Friedrich
Nietzsche nasce
a Lipsia il 14 Ottobre del 1844. Il suo primo scritto risale al 1872
e prende il titolo di La
nascita della tragedia dallo spirito della musica;
di poco successive (1873-1876) sono le sue Considerazioni
inattuali,
tra cui particolarmente importante quella Sull’utilità
e il danno della storia per la vita.
Muore nel 1900 a seguito delle varie crisi psichiche che ebbe. Dal
1878 iniziano le opere volte a mettere in luce il carattere
mistificante di tutte le forme di morale e a scoprire le radici
nichilistiche della civiltà europea. Si hanno quindi (1878) Umano,
troppo umano;
(1881) Aurora;
(1882) Gaia
scienza
ove si ha la teoria dell’eterno
ritorno;
quindi, si ha Così
parlò Zarathustra (1883-1885);
Al
di là del bene e del male
(1886) e l’ultima sua opera, postuma, pubblicata in maniera
arbitraria dalla sorella e dall’amico Peter Gast La
volontà di potenza.
Per
Nietzsche come per molti altri filosofi tedeschi il rapporto con la
Grecia è fondamentale, anzi in Nietzsche si ha la convinzione che la
nuova cultura tedesca potrà trovare la propria strada solo
rapportandosi in maniera critica con la cultura greca. La Grecia che
Nietzsche prende in esame non è però quella
socratico-platonico-aristotelica, bensì la Grecia dei presocratici,
la Grecia del VI
secolo a.C. , la Grecia della tragedia antica, dove
ancora predominava il coro. In questo senso il suo studio va oltre
una
mera
ricerca storico-filologica della Grecia, e si pone come
ricerca
delle radici della civiltà europea. Civiltà europea che viene
ricondotta a due momenti essenziali: il dionisiaco
e l’apollineo.
Il
dionisiaco
indica
una sorta di ebrezza e di esaltazione (di cui la danza è una delle
espressioni più tipiche) che travolge e supera i confini delle
singole individualità, riportandole all’unità più profonda del
reale.
L’apollineo
scaturisce, invece, da una visione di sogno e tende a tradurre il
senso oscuro delle cose in una serie di figure luminose, fredde ed
equilibrate che troveranno la loro sede più naturale nella scultura
e nella poesia. Queste figure plastiche e artistiche, con cui troppo
spesso si è voluti erroneamente identificare la grecità,
rappresentano, per Nietzsche lo sforzo compiuto dai greci per
superare il dolore dell’esistenza, ovvero come prodotti necessari
dell’audacia di chi ha voluto guardare nelle terribili profondità
della vita.
Con
Euripide
però alla tragedia viene tolto il suo carattere dionisiaco e viene
immessa la morale e la concezione del mondo intellettualistica di
Socrate. Tale trasformazione si traduce nella proibizione di guardare
negli abissi dionisiaci e in una
fede
ottimistica nella dialettica, nella morale e nel sapere. Si impone,
quindi, con Socrate la convinzione che la virtù sia sapere e
soprattutto l’illusione che il pensiero non solo è capace di
sondare e conoscere a fondo la realtà, ma, anche, che il pensiero
possa correggere e dominare la realtà. Socrate viene ad essere,
pertanto, l’asse della “cosiddetta
storia
universale”,
perché Socrate è l’iniziatore, il prototipo, dell’ottimismo
teoretico che attribuisce alla conoscenza e al sapere la virtù di
medicina universale. Ma questo atteggiamento ha comportato il
giudicare la vita secondo dei criteri astratti, che ha come
conseguenza il dire no alla vita. Socrate, in poche parole, apre
un’epoca di decadenza in cui noi tuttora viviamo. Per Nietzsche la
decadenza, e il rifiuto della vita, nella civiltà occidentale hanno
raggiunto una forma estrema nell’età moderna, e soprattutto nella
filosofia hegeliana con la sua mentalità storica. L’eccessivo
interesse per il passato, il vivere nel ricordo non fa che
distruggere la personalità dell’uomo e impedirne ogni libera e
nuova esplicazione. Credere nella storia, come forza portante della
vita e come criterio del suo significato, significa sacrificare le
più genuine energie dell’uomo ad una astratta ed inesistente idea
di umanità in generale, significa tagliare le gambe ad ogni
possibilità di autentico futuro. In maniera più specifica occorre
distinguere tre possibili atteggiamenti di fronte alla storia: quello
che considera la storia in maniera monumentale,
in quanto gli eventi storici possono servire da stimolo e da modello
all’azione del presente; quello che guarda alla storia in modo
antiquario,
in quanto cerca di conservare il passato che ritiene unico fondamento
del presente, ciò significa che il passato viene vissuto come un
tessuto collante in cui si trovano valori permanenti costitutivi
della nostra società; quello, infine, critico
che si rivolge alla storia con intenti di rottura, di distruzione dei
suoi elementi codificati e cristallizzati, elementi questi che
impediscono il realizzarsi di nuove forme di vita. Solo quest’ultimo
elemento permette secondo Nietzsche di potere creare nuovi valori e
di potere liberare l’uomo da una mentalità decadente e ripetitiva.
