venerdì 24 agosto 2012

Critica della ragione postmoderna

Saggio di Andrea Cusimano
Per una rifondazione della metafisica: critica della ragion postmoderna
Presentazione di Diego Fusaro

Che cos'è il sonno? Il sonno è simile alla morte.
Dunque è meglio vegliare, ed operare in modo
da restar vivi dopo la morte, piuttosto che dormire,
facendosi in vita simili ai morti. Come una giornata
ben spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata
dà lieto morire.
(Leonardo da Vinci, Scritti Letterari, Rizzoli, Milano 1974)


                                                                                    Prefazione di Vincenzo Musso
Il lettore di questo saggio “anomalo” si imbatterà, ad un certo punto, in un dialogo, strutturato proprio come negli scritti filosofici dell'antichità classica. Con la differenza, però, che i due dialoganti non saranno dei simposiasti, bensì, più modernamente e – forse – più prosasticamente, soltanto due amici che prendono amabilmente un caffè espresso insieme e, nel contempo, in un'atmosfera un po' improbabile, discutono della necessità, per l'uomo d'oggi, di un recupero della metafisica. È Andrea, il filosofo tra i due, che avverte questa esigenza, mentre Vincenzo si mostra scettico non tanto e non solo su di essa, ma proprio sulle possibilità di ascolto che un siffatto messaggio oggi potrebbe riscontrare. Vincenzo nel dialogo rimane, al modo di certi scritti platonici o aristotelici, una figura piuttosto sfumata, pressoché esclusivamente finalizzata a permettere all'interlocutore la manifestazione di tutte le sue idee e i suoi ragionamenti, ma la sua opposizione pragmatica e opportunistica alla battaglia donchisciottesca di Andrea risulta dall'autore del saggio adeguatamente tratteggiata.
É trasparente che Andrea sia l'autore stesso. Vincenzo sono io. E io realmente ho manifestato forti perplessità sulla possibile collocazione nel mercato di un'opera del genere, e perplessità ancora più forti sull'utilità – come dire? – spirituale di essa. È veramente necessario per l'umanità il recupero alla e della metafisica? Veramente essa costituisce un risveglio dell'essere umano alla sua più intima natura? E quali sarebbero le modalità e gli strumenti con cui egli attuerebbe questa sua natura e ne fruirebbe?
Ecco, qui si profila una delle novità di questo breve ma intenso testo. L'essere umano ha forse il bisogno di ridefinire le modalità con cui egli si palesa come “metafisico”, ma non quello di individuare gli strumenti per palesarsi tale. Ciò perché egli per se stesso è “metafisico”: se non fosse metafisico, non potrebbe configurarsi nemmeno come uomo o donna, ma sarebbe connotato da una condizione fisica, psichica e psicologica di ferinità. Nel momento in cui perviene alla consapevolezza di possedere una relativa affinità (se non identità) fisio-biologica col mondo animale e nel contempo una diversa forma psico-fisica rispetto allo stesso, a quel punto e non un attimo prima, egli si colloca in una dimensione che è oltre la natura, che è metafisica. La chiave di volta nella propria esistenza, quella che ci consacra esseri metafisici, è l'esperienza della morte altrui, che ci restituisce l'altro come individuo di cui saggiamo drammaticamente e tragicamente la mancanza, e che ci permette di autoidentificare noi stessi come individui. Va da sé che una tale prospettiva costituisce in sé un inno alla fratellanza universale.
L'individuo dunque nasce insieme al sorgere della consapevolezza di sé, la quale scaturisce dal rispecchiamento del singolo nel pietrificarsi del volto di chi muore, e si traduce in coscienza. Quando la coscienza viene addormentata svanisce insieme la consapevolezza di sé, e con essa quella dell'altro che mi sta vicino o che è da me lontano. Questa perdita di consapevolezza riporta l'essere umano ad uno stadio di ferinità, perché lo priva dell'unico metro di valutazione che possedeva: la conoscenza della morte. Egli non mantiene più così la padronanza della propria vita, che diventa soltanto un esserci senza protagonismo. Su questo, l'Andrea-autore non è esente da una disillusione, delicata e drammatica, che a tratti assurge alla dimensione di rabbia, la quale è temperata da una forte tensione morale che non la fa tracimare mai in ira: è nient'altro che il decadimento delle illusioni coltivate dagli animi che vorrebbero essere nobili, che vorrebbero volare alto. Essi, tuttavia, ineluttabilmente conoscono l'attrito greve e sanguinoso di una realtà – sociale, economica, culturale – che ha voluto rifiutare la poesia, la metafisica, per ricercare un bello che acquisisce senso quasi esclusivamente (o forse del tutto) nel possesso. Questo viene considerato, in modo volgare e ferino, la concretazione più genuina del potere.
Il messaggio dell'autore, a questo punto, sembrerebbe essere che solo la metafisica ci può salvare. Realmente però egli si lascia sedurre dal desiderio di lanciare un proclama che nulla ha di profetico, ma solo di malinconico, di deja vu e, pertanto, trattandosi di pensiero esistenzialista, di deficitario e di stolto? No.
È vero che il filosofo-autore traspone a personaggio della sua opera colui che nella vita è il suo più grande amico, e lo elegge a oppositore delle sue tesi. Ma l'operazione che egli conduce è analoga a quella che Petrarca effettuò nel Secretum. Ivi il poeta poneva a dialogare due soggetti, Francesco e Agostino. Tuttavia, pur facendo riferimento Francesco a Petrarca stesso e Agostino al santo omonimo, i due personaggi altro non erano che due parti, tra loro anche contraddittorie, costituenti l'unità della persona del poeta. Nel nostro caso, Andrea è l'autore e Vincenzo il suo amico. Entrambi, però, in verità, nella trasposizione si traducono in due immagini simmetriche e opposte di Andrea: l'Andrea che intuisce e l'Andrea che frena, l'Andrea che sviluppa un'ipotesi e pone una tesi e l'Andrea che falsifica i risultati raggiunti e oppone un'antitesi. In questo processo di dialettica interna al soggetto pensante stesso e di polarizzazione delle parti dell'io intellettuale, peraltro credo poco o nient'affatto consapevole, c'è spazio anche per l'autoridimensionamento, quindi per una nota sottilmente ironica: si tratta dell'Andrea che si prende sul serio al punto da esaltarsi e farsi possedere dal démone, e dell'Andrea che rintuzza, sminuisce, indica con apparente flagranza le debolezze.
Alla fine, però, prevale l'Andrea della lucida visionarietà, quello che indica l'orizzonte e che vi si vuole dirigere a vele spiegate, nella precisa volontà di raggiungere il senso, che è la padronanza del proprio tempo e del proprio spazio, il protagonismo nella propria vita, il coraggio e – in modo forse un po' ingenuo – la distanza netta dal compromesso.


Potete richiederlo a
http://www.ilprato.com/
http://www.centotalleri.eu.org/cusimano.html
http://www.lafeltrinelli.it/libri-scienze-umane-cusimano-andrea/c-1101/1246271/1/

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