lunedì 9 luglio 2012

Fichte


Di famiglia povera, nasce in Sassonia nel 1762. Nel 1791 pubblica, in maniera anonima, i Saggi di una critica di ogni rivelazione, che, considerati ad opera di Kant, gli comportano una veloce fama. Manifesta piena adesione agli ideali del romanticismo e scrisse due opere politiche dal titolo Rivendicazione della libertà di pensiero e i Contributi alla rettifica dei giudizi del pubblico sulla rivoluzione francese. Nel 1724 mette per iscritto i primi principi della dottrina della scienza e cioè Fondamenti dell’intera dottrina della scienza. Quindi, vengono pubblicati le Lezioni sulla missione del dotto, il Sistema della dottrina morale, La missione dell’uomo, Lo stato commerciale chiuso, I tratti caratteristici del tempo presente, La guida alla vita beata, Discorsi alla nazione tedesca. Muore a Berlino il 29 Gennaio del 1814, dopo avere lavorato alla fondazione dell’Università di Berlino, ed esserne stato primo rettore.
Per Fichte la scelta tra realismo dogmatico e idealismo creativo è prima di ogni cosa una questione di temperamento, e cioè una questione riguardante ciò che si è disposti ad accettare: o la passiva accettazione di un ordine già meccanicamente stabilito nel mondo esterno, o l’attiva partecipazione a un mondo che è la costante e infinita espressione dell’Io. Un Io che non va inteso più nel senso trascendentale di Kant, ma bensì come l’Assoluto che, dispiegandosi all’infinito nell’universo, vi realizza la propria essenza morale e, ciò fatto, si conosce. Nella ricerca del fondamento dell’esperienza la coscienza, l’io, può considerarsi o come derivazione da un mondo di fenomeni meccanicamente causati l’uno dall’altro, o (afferma Fichte) come attività originaria da cui deriva il mondo dei fenomeni. Ciò significa che ogni essere viene dichiarato come non concepibile altrimenti che come prodotto del pensiero. Naturalmente, l’io a cui fa capo questo processo non è più l’io trascendentale di Kant (ossia una mera coscienza normale umana che si limitava a trovare e ad enumerare le leggi del pensiero – le forme a priori – nelle cose dell’esperienza) ; è l’Io puro, è l’Io infinito il quale esprime, deduce, le leggi del pensiero e della realtà (che è espressione del pensiero) dalla propria attiva essenza. La necessità di fondare la filosofia non su un fatto, ma su un atto spontaneo comporta, però, un rovesciamento dei rapporti tra logica e filosofia. Non è più la logica che fonda il sapere filosofico, ma è bensì la filosofia che fonda la logica, e cioè le condizioni necessarie per il sapere. Per fare ciò, però, l’io non deve essere posto come fatto, bensì come atto, ovvero come attività pura e spontanea dello spirito umano; solo se poniamo l’io come atto si possono avere infatti i giudizi e, quindi, la logica. Pertanto, la logica è solo una benefica invenzione che può contribuire ad un più sicuro e agevole sviluppo delle scienze, ma non può fondarle. Questo compito è solo della filosofia, o meglio della dottrina della scienza. Ora la logica generale o formale garantisce grande valore al principio di non – contraddizione, per cui se è posto A, allora A è affermato, allora è A. Questo principio però con Fiche non è più ipotetico (solo se pongo A, allora A visto che è affermato, allora è A). Questo principio di non – contraddizione è per Fichte assoluto: per cui A = A non è un fatto, bensì un atto. Dove per A si intende la coscienza, l’io, l’attività pura.
Detto ciò, Fichte intende analizzare le attività necessarie della coscienza nella sua attività rappresentativa. Tre sono i momenti o principi che egli individua:
  1. L’identità o spontaneità originaria ( Io = Io [ A = A], e cioè l’Io puro pone se stesso in quanto è attività originaria in cui azione e fatto, agente e prodotto coincidono interamente).
  2. La negazione o contrapposizione rispetto all’identità e spontaneità originaria (all’io è opposto un non-io, alla libertà la necessità, al pensiero la cosa. Ciò significa porre la rappresentazione davanti a sé, come una cosa contrapposta e diversa da sé. Cioè, l’io deve considerare la cosa davanti a sé come un qualcosa di distinto, di altro da sé. Se ciò non fosse, io mi identificherei nel tavolo che osservo, o nell’albero, ecc. Contrapporre a sé la cosa richiede però due condizioni: la prima, come già detto, che la cosa venga opposta all’osservatore; la seconda, non meno importante, è che l’osservatore [l’io, la coscienza] conservi la propria unità dei due momenti; quello di porre e affermare se stesso e quello di opporre a sé la rappresentazione, ovvero ciò che viene osservato).
  3. La divisibilità dell’io e del non-io in quanto si limitano reciprocamente ( all’io divisibile è opposto il non-io divisibile. Per cui nella spontaneità dell’io, come incessante attività di posizione e contrapposizione, e quindi autolimitazione, si hanno le condizioni sufficienti del sapere delle cose altre.
