giovedì 16 agosto 2012

Edmund Husserl


Edmund Husserl (1859 – 1938) si laurea nel 1883 in matematica con una tesi sul calcolo delle variazioni. L'interesse per la filosofia e per la logica nasce in lui con la conoscenza di Franz Brentano. La sua prima opera, Filosofia dell'aritmetica, del 1891, risente fortemente l'influenza del Brentano, in quanto in essa viene sia criticata la credenza di fondare la matematica esclusivamente in maniera logica, sia affermata la necessità di tenere in considerazione i processi logici di astrazione. In seguito Husserl si allontana dal psicologismo di Brentano, e già nel 1900 pubblica il primo volume delle Ricerche logiche, in cui afferma l'impossibilità di ridurre le leggi logiche a quelle psichiche. Nel 1901, divenuto docente all'università di Gottinga, pubblica il secondo volume delle Ricerche logiche.
Nel 1911 pubblica il saggio Filosofia come scienza rigorosa e nel 1913 le Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Nel 1928 Martin Heidegger pubblica La fenomenologia della coscienza interna del tempo, ossia le lezioni tenute da Husserl all'università di Friburgo.
Nel 1929 si hanno i due saggi Logica formale e logica trascendentale e Meditazioni cartesiane.
Con l'avvento del nazismo Husserl, essendo ebreo, viene radiato dall'insegnamento. In questi anni lavora al saggio La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, che, rimasta interrotta per la morte sopravvenuta a Friburgo il 27 aprile del 1938, viene pubblicata postuma nel 1954. Molti altri suoi scritti vennero pubblicati postumi. Tra di essi i più importanti sono la Crisi, esperienza e giudizio, del 1939; la seconda e terza parte delle Idee, del 1952 e la Filosofia prima, del 1956 – 1959.
La fenomenologia è, a parere di Husserl, una scienza del tutto innovativa che intende dare un rigoroso carattere di scientificità alla filosofia. Soltanto dando carattere scientifico alla filosofia, infatti, si potrà confutare l'opinione, ormai largamente diffusa, che la filosofia sia il frutto di un atteggiamento sentimentale o di prese di posizioni personali. Dare carattere di rigore scientifico alla filosofia significa per Husserl far sì che la filosofia possa dare una fondazione veramente adeguata alle scienze, sia a quelle della natura che dello spirito.
Per dare il carattere di rigore scientifico alla filosofia bisogna seguire un cammino del tutto inverso rispetto a quello dei positivisti, che hanno pensato di fondare la scientificità della filosofia rifacendosi e ancorandosi al metodo e ai risultati delle scienze positive.
La filosofia, invece, deve procedere in maniera del tutto diversa, ovvero deve comprendere come si è costituito quel mondo naturale ed oggettivo a cui tutte le scienze fanno riferimento. Per fare ciò deve analizzare e sviscerare a fondo la vita della coscienza fino a scoprire il piano precategoriale, ossia quel piano da cui si sono originate e da cui sono scaturite tutti i procedimenti del pensiero e del giudizio, operanti mediante le categorie.
Per tale motivo, la filosofia si definisce in maniera del tutto diversa alla psicologia. Ed infatti, mentre quest'ultima è studio di dati di fatto inseriti in un contesto spazio – temporale; la filosofia, invece, è la scienza delle essenze, ossia scienza dei fenomeni depurati dai loro rapporti con il mondo esterno, con il contesto spazio – temporale. Pertanto, la fenomenologia si definisce come scienza dei fenomeni ridotti al loro carattere di essenze. In tal senso, la fenomenologia si occupa dello studio delle diverse regioni delle essenze, ossia dei loro diversi raggruppamenti in scienze diverse.
Per Husserl il nostro modo di pensare non è un atto originario, ma è il risultato di un processo storico che ha costituito tutti quei parametri di interpretazione e comprensione del mondo che oggi ci sembrano ovvi e scontati. Noi, infatti, presupponiamo che la realtà sia lì dove l'abbiamo sempre vista, di fronte a noi e a portata di mano. Questo modo di pensare è definito da Husserl atteggiamento naturale. Ed è proprio tale atteggiamento che Husserl mette in discussione mediante il metodo fenomenologico, che consiste nel sospendere il giudizio su tutto ciò che ci può apparire ovvio e scontato. La fenomenologia insegna ad attuare l'epoché, ossia a mettere in discussione l'esistenza di tutto ciò che ci sembra evidente ed indiscutibile, ivi compresa l'esistenza di oggetti esterni e la dicotomia tra soggetto ed oggetto. In poche parole, di mettere in discussione il cosiddetto atteggiamento naturale.