L’atteggiamento critico di Nietzsche verso tutto quanto il decorso
storico, porta questo filosofo a dare un giudizio negativo di tutto
quanto il pensiero che parte da Socrate e giunge ai giorni nostri. In
tale giudizio negativo rientra anche il Cristianesimo. Mentre
l’affermazione dell’elemento dionisiaco e del tragico è stato
sempre una rivendicazione alla vita e all’arte, tanto che
nell'Origine
della tragedia Nietzsche
afferma
che il mondo è tollerabile solo come fenomeno estetico; il
Cristianesimo, fino a quando è rimasto autentico, ha condannato
l’arte e l’apparenza, in altre parole, ha condannato la vita
pretendendo di poterla giudicare in nome di certi valori.
La stessa ricerca dell’aldilà, di un mondo che sta dietro questo
mondo, è espressione di un disgusto nichilistico per la vita; e in
questo senso il Cristianesimo è l’estrema prosecuzione
dell’ellenismo come dimostra anche il fatto che si è intriso di
platonismo. Il platonismo con il suo iperuranio
e con le sue idee
immutabili
ed
eterne
ha giudicato come apparente e transeunte questo mondo, tanto che ha
usato l’iperuranio come criterio e prototipo di fondazione di
questo mondo. In questo senso Cristianesimo
e platonismo non sono altro che successive manifestazioni di questo
dire no alla vita, di questo atteggiamento nichilistico, che ha
determinato l’intero decorso della storia europea e che è ormai
giunto all’estremo con la malattia storica e con la totale caduta
dei valori su cui si era fondata la civiltà greco-ebraico-cristiana.
In questa linea di pensiero si inserisce la celebre tesi nietzschiana
secondo cui Dio
è morto.
Tale tesi si distingue da qualsiasi forma tradizionale di ateismo.
Per Nietzsche, infatti, non si tratta di porre in astratto la
questione se Dio esista o meno, secondo i principi universali della
ragione, semplicemente perché tali principi non esistono, e si
devono spiegare solo come il frutto di una necessità biologica,
ovvero una sorta di errore necessario per la sopravvivenza. La logica
non è, quindi, un organo della verità quale appare alle scienze o
alle filosofie tradizionali. Parlare della morte di Dio significa
invece dare una valutazione critica di un processo storico che si è
venuto compiendosi e che è culminato con il nichilismo.
L’atteggiamento di Nietzsche verso il Cristianesimo è un
atteggiamento molto complesso in quanto egli distingue quella che era
la vera predicazione di Cristo, in cui mai affiora traccia di odio o
risentimento per la vita, dal successivo indirizzo impresso al
Cristianesimo da San Paolo, considerato il responsabile della
contrapposizione tra fede e opere, tra anima e corpo, tra spirito e
carne, tra vita celeste e vita terrena e quindi dell’interpretazione
nichilistica (negatrice della vita terrena) del messaggio di Cristo.
