: era il Verbo e soltanto per mezzo del Verbo tutte le cose sono
state fatte. In tal modo si riconosce che tutte le cose sono
autoespressione di Dio e che l’immediata esistenza di Dio è vita.
Ora, vi sono cinque momenti fondamentali di innalzamento della
coscienza a Dio:
- la prima consiste nel semplice attaccamento al mondo sensibile, ed è il momento della filosofia contemporanea, che ritiene vero solo ciò che conosciamo mediante i sensi;
- la seconda si innalza al riconoscimento di una legge razionale di ordine, è il momento dello stoicismo antico e della filosofia kantiana, ove la legge di ragione si limita ad annullare il conflitto tra le forze diverse;
- questa posizione viene superata nel terzo momento ove si riconosce una morale universale;
- muovendo da questa si giunge alla religione come scoperta di quella vita divina di fronte a cui gli uomini hanno chiuso gli occhi.
- La quinta ed ultima prospettiva è quella costituita dalla vera scienza, la filosofia, che comprende ed unifica tutti i punti di vista o momenti precedenti e consente di comprendere geneticamente quello che per la religione è solo un fatto assoluto.
Fichte,
infine, nei suoi Discorsi
afferma che il popolo germanico è il popolo a cui spetta il compito
di essere guida spirituale degli altri popoli europei e ravvisa una
delle caratteristiche essenziali di questa funzione nella purezza
della lingua tedesca. Inoltre, prospetta un’educazione per la
libertà, in cui l’individuo non sia insegnato all’utilitarismo e
al materialismo.
Nessun commento:
Posta un commento