Herbart
nasce il 4 maggio del 1776. Nel 1806 scrive la Pedagogia
generale dedotta dal fine dell’educazione; I punti principali della
metafisica, I punti principali della logica, La filosofia pratica
generale.
Del 1813 è il Manuale
per l’introduzione alla filosofia,
a cui segue il Manuale
di Psicologia.
Del 1822 è Sulla
possibilità e necessità di applicare la matematica alla psicologia,
i due volumi della Psicologia
come scienza, nuovamente fondata sull’esperienza, la metafisica e
la matematica.
Segue la Metafisica
generale accanto ai principi della dottrina filosofica della natura
e la Breve
enciclopedia della filosofia.
Muore nell’agosto del 1841.
Herbart
viene usualmente considerato come uno dei massimi esponenti del
filone kantiano che si contrappone alla filosofia idealistica, e che
dapprima non ebbe molto eco all’interno del pensiero occidentale,
ma che poi verrà rivalutato con l’eclissarsi dell’idealismo. Ciò
non significa che Herbart accetti tutta la speculazione kantiana, in
quanto egli stesso vede alcuni punti di essa come insostenibili.
Rimane, però, fermo in Herbart il punto che afferma che la via
d’uscita delle difficoltà del kantismo non è da vedersi
certamente in Hegel, anzi l’idealismo elimina gli aspetti reali
della filosofia, inoltre la soggettività pura è un concetto
contraddittorio che non può fondare il sapere filosofico. Bisogna
prima di ogni cosa distinguere il reale nel suo carattere immutabile,
e quelle che sono il continuo mutare del mondo fenomenico. Continuo
mutare che non è legato al divenire, ma al fatto che non si ha un
unico essere, come affermava Parmenide, ma un’infinità di esseri
reali che entrano tra loro in infinite relazioni. Per cui non si deve
solo riconoscere le contraddizioni interne nel mondo dell’esperienza,
ma bisogna andare a studiare le relazioni, tramite il metodo delle
relazioni, in modo tale da pensare come molteplice quello che non può
essere inteso come unitario senza inciampare in contraddizioni
interne. Nell’adempiere tale compito il pensiero deve attenersi a
delle regole che sta alla logica andare a precisare. Per Herbart però
non bisogna in alcun modo confondere la logica con la psicologia e
soprattutto non si deve fare l’errore di ridurre la logica ad una
sorta di storia naturale dell’intelletto, o peggio ancora, come
aveva fatto in parte Kant, andare a ricondurre la logica a delle
facoltà. Importante anche il sottolineare da parte di Herbart il
carattere ipotetico del giudizio. Carattere ipotetico del giudizio
che nasce come risposta alla domanda che sorge dall’accostare
diversi concetti e dalla necessita di vedere se tali concetti si
accordino, e se si accordano vedere come. Una volta stabilite le
condizioni formali che permettono la logica bisogna passare alla
trattazione dei concetti fondamentali della metafisica, nella quale
un posto particolare spetta alla dottrina kantiana dell’essere come
“posizione
assoluta”.
L’essere in altre parole non può essere ricondotto al piano logico
o della possibilità di essere pensato, cioè Kant, per Herbart, ha
avuto il merito di spazzare via quelle concezioni dell’esistenza
come semplice complemento della possibilità del pensabile, e con ciò
stesso tutte quelle forme inadeguate di metafisica. Al concetto di
essere non si arriva mediante l’intuizione ( che Herbart critica
aspramente),
bensì per la necessità concettuale di ammettere come esistente ciò
che ci appare e, la cui apparizione non potrebbe essere spiegata
senza la posizione assoluta dell’essere e la molteplicità degli
esseri. Ciò non significa allontanarsi dal sensibile, ma anzi
ritornare al sensibile per meglio comprenderlo scientificamente.
Herbart chiarisce una serie di punti fondamentali che sono: ciascuno
dei reali può entrare in una serie illimitata di relazioni con gli
altri reali, e ciò fa sviluppare un perturbamento reciproco che ne
permette l’autoconservazione; un esempio viene offerto dalla nostra
vita psichica. Si deve evitare l’illusione di Kant che il pensiero
sia un qualcosa di a priori a cui va ricondotto il dato; anzi è
sempre nella determinatezza del dato che si dispiega l’esperienza
sensibile e il suo graduale evolvere di relazioni concettuali.
Herbart critica anche le categorie e in special modo quella della
causalità legata alla temporalità. In tal modo non si supera lo
scetticismo di Hume. Mentre per comprendere la causalità si deve
ricondurla alla sostanzialità, al di là dell’esperienza sensibile
e del flusso temporale. Dalla logica e dalla metafisica vanno
distinte nettamente sia l’estetica che la psicologia. Herbart
riconduce anche la morale all’interno della tipologia del giudizio
estetico. Con il termine di giudizio estetico si vuole indicare tutto
ciò che riguarda non la conoscenza, ma l’apprezzamento; e che si
concretizza in una vera e propria scienza delle valutazioni. Per
quanto riguarda la morale Herbart afferma che essa non può essere
fondata su qualcosa di vuoto come una presunta libertà
trascendentale e di ristretto come la dottrina dei doveri; secondo
Herbart infatti le valutazioni morali rispondono a cinque gradi di
idee tra loro irriducibili che sono la libertà interiore, la
perfezione, la benevolenza, il diritto e l’equità. Una volta
eliminato l’ostacolo costituito da indebite concezioni di facoltà
dell’anima o da una nozione assoluta dell’Io, è possibile
studiare la vita dell’anima, come di qualsiasi altro reale, come un
processo di perturbazioni e autoaffermazioni che è la fonte delle
rappresentazioni, liberate in tal modo dalle sterili e insolubili
alternative tradizionali circa la loro collocazione dentro o fuori
della coscienza. Il problema è ora quello divedere come queste
rappresentazioni vengano a risultare dall’incontro e scontro ed è
qui che intervengono le possibilità di un’applicazione del metodo
matematico, che consente di dare alla psicologia uno statuto di
scientificità quale non le può derivare da una sperimentazione
analoga a quella delle scienze naturali. Le rappresentazioni possono
inoltre esercitare reciprocamente una funzione di inibizione e
impedimento che non le distrugge, ma li respinge al di sotto della
coscienza; di qui l’introduzione del concetto di soglia della
coscienza, e di qui anche una concezione della vita psicologica molto
più ampia di quella rappresentata dalla consapevolezza delle
rappresentazioni, e dunque l’affermazione di una sorta di
inconscio, di profondo, di dove le rappresentazioni inibite e
respinte, trasformatesi in forze, in tendenze, possono tornare a
superare la soglia della coscienza, o per la loro propria forza o
perché ne vengono richiamate. Un’adeguata conoscenza della vita
psichica e dei suoi processi, così come delle idee della morale,
consente poi, secondo Herbart, di delineare in modo organico finalità
e metodi del processo educativo. Alla sua base sta il concetto di
plasmabilità dell’uomo se correttamente osservato e seguito.
L’educatore potrà dunque procedere nei suoi confronti attraverso
diversi procedimenti atti a portarlo alla virtù e a realizzarsi come
persona veramente e interiormente libera. In primo luogo il governo
del fanciullo, avvalendosi anche di minacce e della costrizione se
indispensabile, ma soprattutto dell’autorità e dell’amore.
Inoltre Herbart sviluppa un metodo articolato in una maniera che
riesca a provocare nel fanciullo un interesse multilaterale tale da
consentire uno sviluppo adeguato nei diversi stati d’animo rispetto
alla realtà che lo circonda e all’umanità nel suo complesso.
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