È da dire che da Nietzsche sono più apprezzate le forme originarie
di Cristianesimo, più vigorose e radicali, rispetto alla successive
elaborazioni, troppo complesse e sostanzialmente inclini al
compromesso. La morte di Dio è, afferma Nietzsche, un avvenimento
tremendo e sconvolgente perché segna il crollo di un’impalcatura
di credenze e di certezze su cui gli uomini hanno basato la loro vita
per due millenni e che non sono per nulla preparati a sostituire. Nel
quadro della valutazione complessiva della civiltà europea diventa
allora possibile comprendere rettamente la posizione di Nietzsche di
fronte alla morale. Quando, infatti, Nietzsche si professa
immoralista
o invita ad andare al
di là del bene e del male
o auspica un
rovesciamento dei valori,
non intende distruggere valori morali esistenti e accettabili come
tali, ma al contrario vuole mostrare l’insostenibilità di vecchie
tavole
di valori, che gli appaiono come semplici
codificazioni di quel no alla vita che è il nucleo sostanziale del
nichilismo.
Proprio perché il nichilismo è stato negativo di fronte alla vita
occorre dunque negare o, come si direbbe oggi, demistificare il
nichilismo, i suoi presunti valori e le sue effettive deformazioni.
Il nichilismo stesso se ben interpretato è un segno di forza, un
sintomo del fatto che l’energia dello spirito è cresciuta al punto
da non considerare più adeguati i fini finora perseguiti, e ciò
spiega il fatto che dalla diagnosi del carattere nichilistico della
società europea Nietzsche passa alla predicazione del superuomo.
Per comprendere realmente il concetto di superuomo
bisogna ricordare che Nietzsche critica la civiltà greco-cristiana
per la sua malattia
storica,
che può essere superata solo con l’annuncio del nichilismo e della
morte di Dio. Questo discorso non si prefigura come una nostalgia per
uno stato originario dell’uomo al quale si potrebbe o dovrebbe
tornare. L’uomo infatti è stato troppo deformato da secoli di
civiltà per potere ritornare a uno stato di innocenza e felicità
primitiva. Al contrario la sua unica possibilità di salvezza sta nel
compiere un esperimento, nel tentare di andare oltre il suo stadio
attuale, inventando una forma di vita più alta, più piena e più
felice. In questo senso Zarathustra afferma “ io
vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere
superato”.
Il superuomo cioè indica un nuovo tipo di uomo che deve nascere dal
superamento del nichilismo mediante una sorta di salto, di mutazione,
come si direbbe in un linguaggio biologico, esattamente come l’uomo
può essere ritenuto il risultato di un superamento qualitativo della
pura animalità. Non è possibile anticipare e prevedere però i
tratti del superuomo, se non dire soltanto che sarà l’uomo dal
grande
disprezzo,
ossia del completo rifiuto di quelli che sono stati considerati
finora come valori (giustizia, verità, compassione, ecc.) e che, in
realtà, nascevano da una prospettiva nichilistica destinata a tenere
l’uomo lontano dalla felicità. L’intero discorso di Nietzsche si
inserisce in una concezione cosmica ben precisa e cioè la negazione
di qualsiasi presupposto teologico, antropologico dell’universo: la
terra e l’universo non hanno alcun senso, se non quello che di
volta in volta dà l’uomo ad essi. L’universo non ha senso
perché, contrariamente alla concezione ebraico-cristiana, non ha
né un inizio né una fine né un fine, ma è sostanzialmente eterno
ritorno
dell’identico; un eterno ritorno dell’identico privo di qualsiasi
bontà e razionalità, contrariamente a ciò che affermavano gli
stoici, e ciò perché bontà e razionalità sono finzioni e funzioni
biologiche, strumenti di sopravvivenza strettamente legati alla
prospettiva dell’uomo. In questo quadro si inserisce anche la sua
dottrina della volontà
di potenza,
che non è il desiderio di affermarsi sugli altri con la forza, bensì
è la scoperta e la messa in atto delle infinite potenzialità insite
nell’uomo e rimaste per secoli mortificate e trascurate in ossequio
a valori puramente negativi. Proprio perché
nell’universo non vi è nulla che possa o si debba subordinare alla
vita nelle sue infinite potenzialità, occorre dedicarsi pienamente
al loro sviluppo, e da questo punto di vista la più grande colpa
dell’uomo è quella di non avere voluto essere abbastanza felice.
Nessun commento:
Posta un commento