Marx
nasce a Treviri il 15 maggio del 1818, e
muore a Londra nel 1883.
Si
laurea in filosofia con una tesi dal titolo su La
differenza tra la filosofia della natura di Democrito e di Epicuro.
Insieme a Ruge fonda nel 1843 gli Annali
franco tedeschi nella
quale pubblica la sua Critica
della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione.
Scrive anche la Sacra
famiglia
e L’ideologia
tedesca.
Nel 1847 scrive la Miseria
della filosofia.
Insieme
a Engels scrive nel 1848 il Manifesto
del partito comunista, seguita
dalla
Critica
dell’economia politica,
e Il
Capitale.
Postumi si hanno I
manoscritti economico-filosofici
e i Lineamenti
fondamentali della critica dell’economia politica.
Engels
nasce nel 1820 e scrive contro Schelling il
saggio dal titolo
Schelling
e la rivelazione.
Quindi, si hanno gli abbozzi della Dialettica
della natura,
l’Antiduhring,
L’origine
della famiglia,
della
proprietà privata e dello stato,
L.Feuerbach
e il punto di approdo della filosofia classica tedesca.
Muore a Londra il 5 Agosto del 1895. Il pensiero di Marx si viene a
configurare all’interno della sinistra hegeliana e mette in
relazione i problemi filosofici con la contemporanea situazione
storica del tempo. Marx non intende, infatti, fare una critica di
questa o quella filosofia del proprio tempo, ma cerca piuttosto di
individuare i limiti delle diverse ideologie in termini di prassi e
di ideologia. Ciò appare molto chiaro già nel 1844 quando negli
Annali
franco-tedeschi polemizza
(con la sua Critica
sulla filosofia del diritto di Hegel)
contro il pensiero hegeliano sotto la luce della posizione
storico-filosofico-politica tedesca. La Germania del tempo infatti
secondo Marx si trovava in una posizione di arretratezza rispetto
agli altri pesi europei, soprattutto rispetto alla Francia e
all’Inghilterra. D’altra parte però la Germania aveva reagito a
questo stato di arretratezza storica e sociale con un’eccezionale
sviluppo della propria filosofia; anzi i tedeschi, con la filosofia,
soprattutto con la filosofia hegeliana del diritto, avevano dato
un’analisi critica dello Stato moderno estremamente avanzata, tanto
che si poteva dire che già vivevano nella filosofia la loro storia
futura. Ora, questa completa divaricazione tra pensiero e realtà,
tra filosofia e storia, deve e può essere superata a patto però di
non chiudersi in nessuno dei due termini esclusivamente e di cercare
invece una integrazione di teoria e prassi. Tale integrazione deve
essere effettuata sul piano storico, sociale e politico. Realizzare
la filosofia significa, per Marx, mettere a nudo e togliere quanto vi
è in essa di illusorio, di ideologico e di falso. Infatti, Marx
crede che la filosofia fino al suo tempo non avesse ancora la
consapevolezza delle radici e delle forze storiche da cui deriva,
pertanto non avendo tale consapevolezza delle proprie origini, la
filosofia si crede di essere autonoma e autosufficiente. Tipico
esempio di una filosofia ideologica, ossia di rappresentazione
illusoria della realtà, è data dalla filosofia di Bauer, dove
l’intero problema di rinnovamento della filosofia coincide con
l’antropologizzazione della religione, come se la religione fosse
una dimensione originale dell’uomo, e non invece un prodotto
storico, politico e sociale dell’uomo. Caratteristica
dell’ideologia è per Marx quella di dare una rappresentazione
illusoria della realtà, una rappresentazione che capovolge il reale,
che dà un’immagine rovesciata delle cose. Compiere una critica
dell’ideologia significa quindi riportare la filosofia con i piedi
per terra. In tale quadro rientra anche la critica alla filosofia
hegeliana e alla sua Fenomenologia
dello spirito.
