La cultura accademica medioevale ha due punti di riferimento: il pensiero classico greco-latino, specialmente nella concezione aristotelica, e l'insegnamento della Chiesa.
Nel XII secolo in Europa iniziarono ad essere conosciute le opere dei pensatori greci. Essi vennero ripresi dagli Arabi e penetrarono attraverso di essi. I letterati dovettero fare i conti verso questo pensiero laico, che minava alcune argomentazioni delle dottrine cristiane. Si tentò, quindi, una conciliazione tra filosofia e teologia. Nacque la Scolastica, che costituì il movimento più importante del pensiero medievale. I primi pensatori come Anselmo, arcivescovo di Canterbury dal 1093 al 1097 e Pietro Abelardo, rettore dell'università di Parigi nel 1115 circa, impostarono le prime problematiche e le prime domande, ma non dettero tutte le soluzioni. Abelardo venne accusato addirittura di eresia per l'insistenza dei suoi quesiti. A conciliare la ragione e la religione fu Tommaso d'Aquino. Egli operò una poderosa sintesi di tutti gli insegnamenti e le conoscenze dell'epoca in un unico sistema, che rimane tuttora una pietra miliare della teologia cattolica romana.
Un altro grande pensatore di quel periodo fu Ruggero Bacone (1214-1294), il quale capì l'importanza dell'esperienza e della osservazione nella produzione di un sapere certo. I suoi studi possono considerarsi precursori del futuro metodo scientifico, anche se non trovarono molti consensi tra i contemporanei. Le attività di molti studiosi nascevano all'interno delle università, molte delle quali nate dalle cattedrali. Le prime università europee furono quella salernitana (X secolo), che operò studi di medicina in maniera laica; quella di Bologna e di Parigi (XII secolo).
Nelle corti, invece, si sviluppava soprattutto la letteratura, incentrata sulla poesia cavalleresca e d'amore.
Nella Francia del sud verso il 1100 abbiamo i trovatori, i primi che misero in versi i loro racconti. Questo movimento si diffuse anche in Germania ed ebbe come suo massimo esponente Walther von her Vogelweide.
I due massimi scrittori del tempo furono Dante Alighieri (1265-1321) e Geoffrey Chaucer (1340-1400 circa). Dante scrisse l'imperitura “Divina Commedia”, sintesi del mondo medievale nel dialetto toscano, che, per la grandissima diffusione dell'opera, si incamminò a divenire la lingua letteraria italiana. Anche Chaucer non scrisse in latino, ma in volgare, ed esattamente nel dialetto delle regioni centrali (Midlands) dell'Inghilterra. Questo volgare nativo venne ingentilito ed aggraziato con il francese parlato dall'aristocrazia normanna. I “Canterbury Tales” sono un quadro della vita quotidiana del suo tempo. Una vita del tutto diversa dalla nostra, in cui mancava la monotonia. I contadini dimenticavano la loro stanchezza nei giorni di mercato e nelle feste religiose, in cui si organizzavano divertimenti come lo spettacolo degli orsi e i combattimenti tra galli. Le piazze divenivano teatri all'aria aperta in cui si rappresentavano spettacoli e rappresentazioni sacre.
Venditori ambulanti, cantastorie, commedianti girovaghi, si spostavano di città in città raccontando storie di strane terre pagane al di là dei mari. Essi entrarono a far parte della cultura e delle leggende popolari europee. Tutto ciò aveva come sua massima influenza la Chiesa.
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