Ampia
fu la discussione tra i filosofi delle dottrine affermate da Kant.
Tali dibattiti hanno avuto grande importanza nello sviluppo
dell’idealismo tedesco.
Reinhold
(1758-1823), di cui vanno ricordati il Saggio
di una nuova teoria della facoltà rappresentativa dell’uomo,
e i Contributi
alla rettifica dei malintesi sinora avutosi tra i filosofi,
scrisse le importanti Lettere
sulla filosofia Kantiana.
Qui afferma che la filosofia di Kant è un qualcosa di molto diverso
di una semplice costruzione teoretica, in quanto è un principio
capace di avviare a soluzione anche i problemi etici, politici e
religiosi del tempo con un radicale rinnovamento dell’uomo basato
su una esatta consapevolezza delle possibilità della ragione. La
filosofia kantiana, infatti, si rivolge alle
forme a priori, universali, necessarie e immutabili della ragione, e
può, quindi, indicare una volta per tutte all’uomo i suoi limiti,
ma anche le sue concrete possibilità in quanto essere razionale e
morale. La filosofia kantiana rappresenta, pertanto,
un momento decisivo della storia del pensiero, ma ciò non significa
che il compito dei successori sia da meno, in quanto ora si tratta di
sviluppare sistematicamente le conquiste del criticismo kantiano,
mostrandone la più completa validità.
Schulze
(1761-1833) scrisse l’Enesidemo,
dove
afferma che nè Kant nè Reinhold sono riusciti davvero a superare lo
scetticismo di Hume, accusandoli di rimanere in una posizione
contraddittoria. La filosofia Kantiana pretenderebbe di conoscere le
forme a priori, ciò è contraddittorio in quanto proprio Kant
afferma che i concetti senza le intuizioni sensibili
sono vuoti. Quindi, non si capisce su cosa si basa la critica quando
parla di intuizioni, categorie e idee, insomma quando pretende di
conoscere le forme a priori. A meno che non si vuole cadere in quello
dogmatismo che proprio Kant cerca di distruggere.
Maimon
scrisse il Saggio
sulla filosofia trascendentale,
il Saggio
di una nuova logica e teoria del pensiero,
e le Ricerche
critiche sullo spirito umano.
Secondo Maimon il requisito perché un pensiero sia reale, è che
possa costruire interamente a priori il proprio oggetto. Ora, a
questo requisito risponde la matematica, ma non la fisica che ha
bisogno sempre dell’esperienza per confermare le proprie ipotesi.
Ma in tal caso cade per intero il presupposto di Kant che la fisica
sia una scienza e consti di proposizioni universali e necessarie. Il
altri termini, il dubbio humiano circa il valore universale e
necessario del rapporto di causalità, e il conseguente scetticismo
circa l’universalità e necessità della scienza umana, rimangono
perfettamente legittimi. In tale prospettiva anche il problema della
cosa in sé prende una
piega più consona ad un discorso critico, e cioè non si può
pretendere che la cosa in sé sia una realtà che sta dietro ai
fenomeni e che li condiziona come loro causa. Infatti, dire una cosa
del genere significa cadere nella stessa illusione di chi, vedendo la
propria immagine riflessa nello specchio, ne cercasse la causa dietro
lo specchio e non in se stesso. La cosa in sé significa, invece, che
la nostra conoscenza può essere sempre amplificata. Grazie,
soprattutto,
alla sensibilità e all’esperienza. Senza questi
presupposti
sarebbe un intelletto infinito,
e quindi puramente
costruttivo.
Si fa strada, inoltre,
un’idea fondamentale nell’idealismo, e cioè che per superare il
problema della cosa in sé bisogna superare il problema tra finito e
infinito. Per fare ciò bisogna superare la concezione del fenomeno
come linea di demarcazione assoluta e invalicabile tra finito e
infinito.
Jacobi
(1743-1819) scrisse il Sull’idealismo
trascendentale;
la Lettera
a Fichte;
Sulla
inseparabilità del concetto di libertà e di preveggenza dal
concetto di ragione;
Il
tentativo del criticismo di ridurre la ragione ad intelletto;
Le
cose divine e la loro rivelazione.
Jacobi sostiene che Kant non ci dà mai la realtà nell’ambito
della conoscenza, ma semmai la rappresentazione di essa quale si
manifesta nel fenomeno. Pertanto, è proprio la realtà della cosa
in sé che ci rimane non conoscibile e non rappresentabile. Senza la
cosa in sé però non si può entrare nel Criticismo, nel senso che
per ammettere la cosa in sé (“noumeno”) come causa della
sensazione dobbiamo fare ricorso alla categoria della causalità;
categoria che va al di là dell’esperienza. Ora, è Kant stesso che
afferma che le forme a priori sono valide solo nei limiti
dell’esperienza fenomenica. E quindi, è in questo contesto che
secondo Jacobi Kant entra in contraddizione. Di una sola realtà
possiamo avere l’intuizione, e cioè la realtà suprema, Dio, il
quale però non viene colto mediante un atto intellettuale, bensì
con un sentimento, la fede, che si rivela al cuore in maniera
immediata, allo stesso modo di come il reale finito si rivela ai
sensi.
WINCKELMANN
(1717-1768). La sua opera principale è la
Storia dell’arte antica.
Si formò in Italia, ove approfondì lo studio dell’arte classica.
Da tale esperienza nasce la sua idealizzazione dell’arte greca come
un mondo di serenità e armonia. Questa
idealizzazione ebbe largo consenso non solo nella cultura tedesca, ma
in tutta l’Europa del tempo, dove
si diffuse una nozione di classicità che ebbe largo seguito negli
studi artistici.
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