Anche se Marx riconosce a Hegel il merito di avere capito e compreso
che l’uomo è tale solo all’interno di un processo storico di
sviluppo, dove produce se stesso attraverso un processo dialettico di
oggettivazione, alienazione nel mondo e superamento di tale
alienazione. Hegel ha visto cioè che l’uomo è il risultato del
proprio lavoro. Il limite di Hegel sta, però, nel fatto di avere
compreso solo l’aspetto positivo del lavoro, ovvero il processo con
cui la coscienza si realizza come autocoscienza, ma afferma Marx,
Hegel non ha compreso gli aspetti negativi del lavoro; che sono dati
dall’alienazione e dalla società capitalistica basata sulla
proprietà privata. A feuerbach Marx riconosce il meriti di avere
messo in luce il carattere teologico della filosofia hegeliana e di
avere perciò riportato in rilevanza il sensibile; ma chiarisce Marx,
Feuerbach ha il torto di non avere capito che il sensibile non si
ferma all’intuizione che permette la concreta attività umana, e
cioè la prassi. In altri termini, tutte quante le filosofie
materialiste hanno errato nella misura in cui non hanno compreso che
la realtà, la realtà in cui viviamo, è profondamente modificata e
determinata dall’uomo e dalle forme economiche, storiche e sociali
in cui tale operare si è realizzato. Quindi afferma Marx alla fine
della sua Tesi su Feuerbach: i
filosofi sinora si sono limitati ad interpretare il mondo, ora si
tratta di mutarlo.
È da tale posizione critica e politica della filosofia che nasce la
sua concezione
materialistica della storia.
Tale concezione consiste nel comprendere la storia prendendo le
mosse dagli individui reali, dalla loro azione, dalle loro condizioni
di vita materiali, “tanto
quelle che essi trovano quanto quelle che producono con la propria
azione”.
La storia può essere considerata da due prospettive, quella della
natura e quella dell’uomo; ma quella della natura è ormai
condizionata da quella dell’uomo e non può in alcun modo venirne
scissa. Non è, infatti, possibile comprendere il mondo sensibile se
non si tengono conto tutte le profonde modifiche apportate dall’uomo
alla natura: l’uomo, infatti, si differenzia dagli animali in
quanto ha iniziato a produrre condizioni materiali di vita. A questo
proposito, significativa è un’espressione di Marx secondo cui la
storia delle industrie e le sue conseguenze concrete sono una vera e
propria psicologia sensibile dell’uomo, perché tale storia mostra
come si è venuto a costituire il modo di vivere e pensare delle
diverse civiltà. Pertanto, per comprendere la coscienza si deve
partire dagli individui reali e dalla loro specifica situazione
storico-sociale, invece di fare della coscienza una unità a sé,
dotata di vita autonoma. Detto questo si arriva ad uno dei punti più
complessi del pensiero marxista, e cioè al concetto di
soprastruttura. Il concetto di soprastruttura viene usato per
indicare il complesso dei processi spirituali e culturali che
costituiscono la civiltà umana. Marx comunque non pensa minimamente
ad un materialismo deterministico e ciò lo si evince già
nella sua Tesi
su Feuerbach.
In tale scritto Marx sottolinea, infatti, che gli uomini non sono
semplici prodotti dell’educazione o della storia, non bisogna mai
dimenticare che sono gli uomini a modificare l’ambiente e che
l’educatore stesso deve prima essere educato. In altre parole la
cultura e le idee non possono essere separate dalla loro origine, e
cioè dal loro formarsi all’interno di un processo storico ed
economico. Non bisogna nemmeno dimenticare che le idee e la cultura
hanno anche una funzione propria specifica che ha la capacità di
incidere all’interno del contesto storico. La concezione
materialistica della storia considera fondamentale, per la
comprensione dello sviluppo storico, prendere la mossa dalle lotte di
classe e dallo studio delle condizioni economiche sociali; la lotta
di classe e le condizioni economiche sociali, infatti, determinano
gli sviluppi e le forme della dialettica. Conflitti e scontri tra
uomini sono infatti il risultato, la conseguenza di motivi
strettamente legati e connessi allo sviluppo delle forme di
produzione e alle forme di alienazione intrinseche a tale sviluppo.
Non si tratta per Marx di individuare gli aspetti positivi e negativi
di un’epoca storica, per promuovere i primi ed eliminare i secondi;
si tratta invece di comprendere la necessità storica dei primi e dei
secondi e di individuarne quale esito si ha con la loro reciproca
opposizione dialettica. A Marx non interessa andare a individuare
quelle leggi universali, immutabili della vita economica, interessa
invece spiegarsi perché la vita economica si è presentata di volta
in volta in un certo modo. Studiare tale modo e vedere l’esito
attuale di tali contraddizioni per poterle risolvere e liberare
l’uomo dalle forme di alienazioni che sinora la sua attività ha
comportato. Fondamentale nel pensiero di Marx è il concetto di
plusvalore,
il cui termine viene analizzato nel Capitale.
Per Marx soltanto partendo dal concetto di plusvalore è possibile
spiegare come sia sorto il capitale, come si è sviluppato e quali
sono le sue conseguenze economiche, sociali e politiche. Ammesso,
infatti, che la fonte di ogni valore economico sia il lavoro, cioè
l’uso della forza-lavoro, ne segue che il profitto del capitalista
può derivare solo dalla sottrazione di una parte del valore prodotto
dal suo lavoro; se infatti il lavoratore ricevesse per intero il
frutto del proprio lavoro non vi sarebbe possibilità di profitto per
il capitalista e, quindi, il profitto si spiega soltanto in quanto vi
è una parte di lavoro non pagato (il plusvalore) che genera appunto
il plusvalore. L’aspetto più caratteristico del pensiero di Marx
tra capitale e lavoro sta nella convinzione che il capitale non
avendo senso se non come fonte di profitto, tenda ad una continua
accumulazione e a un sempre crescente incremento, il che può
avvenire a patto di una sempre maggiore depauperazione ed
espropriazione del lavoratore ridotto ormai a proletariato; per cui
la lotta di classe per Marx è destinata a scavare un solco sempre
maggiore tra i suoi antagonisti e ad acuirsi sino ad un punto estremo
oltre il quale non sussiste altra possibilità che la rivoluzione
come espropriazione degli espropriatori da parte degli espropriati.
Il capitalismo comporta, infatti, la riduzione del lavoratore a merce
e la sua più completa alienazione in rapporto al lavoro, a se stesso
e al genere umano. D’altra parte la sua sopravvivenza, però,
dipende dal capitale, per cui si forma una grande scissione tra
quelli che sono i suoi bisogni animali, che può comunque sempre
soddisfare, e tutti gli altri bisogni dipendono dalle leggi del
capitale. Marx sottolinea un altro punto essenziale: la borghesia
nella sua lotta contro il mondo feudale ha rappresentato sì una
forza rivoluzionaria portatrice di interessi generali e ha promosso
uno sviluppo economico universale e razionalizzato che ha spazzato
via le remore poste dalle condizioni politico-sociali precedenti.
Tuttavia, proprio perché l’ascesa della borghesia coincide con
l’affermarsi del capitalismo, ossia di un tipo di produzione
fondata sullo sfruttamento, la borghesia crea una nuova società di
classe e non una società senza classi. Il suo programma di
emancipazione politica universale, affermato nella rivoluzione
francese, rimane pertanto astratto e contraddittorio, perché si
scontra inevitabilmente con una realtà sociale dove la borghesia
utilizza il potere politico esclusivamente in funzione dei propri
interessi e del proprio dominio di classe, accentuando quindi le
condizioni della lotta di classe, invece di ridurle o eliminarle.
Solo con il proletariato si fa avanti una classe che non deriva più
dallo sfruttamento di altre classi, e che è pertanto destinata a
realizzare una rivoluzione totale e non parziale, tale da portare
alla soppressione di tutti gli antagonismi di classe. A questo
proposito
è molto significativa l’introduzione alla Critica
della filosofia del diritto di Hegel.
In questo testo Marx approfondisce il paradosso della Germania e
giunge alla conclusione che proprio per l’arretratezza della sua
borghesia e per l’impossibilità di una rivoluzione simile a quella
avvenuta in Francia e in Inghilterra, si apre la prospettiva di una
rivoluzione universale compiuta da una classe nuova e diversa: il
proletariato. In tal senso l’unica possibile liberazione in
Germania ha come principio quello che diventerà il principio di
emancipazione non di una sola classe, né di un solo popolo, ma
dell’uomo, poiché tale rivoluzione può venire solo dal
proletariato, guidata dalla consapevolezza che giunge loro dalla
concezione materialistica della storia.
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