lunedì 27 agosto 2012

Le filosofie della religione e la “morte di Dio”.


Nel corso della seconda metà dell'ottocento si era sviluppata una concezione negativa della religione, considerata ormai come un aspetto della civiltà sorpassata, destinato a scomparire perché privo di qualsiasi tipo di oggettività e legittimazione effettiva.
Con lo sviluppo della sinistra hegeliana e del neopositivismo si giunse a pensare che la religione dovesse essere riportata a delle componenti storiche e sociali mediante un'analisi antropologica che spiegasse l'avvento del numinoso come una proiezione dell'uomo in una realtà ultraterrene.
È da dire, però, che nel corso dell'ottocento e del novecento si sviluppò una generale reazione allo scientismo da parte di alcuni autori, quali Boutroux, Bergson, James e Blondel (per citare solo i più noti), che rivendicarono la funzione della religione.
Uno degli autori che cercò di fondare la specificità del fenomeno religioso è Rudolf Otto (1869 – 1937), autore del saggio Il sacro, del 1917. Otto ha cercato di riportare la religione ad un vero e proprio “a priori” irriducibile a qualsiasi fattore storico, psicologico o razionale.
Rudolf Otto non nega che il “sacro” nel corso dei secoli si sia caricato di elementi rituali, etici, storici e rituali, ma, ritiene, al contempo, che le sue radici vanno collegate ad una esperienza del numinoso irrazionale. Esperienza che è possibile descrivere soltanto mediante le sue manifestazioni, e cioè il tremendo, il misterioso e il maestoso.
La fenomenologia spesso è stata la metodologia applicata alla risoluzione del problema religioso. A tal riguardo, Max Scheler afferma ne L'eterno dell'uomo, del 1921, che bisogna dare una descrizione delle manifestazioni immediate e concrete, intuitivamente date e afferrabili, nella vita dell'uomo e nella sua coscienza del fenomeno religioso senza ricercare alcuna definizione o prova del noumeno.
Su questa via si sviluppa tutta una fenomenologia della religione che vuole accantonare qualsiasi considerazione di tipo genetico o causale del fenomeno religioso.
Karl Barth (1886 – 1968), autore di un commento a La lettera ai Romani, del 1919; di un Fides quaerens intellectum, del 1931; di una Dogmatica ecclesiale, de La teologia protestante nel secolo XIX, del 1947.
Karl Barth è il maggiore esponente di quella corrente di pensiero che prende il nome di teologia dialettica. La teologia dialettica nega che il Cristianesimo sia un fatto puramente storico e umano e polemizza contro coloro che cercano di salvaguardarlo e rinnovarlo affermando il valore morale e culturale di esso. Il termine dialettica non è da interpretare in senso hegeliano come superamento di due opposti in una sintesi, ma, al contrario, come radicalizzazione della distanza incommensurabile che separa l'uomo da Dio, considerato come il “totalmente altro”. Distanza che non può essere in alcun modo superata partendo dall'uomo.
In tal senso la teologia dialettica viene chiamata anche “teologia della crisi”. Ed infatti, punta unicamente sulla fede e sulla rivelazione, ed afferma che l'uomo può trovare la propria salvezza solo mediante una crisi totale che ne sottolinea la completa nullità e peccaminosità di fronte a Dio.
Rudolf Bultmann (1884 – 1976), teologo tedesco, autore di Credere e comprendere, del Nuovo Testamento e mitologia. Il problema della demitizzazione nel messaggio neotestamentario, del 1941 e di Storia e escatologia, del 1957.
Rudolf Bultmann è fondatore di quella corrente di pensiero che prende il nome di demitizzazione, e che affonda le proprie origini nell'analitica dell'esistenza sviluppata da Heidegger in Essere e tempo. La demitizzazione intende interpretare e rinnovare il Cristianesimo in base al suo significato essenziale. Il messaggio cristiano deve essere depurato da tutto ciò che è mitologico, ossia frutto di entità soprannaturali e sovrumani e deve essere avvicinato alla scienza. Bisogna, quindi, depurare la Bibbia da tutto ciò che oggi appare inaccettabile all'uomo moderno (come la sua cosmogonia superata, la divisione dell'universo in cielo, terra ed inferno) per aprire la strada alla sola interpretazione esistenziale . Risposta esistenziale che non deve cercare nella Bibbia una risposta sulla costituzione e sulla immagine del mondo, bensì una serie di risposte ai problemi dell'esistenza.
Conseguentemente, la Sacra Scrittura non deve essere letta mediante una prospettiva oggettiva o neutrale, ma mediante una “precompressione dell'esistenza”, ossia al fine di rispondere ad una serie di interrogativi che coinvolgono intrinsecamente l'uomo circa il suo destino e la sua responsabilità. Ciò perché l'esistenza è sempre un qualcosa di storico, e, in quanto tale, è una presa di responsabile rispetto a qualcosa che ancora non è, ma che acquisirà significato nel futuro.
Solo in tal modo si può intendere il messaggio “escatologico” del Cristianesimo. Ed infatti esso parla di un evento storico, ossia la venuta di Cristo, che pone la fine del mondo e, al contempo, della sua storia. L'ascoltatore, pertanto, è posto innanzi alla decisione se voglia fare parte del vecchio o del nuovo mondo, se voglia rimanere il vecchio uomo o se voglia diventare un uomo nuovo. Storicità dell'esistenza e storicità della rivelazione si incontrano nell'esistenza escatologica del credente, che vive nel mondo presente, ma al tempo stesso appartiene al mondo che verrà. Su questo mondo che verrà deve prendere una decisione significativa per quella salvezza annunciata da Cristo.
Dietrich Bonhoeffer (1906 – 1945), teologo tedesco, i cui scritti principali sono: Sequela, del 1937; La vita comune, del 1939; Etica, del 1949; Resistenza e resa, del 1951; L'ora della tentazione, del 1953 e L'essenza della Chiesa, del 1971.
Dietrich Bonhoeffer riprende la distinzione di Barth tra fede e religione al fine di giungere ad un “cristianesimo senza religione”. Egli si interroga su cosa possa essere oggi il cristianesimo. La risposta a tale quesito non può più venire da una concezione di Dio come tappabuchi della nostra conoscenza o dal credere in un Dio che soccorra ai bisogni dell'uomo o alle sue insufficienze. Concezioni di tal genere di Dio sono state ampiamente superate in un mondo “diventato adulto”, in un mondo che si è abituato a vivere senza “l'ipotesi di Dio”. Una interpretazione di tal genere della Deità porterebbe a quella concezione nietzschiana del risentimento, ossia al senso di debolezza e di frustrazione dell'uomo. Quindi, Bonhoeffer critica e polemizza contro tutte quelle argomentazioni apologetiche che si fondano sulla psicoanalisi e sull'esistenzialismo e che, pertanto, pensano di riportare l'uomo a Dio focalizzando l'attenzione sulle sue debolezze, sulla sua miseria e sugli aspetti più malsani della sua interiorità. Il messaggio di cristo e un inno alla gioia di vivere, all'amore verso il prossimo. Un messaggio che esalta i valori della vita. Ciò non significa che si ignora la sofferenza, anzi si pone l'accento su un Dio che soffre accanto ed insieme all'uomo e come l'uomo.
Jacques Maritain (1882 – 1975), filosofo francese, studente e discepolo di Bergson, fu autore di Arte e scolastica, del 1920; dei Tre riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, del 1925; di Distinguere per unire: i gradi del sapere; del 1932; di Sulla filosofia cristiana, del 1932; di Umanesimo integrale, del 1936; di Cristianesimo e democrazia, del 1943; de L'uomo e lo stato, del 1951; de La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi, del 1960 e de Il contadino della Garonna, del 1966.