L'epoché non è, però, una precauzione metodologica per ricercare un sapere oggettivo che si fondi soltanto sull'esperienza. L'epoché di Husserl, la messa in discussione dell'esistenza degli oggetti esterni, è qualcos'altro. È molto di più: è la messa in discussione non di questa o quella teoria, bensì della pretesa naturalistica affermante che l'esperienza potrebbe fondare un'autentica oggettività.
La fenomenologia insegna, pertanto, a rompere, mediante l'epoché, quell'atteggiamento naturale da cui sono nate le varie scienze per risalire alla funzione originaria della coscienza da cui anche l'atteggiamento naturale è derivato. La fenomenologia di Husserl è strettamente legata ad un certo tipo di concezione della coscienza e del rapporto in cui essa è con i suoi contenuti. L'esperienza, dice il nostro filosofo, si riferisce sempre a dei dati di fatto, i quali, però, se presi in maniera singola, si pongono innanzi a noi in modo del tutto casuale. Ed infatti, un suono che ascolto, potrebbe essere qui, ma anche in un altro luogo e in un altro momento. Ma al di là di quando e di dove percepisco il suono, esso conserva sempre la sua essenza di suono. Quando, infatti, ascoltiamo un suono, non solo abbiamo coscienza di quel dato suono, ma anche di ciò che ne fa un suono, di ciò per cui quel suono è suono. In altri termini, abbiamo coscienza della sua essenza. Conseguentemente, non ho solo l'intuizione empirica dell'oggetto individuale (in questo caso un suono), ma ho anche l'intuizione della sua essenza, ossia l'intuizione eidetica (dal greco èidos = essenza).
Per Husserl, quindi le essenze non sono astrazioni della mente o costruzioni della coscienza, ma oggetti veri e propri di una intuizione diversa da quella sensibile, anche se sempre collegata ad essa. Per tale ragione, molti studiosi hanno parlato di platonismo di Husserl. Questi, a sua volta, risponde alle critiche che gli vengono avanzate dicendo che soltanto per puro pregiudizio non si vuole accettare che la nostra coscienza non potrebbe operare se non utilizzasse le essenze.
La fenomenologia di Husserl diviene comprensibile solo se si tiene presente la sua concezione intenzionale della coscienza. Concezione che riprende da Brentano, anche se non in maniera integrale, e che sottolinea il fatto che la coscienza è sempre un'attività intenzionale, ossia un'attività indirizzata a qualcosa. Tale attività intenzionale può essere rivolta a termini tra loro diversissimi, come un ricordo, un desiderio, un giudizio conoscitivo, un apprezzamento estetico, un giudizio negativo, ecc. Quindi, l'intenzionalità della coscienza non è un rapporto estrinseco tra due termini tra loro separati, ossia soggetto ed oggetto; bensì una correlazione tra la coscienza e ciò che le si manifesta. In tal senso la fenomenologia di Husserl può giustamente esser considerata come uno sviluppo dell'a priori kantiano. Ciò, però, a condizione di non limitare l'a priori costitutivo dell'esperienza alla forma di tempo e spazio, categorie ed idee, ma di considerare come intenzionale l'intera attività e vita della coscienza.
Applicando il concetto di epoché giungiamo a mettere in dubbio non solo i contenuti della coscienza, ma anche il suo stesso atteggiamento naturale. Da questa posizione di dubbio metodico, simile per certi versi a quello cartesiano, giungiamo alla scoperta di un qualcosa, di un residuo, che si sottrae alla messa in discussione. Giungiamo, infatti, ad una evidenza, ossia all'universalità della funzione della coscienza come costituzione del mondo. Per Husserl l'autocoscienza, la conoscenza di sé, è strettamente connessa con la conoscenza dell'altro; ed è una conoscenza sempre incarnata, ossia connessa con la consapevolezza della propria corporeità. Una conoscenza, quindi, che non si configura come astratta, ma vissuta in maniera concreta nel rapporto con gli altri e che non può prescindere dal riferimento al mondo della vita.
