La storia di Roma dal 241 al 146 a.C. è una storia di
vittorie e di conquiste. Il possesso di nuove terre creò una serie
di lotte interne, che, se da una parte arricchirono notevolmente chi
già era ricco, dall'altra impoveriva sempre più la classe dei
contadini. L'insoddisfazione di questi, in aggiunta ai complotti
politici, causò la disgregazione della repubblica.
Nel 509 a.C., data della fondazione dell'Urbe, i Romani
erano fondamentalmente dei contadini fortemente legati al loro fondo
e alla collettività, che tutti servivano come soldati e alcuni come
magistrati. Essi si sentivano orgogliosi di essere cives, ossia
cittadini romani. La cittadinanza dava dei privilegi particolari, tra
cui la protezione delle leggi e della religione romana. La legge
doveva essere seguita alla lettera e verso di essa si aveva una tale
venerazione che Tito Manlio, uno dei primi consoli, fece decapitarare
il proprio figlio per averla trasgredita. Per quasi duecento anni
dopo la fondazione della repubblica, il governo era stato in mano ai
Patrizi, ossia ai discendenti delle famiglie più antiche e
fondatrici della città. Gli altri cittadini, plebei, erano estranei
alla politica. Ovviamente, però, anche loro chiesero di farne parte.
Le dispute tra le due diverse fazioni, patrizi e plebei, durarono per
circa due secoli e vennero condotte in maniera legale, senza il
ricorso delle violenza. Per esempio, i plebei nominavano degli
oratori, i tribuni, che facevano valere le loro istanze davanti al
Senato. La disputa ebbe fine nel 287 a.C., quando il dittatore Quinto
Ortensio emanò la lex hortensia, che stabiliva uguali diritti tra
patrizi e peblei. In realtà, il conflitto era ben lungi dall'essere
concluso. Ed infatti, pochi plebei potevano permettersi di esercitare
il consolato o di accedere al Senato senza compenso alcuno. Di fatto,
quindi, il potere rimase dei patrizi, che costituivano quasi tutto il
Senato, che aveva il compito di sancire con l'approvazione o di
annullare con il veto qualsiasi legge proposta dalle Assemblee del
Popolo. Il patriziato coincideva coi ricchi proprietari terrieri, che
divennero sempre più ricchi a spese dei poveri. L'aristocrazia,
infatti, si era giovata delle guerre, come quelle puniche, che aveva
procurato loro una grande quantità di manodopera a buon mercato. I
prigionieri di guerra venivano fatti schiavi e vennero a sostituire
la mano d'opera dei liberi cittadini. Inoltre, i feudatari si
accaparravano la maggior parte dei piccoli poderi che erano stati
saccheggiati da Annibale. Molti contadini furono costretti ad
abbandonare l?Italia, altri a recarsi a Roma, alla ricerca – spesso
infruttuosa – di un nuovo lavoro.
Nel 133 a.C. il tribuno Tiberio Cracco cercò di
risolvere la grave situazione sequestrando certi terreni ai patrizi
per dividerli ai bisognosi. Ovviamente ebbe l'odio dei grandi
proprietari terrieri e venne assassinato. Stessa sorte toccò 10 anni
dopo al fratello Caio, che aveva cercato, come il fratello, di porre
rimedio a questo stato d'ingiustizia.
Il secolo successivo fu intriso di rivolte e guerre
civili. Vari politici cercarono di conquistare il potere aizzando il
proprio esercito contro gli oppositori politici, e non contro i
nemici stranieri della repubblica. Nel 100 a.C. Mario, un generale
divenuto politico, aiutò i poveri reclutandoli nel proprio esercito.
Anche il rivale Silla fece la stessa cosa, ma utilizzò il proprio
esercito per diventare dittatore e per ridare al Senato il suo antico
potere. Ormai il potere della repubblica era nelle mani di coloro che
possedevano l'esercito e nel 60 a.C. i generali Pompeo, Crasso e
Giulio Cesare si riunirono in un triumvirato per dividersi il
territorio romano. Dopo la morte di Crasso, avvenuta in oriente nelle
guerre contro i Parti, iniziarono i dissapori tra Cesare e Pompeo.
Cesare, valoroso generale, vincitore contro la Gallia e conquistatore
dell'Inghilterra nel 54 a.C., marciò verso Roma con le sue legioni.
Pompeo fuggì e Cesare rimase l'unico reggitore del mondo romano.
Le guerre di espansione ebbero dei rivolti negativi, in
quanto furono motivo di squilibrio sociale, ma ebbero anche dei
risvolti positivi. In particolare, permise ai Romani di entrare in
contatto coi Greci, un popolo molto più raffinato e culturalmente
più elevato. I Romani ne imitarono la letteratura, l'arte e
l'architettura. Anche dopo la repubblica, il mondo greco con la sua
cultura rimase un punto di riferimento imprescindibile. Nel
frattempo, però, i poeti della Roma repubblicana Catullo e Lucrezio,
e gli oratori, come Cicerone, avevano dato lustro al latino, che
divenne una delle lingue più espressive del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento