Dalla
pubblicazione del
De
revolutionibus
orbium caelestium
di Copernico (1543) alla comparsa dei Philosophiae
naturalis principia matematica
(1687) intercorrono
soltanto
150 anni. Questo
periodo è segnato da
una totale trasformazione del sapere scientifico, con l’abbattimento
della concezione aristotelica che aveva interessato l’occidente per
circa
2000
anni. Cambia, quindi,
la
visione della fisica, che
non utilizza più le proprie energie per la ricerca di essenze e
sostanze.
Nasce,
pertanto, una nuova metodologia epistemologica che si configura come
scienza sperimentale che assume come oggetto di
studio
i fenomeni e come strumento privilegiato di conoscenza l’esperienza.
Questa
nuova
scienza trova il suo valore nella certezza che l’esperienza offre,
e la sua utilità nell’esser capace di descrivere quel mondo di
fenomeni con il quale gli uomini sono realmente in rapporto. Ciò
significa che allo studioso non
interessa l’essenza o natura del fuoco, bensì il comportamento di
esso
rispetto ad altri fenomeni. In
altri termini, si capisce chiaramente che
è
inutile definire il moto come l’atto dell’ente in potenza in
quanto è in potenza (come
affermavano gli aristotelici,
mentre è utile stabilire le leggi dei corpi in movimento.
Il
nuovo strumento di conoscenza della scienza è l'esperienza, la quale
deve legarsi alla matematica.
L’aristotelismo
rifiutava la possibilità di costruire una fisica matematica perché
si
riteneva che
la matematica avesse
per oggetto di
studio soltanto enti
astratti. La
fisica,
invece,
per
gli aristotelici si
occupa esclusivamente
di
cose reali. Pertanto,
vi
era
una radicale eterogeneità tra l’una e l’altra. Invece per la
nuova scienza del Seicento la matematica costituisce la struttura
stessa della realtà: i corpi si presentano come figure geometriche,
lo spazio come lo spazio geometrico euclideo; il moto dei corpi come
semplice processo di traslazione da un punto all’altro dello spazio
senza nessun cambiamento qualitativo. Così concepiti i corpi e il
movimento sono misurabili e riconducibili entro rapporti
matematico-geometrici. La matematizzazione della realtà esclude lo
studio delle qualità e riduce tutto al misurabile, cioè al
movimento. Inoltre si rompe con la fisica aristotelica e, tutto il
mondo, celeste e terrestre, viene ricondotto alle medesime leggi,
senza più differenza di materia e di fenomeni.
L’opera
di Newton può considerarsi il momento conclusivo della rivoluzione
scientifica del seicento; essa definisce con il massimo rigore
matematico e la più attenta verifica sperimentale quella fisica che
si è soliti chiamare fisica classica. Essa decade in alcuni suoi
capisaldi solo con la teoria della relatività di Einstein
e la teoria dei quanti.
Il
capolavoro di Newton prende il titolo di Principi
matematici della filosofia naturale.
L’opera muove da otto definizioni e da tre assiomi (le famose leggi
del moto) e si sviluppa secondo un metodo matematico-deduttivo che
permette di costruire una fisica matematico-meccanicistico. Nella
prefazione dei Principi Newton precisa il compito che si è prefisso:
la riduzione dei fenomeni della natura a leggi matematiche secondo i
principi della meccanica razionale. Newton pone come oggetto della
sua meccanica le forze naturali: scopo dunque della sua trattazione
sarà “investigare
le forze della natura a partire dai fenomeni del moto e dopo nel
dimostrare i restanti fenomeni a partire da queste forze”.
A
fondamento della grande sintesi di Newton stanno le leggi del moto;
la prima e fondamentale di queste è il principio
di inerzia:
“ogni
corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme
a meno che non sia costretto da forze impresse a mutare quello
stato”.