Husserl, quindi, identifica il termine fenomenologia con tutto un sistema filosofico. Lambert usò per primo il termine fenomenologia nel suo Nuovo Organo per indicare lo studio delle apparenze. Il termine venne utilizzato in seguito da Hegel nella sua Fenomenologia dello spirito. Qui il termine fenomenologia stava ad indicare le tappe evolutive della coscienza umana, dallo stadio della sensibilità a quello del sapere assoluto.
Husserl, però, a differenza di Lambert, ritiene che nei fenomeni si possa cogliere delle essenze, e, a differenza di Hegel, ritiene che i fenomeni non vadano descritti secondo una parabola evolutiva che dia una significazione universale ad essi. Per Husserl la fenomenologia si manifesta come un ritorno a ciò che è posto in maniera immediata alla coscienza, ossia la forma o essenza dei fenomeni.
Husserl, alla stessa maniera di Hegel, Nietzsche e, in seguito, Heidegger, ritiene che, per una giusta interpretazione e spiegazione dello sviluppo storico della civiltà europea, bisogna rifarsi al mondo greco, e, nello specifico, alla figura dello scienziato – filosofo, ossia dell'inventore di una forma di sapere avente compiti infiniti.
Husserl, ovviamente, non nega che anche in altre culture vi siano avute scoperte e invenzioni analoghe a quelle che hanno costituito le scienze in Grecia, solo che ritiene che solo in Grecia si sia costituito un sapere staccato da quello pratico. Un sapere, quindi, che, in quanto avente soltanto una finalità conoscitiva e teoretica, rimane staccato dagli interessi pratici e mitico – religiosi, e si apre a tutti coloro che lo condividono. In Grecia, pertanto, il sapere teoretico si rende del tutto autonomo, ed è stato perseguito non per i vantaggi immediati che poteva offrire (basta pensare alla geometria), ma con lo scopo di acquisire un sapere fine a se stesso. Un sapere contemplativo dalle infinite possibilità.
La ricerca di un sapere teoretico ha comportato la nascita di un metodo di ricerca e di spiegazione che ha permesso di stabilire una sorta di solidarietà tra coloro che vi si dedicavano, al di là dei diversi luoghi di origine o delle diverse tradizioni storico – culturali. Si è formata, pertanto, una unità culturale ed epistemologica che, soprattutto nel novecento, è entrata in crisi, così come è entrata in crisi la fiducia nella ragione delle scienze naturali ed esatte.
La crisi del razionalismo europeo non deve comportare un abbandono in toto della razionalità. Deve, semmai, far suscitare l'interrogativo su quale tipo di razionalità è entrata in crisi. Husserl, a tal proposito, non ha dubbi. Per lui è entrata in crisi quel metodo razionalistico che interpreta la realtà mediante un atteggiamento naturalistico ed oggettivistico. Atteggiamento fondato sulla convinzione ingenua che l'universo risponda esattamente con quanto la scienza considera oggettivo. Questo metodo fa dimenticare, però, che la soggettività da cui deriva la scienza non può essere conosciuta da nessuna scienza oggettiva, naturalistica.
Diviene ovvio, pertanto, che anche le scienze dello spirito sono in errore quando utilizzano le proprie energie per ricercare un metodo che le faccia riconoscere come scienze oggettive, alla stessa maniera delle scienze naturalistiche. Ed infatti, lo spirito deve studiare se stesso, deve autoconoscersi per comprendersi, per meglio interpretarsi. Ciò perché lo spirito, comprendendosi, comprende anche il mondo come termine di riferimento di un'operazione spirituale. Operazione questa che nessuna scienza è stata capace di fare.
La crisi europea, quindi, non deriva da un fallimento della ragione, bensì da una riduzione razionalistica della razionalità a naturalismo ed oggettivismo. Tale crisi, se non opportunamente superata, può sancire il “tramonto dell'Europa”. Cosa questa che può essere evitata mediante la fenomenologia, ossia lo studio delle forme originarie della razionalità. Solo così si può avere una “rinascita dell'Europa”.

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