Maritain polemizza contro gli esiti ateistici e laicizzanti del pensiero moderno. In particolar modo critica i tre capostipiti della riforma del pensiero moderno, ossia Lutero (in campo religioso), Cartesio (in campo filosofico) e Rousseau (in campo etico – morale).
Questi tre autore, infatti, al di là del pensiero filosofico sviluppato, hanno contribuito alla formazione di una mentalità “immanentistica”. Ciò perché hanno incentrato tutto sull'individuo, sulla sua volontà, sulle sue intuizioni e sui suoi sentimenti. Questo nuovo modo di pensare ha comportato l'annichilimento di ogni effettivo legame con la realtà esterna, naturale, storica ed ecclesiale. Tutte realtà queste con cui l'uomo deve confrontarsi per realizzarsi come “persona”.
In questa polemica contro il pensiero moderno, da lui definita non più filosofia, ma “ideosofia”, ossia idealismo di matrice cartesiana, Maritain afferma che allo stato attuale vi sono soltanto due vere e proprie dottrine filosofiche. Esse sono:
  1. il realismo marxista;
  2. il realismo cristiano.
Il realismo marxista, però, si prospetta come una prospettiva materialistica ed ateistica. Una prospettiva limitata e limitante. Il realismo cristiano, invece, offre veramente un rimedio ai mali provocati dall'umanesimo moderno, la cui pecca principale è stata quella di essersi configurato come antropocentrismo e non, invece, come vero umanesimo, o, in maniera più precisa, utilizzando le parole stesse di Maritain, come “umanesimo integrale”.
Tale umanesimo può realizzarsi mediante una ripresa della filosofia tomista, ossia prendendo in considerazione i diversi piani di diversità e di unità. Piani che si integrano reciprocamente in un graduale processo di salvezza, dove l'umano e il divino non possono escludersi o prevaricare l'uno sull'altro, bensì cooperano in maniera fertile per la costruzione di una nuova “cristianità”.
Il mondo moderno e la sua cultura, quindi, vivono una profonda crisi data dall'ateismo e da una concezione di pensiero laicizzante che pensa di potere fare a meno di Dio. Di fronte a tale crisi si possono applicare solo due posizioni. Esse sono:
  1. la posizione barthiana, che, però, è sostanzialmente “arcaicistica” e predicante di un ritorno al calvinismo originario secondo un umanesimo primordiale affermante il totale annullamento dell'uomo innanzi a Dio;
  2. la posizione “integralista” e “progressista” del cristianesimo di stampo tomista, che afferma e sancisce una crescita contemporanea della Chiesa e del mondo.
In tal senso, chiarificatrici sono le parole di Maritain:
il compito che si impone al cristiano è di salvare le verità “umanistiche” sfigurate da quattro secoli di umanesimo antropocentrico, nel momento stesso nel quale la cultura umanistica si corrompe, e nel quale queste verità pericolano insieme agli errori che le viziavano e le opprimevano (da Umanesimo integrale)”:
La ripresa del pensiero tomista non comporta una chiusura nel passato. Al contrario, rispetto ai problemi politici e sociali il tomismo offre un'applicazione del messaggio evangelico capace di realizzare nuove forme di cristianità nel mondo. Cristianità del tutto diverse da quella di stampo medievale, i cui codici, credi, morale, tradizione e cultura sono definitivamente tramontate. Nel medioevo, infatti, il temporale sottostava ad una concezione sacrale cristiana. Nella società moderna, invece, si può affermare una concezione profana cristiana del temporale, nel quale il cristiano è chiamato a realizzare il “bene comune”.
Da ciò l'affermazione di un “personalismo comunitario” in cui trova posto la democrazia e la solidarietà, in contrapposizione di un “liberalismo” di tipo borghese interessato solo alla possibilità di sviluppo dell'economia capitalistica. Da ciò anche il rifiuto verso ogni forma di totalitarismo conservatore e reattivo e di comunismo polemico verso l'assolutismo del profitto.

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