Ora, se tutto questo è vero come può la dottrina della scienza dimostrare la verità delle sue affermazioni? Fiche risponde a tale domanda in modo molto chiaro: la dottrina della scienza non può affatto dimostrare la propria verità o almeno la verità del suo punto di partenza. Se infatti tale punto di partenza è la spontaneità pura, ossia l’Io che pone se stesso come attività e unità, non si potrà mai dimostrare tale principio, appunto perché questo principio è un’attività e non un fatto, e solo i fatti possono essere dimostrati. Ciò significa che un dogmatico, un materialista, un fatalista e qualsiasi altro filosofo non può mai essere teoreticamente persuaso della falsità della sua filosofia. L’idealismo è una infatti una filosofia per uomini liberi e spontanei. Bisogna, inoltre, dire che se l’io è la coscienza, il non-io è la natura. Ciò significa che l’io per realizzare la sua piena libertà e spontaneità ha bisogno della natura, delle cose, dei fenomeni, del necessario. Quindi senza natura, senza non-io, la libertà rimarrebbe irrealizzabile in quanto inapplicabile a un qualcosa. La natura, pertanto, è in funzione alla spontaneità della coscienza. Tutta questa concezione trova applicazione nel diritto e nella morale. Da un lato infatti abbiamo l’attività dell’io che si spiega in quanto la coscienza ha a che fare con la natura varia e molteplice. Condizione di una causalità libera è infatti l’operare su un oggetto, ma se tale oggetto fosse assolutamente eterogeneo rispetto al soggetto e alla sua volontà, la libera causalità sarebbe condizionata da qualcosa di assolutamente estrinseco, necessario, determinato, e pertanto non sarebbe più causalità libera né potrebbe conoscersi come tale nel suo operare. Questa difficoltà si supera solo ammettendo che anche l’oggetto a cui si riferisce la libera causalità sia a sua volta soggetto e capace quindi di libera causalità. Ciò significa che l’uomo diventa uomo solo tra gli uomini; cioè che l’essere razionale finito per essere tale deve essere libero, ma non può esserlo se non in un rapporto di libera causalità in cui anche gli altri esseri sono liberi. Nasce da ciò una concezione del diritto che sia garante della libertà di ciascuno. La comunità statale non deve essere, pertanto, un insieme disorganico di individui che pensano per sé, ma che, al contrario, pensano anche per gli altri; e proprio in tal modo, pensando per gli altri, pensa anche per sé, infatti, il rapporto tra il cittadino e lo stato è come quello che si ha tra le membra e l’organismo vivente: dove il tutto mantiene e incrementa le parti e viceversa. Compito dell’uomo è, pertanto, il raggiungimento della libertà, e su tale principio si fonda la morale di Fiche. Ma su tale principio si basa anche la concezione storica dell’intera umanità. Secondo Fichte si possono contare cinque tappe nel cammino storico dell’umanità come graduale processo verso la libertà:
  • L’epoca in cui la ragione domina mediante l’istinto, o stato di innocenza del genere umano;
  • L’epoca in cui l’istinto razionale si trasforma in autorità esterna coercitiva, o stato di incipiente peccato;
  • L’epoca di totale rivolta tanto contro ogni autorità esterna, quanto contro ogni istinto razionale; si afferma la più completa indifferenza rispetto alla verità e la più spinta licenza; è lo stato di integrale peccaminosità. Per Fichte queste sono le caratteristiche del tempo presente.
  • L’epoca in cui la verità viene riconosciuta e rispettata come la cosa più alta, ed è lo stato di incipiente giustificazione;
  • L’epoca in cui l’umanità vive e agisce come fedele ritratto della ragione, ed è lo stato di perfetta santificazione e giustificazione.
L’umanità nel suo processo storico non fa altro che cercare di ritornare al primo momento, e cioè allo stato di innocenza e perfezione perduta. Questo ritorno all’originario non è però una fatica inutile, in quanto lo stato originario era posseduto spontaneamente, mentre dopo diviene frutto di una libera conquista. Solo nel Cristianesimo il filosofo può trovare un’autentica dottrina della religione, e soprattutto nel Vangelo di Giovanni. Esso, per Fichte, non afferma che la creazione è stato un atto di arbitrio assoluto, bensì dice che non vi fu affatto bisogno di alcuna creazione, poiché già tutto era: era il Verbo e soltanto per mezzo del Verbo tutte le cose sono state fatte. In tal modo si riconosce che tutte le cose sono autoespressione di Dio e che l’immediata esistenza di Dio è vita. Ora, vi sono cinque momenti fondamentali di innalzamento della coscienza a Dio:
  • la prima consiste nel semplice attaccamento al mondo sensibile, ed è il momento della filosofia contemporanea, che ritiene vero solo ciò che conosciamo mediante i sensi;
  • la seconda si innalza al riconoscimento di una legge razionale di ordine, è il momento dello stoicismo antico e della filosofia kantiana, ove la legge di ragione si limita ad annullare il conflitto tra le forze diverse;
  • questa posizione viene superata nel terzo momento ove si riconosce una morale universale;
  • muovendo da questa si giunge alla religione come scoperta di quella vita divina di fronte a cui gli uomini hanno chiuso gli occhi.
  • La quinta ed ultima prospettiva è quella costituita dalla vera scienza, la filosofia, che comprende ed unifica tutti i punti di vista o momenti precedenti e consente di comprendere geneticamente quello che per la religione è solo un fatto assoluto.
Fichte, infine, nei suoi Discorsi afferma che il popolo germanico è il popolo a cui spetta il compito di essere guida spirituale degli altri popoli europei e ravvisa una delle caratteristiche essenziali di questa funzione nella purezza della lingua tedesca. Inoltre, prospetta un’educazione per la libertà, in cui l’individuo non sia insegnato all’utilitarismo e al materialismo. 

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