Il principio di inerzia comporta che i corpi vengano considerati come
corpi geometrici (nella fisica di Newton ai corpi fisici si
sostituisce una massa geometrica puntiforme) collocati in uno spazio
astratto, lo spazio della geometria euclidea. Il principio di inerzia
costituisce quindi il presupposto fondamentale per una completa
geometrizzazione della natura, per costruire una fisica rigorosamente
matematica. Newton accoglie l’atomismo antico, cioè la concezione
corpuscolare della materia, rifiuta l’identificazione cartesiana di
materia e estensione e accoglie il vuoto come spazio assoluto in cui
i corpi si muovono. Contro l’opinione comune che concepisce lo
spazio in rapporto ai corpi sensibili, Newton asserisce l’esistenza
dello spazio assoluto, senza che esso ha relazione con alcunché di
esteso, sempre uguale ed immobile; inoltre concepisce il tempo come
assoluto, vero, matematico, considerato in sé e per sua natura senza
relazione ad alcunché di esterno. Tempo e spazio sono due realtà
autonome rispetto ai corpi, esistono per se stessi. Newton, coerente
al proprio metodo, nel terzo libro dei Principi
fa derivare la forza di gravità dei fenomeni celesti dalle
proposizioni matematiche dimostrate nei primi due libri. Per
cui la forza di gravità è la forza che fa sì che i corpi siano
attratti o respinti o che comunque tendono verso un punto come verso
un centro.
Questa forza è la stessa sia nel caso della caduta dei gravi verso
il centro della terra, sia nel caso del moto dei pianeti intorno al
Sole. Tutti i corpi infatti, una volta in movimento, tendono a
proseguire secondo un moto rettilineo uniforme, per cui l’ellittica
orbitale si spiega con la forza centripeta o gravitazionale che con
tante rette lo tende al centro. La scoperta della forza di gravita
porta Newton a formulare il principio della gravitazione universale:
due
corpi si attraggono con forza direttamente proporzionale alla
quantità di materia (o massa) di ciascuno di essi e inversamente
proporzionale al quadrato della distanza.
La legge di gravitazione universale viene quindi a costituire lo
schema interpretativo di tutto l’universo: si ha l’unificazione
tra spazio celeste e spazio terrestre in uno spazio vuoto e infinito
in cui i corpi si muovono secondo le stesse leggi. Il procedimento di
studio della realtà di Newton è un procedimento analitico, che
riesce a comprendere dai fenomeni i principi generali, passando dalle
cose composte alle semplici, dagli effetti alle cause e dalle cause
particolari alle cause generali fino a pervenire alle cause
generalissime. Questo procedimento analitico deve precedere
il procedimento sintetico che consiste nell’assumere come principi
le cause ritrovate e provate e mediante queste spiegare i fenomeni
che ne derivano provando tali spiegazioni. Tale metodo è riassunto
nell’Ottica
e nelle Regulae
philosophandi,
premessa del terzo libro dei Principi.
Il metodo newtoniano trova applicazione anche negli studi di ottica
che porteranno alla stesura di una Memoriae
e dell’Ottica.
Componendo il raggio di luce con un prisma, Newton dimostra che la
luce consiste di raggi diversamente rifrangibili, per cui dalla
misura dell’angolo di rifrangibilità scopre che ad ogni angolo
corrisponde un colore della luce, e che tale colore della luce
corrisponde sempre al medesimo angolo. La luce quindi non è bianca,
ma nasce dall’unione di colori semplici come rosso, giallo, verde,
blu, violetto insieme ad arancione e una infinità di variazioni
intermedie. Per Newton lo spazio e il tempo assoluti sono effetti
emanativi
di Dio, forme della presenza di Dio nel cosmo. Ma mentre Dio è
eterno e infinito come lo spazio e il tempo assoluti, l’esistenza
delle cose create è circoscritta in un tempo e in uno spazio
determinati. Ma poiché il tempo e lo spazio assoluti sono effetti
emanativi di Dio Newton potrà dire che Dio è sempre e ovunque.
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