Empirismo
inglese
Massimi
esponenti dell’empirismo inglese sono Locke, Berkeley e Hume. Una
linea generale interessa la filosofia di questi filosofi, che
riprende la tradizione filosofica dell'empirismo inglese (Bacone,
Hobbes e la fisica di Newton), per polemizzare contro la metafisica
aristotelica, platonica e cartesiana. Il richiamo all’esperienza,
infatti, diviene anche studio dei problemi propri del mondo umano,
problemi di ordine fisico, morale, politico, religioso.
Inizia
tutto uno studio sulle potenzialità dell’intelletto, sulle sue
capacità e sui suoi limiti. Ciò non al fine di mostrare l’origine
empirica di tutte le nostre conoscenze, bensì per avanzare delle
teorie circa i limiti e i compiti della ragione. Viene dato inizio,
pertanto, ad uno studio sugli strumenti della conoscenza, rifiutando
quanto di aprioristico si presentava nella tradizione razionalistica;
ed uno studio sui compiti della ragione in rapporto non a un’astratta
costruzione di un sistema di conoscenze, bensì in rapporto al mondo
umano in cui l’uomo si trova ad operare.
John
Locke
Nasce
a Wrington nel 1632 e muore a Essex nel 1704. Tra
le sue opere abbiamo del
1667 lo
scritto che prende il titolo di Saggio
sulla
tolleranza;
del 1671 è il Saggio
sull’intelletto
umano;
del
1690 è il grande Saggio.
Dello stesso anno sono
i Due
trattati
sul
governo.
Nel 1693 compaiono invece i Pensieri
sull’educazione;
La
ragionevolezza
del
cristianesimo.
Postuma viene
pubblicata
la Parafrasi
e
note sulle Epistole di San Paolo;
come anche la Guida
dell’intelletto.
L’indagine
di Locke, strettamente connessa alla problematica religiosa e
politica dell’Inghilterra dopo la restaurazione, si propone di
“vagliare
i limiti dell’intelletto umano, di esaminare la nostra stessa
capacità, e vedere quali oggetti siano alla nostra portata, e quali
invece siano superiori alla nostra comprensione”.
Preliminare e
necessario
sarà dunque l’esame critico degli strumenti della conoscenza e del
loro uso. Ponendo l’accento sull’indagine di Locke attorno ai
compiti e limiti della ragione; si è potuto parlare di razionalismo
per definire la sua posizione, piuttosto che di empirismo. La
riflessione sul problema
della ragione viene
affrontato in
due manoscritti (Abbozzi
I e II)
e il Saggio
sull’intelletto umano.
L’indagine
sui limiti dell’attività dell’intelletto umano, e quindi dei
suoi oggetti specifici, ha inizio con la critica della dottrina
dei principi e delle idee innate. Una
critica questa
che smonta un pilastro del sistema filosofico cartesiano. Se i
principi e le idee ( ad esempio il principio di identità, il
principio di non – contraddizione, i principi morali di fedeltà e
di giustizia, le verità matematiche )fossero congeniti o innati,
essi, dice, Locke, dovrebbero manifestarsi universalmente alla
coscienza, cioè dovrebbero essere effettivamente noti a tutti.
L’esperienza
quotidiana, però,
prova
che le
suddette
idee, che si vorrebbero innate, sono ignote ai fanciulli e agli
uomini incolti (popolazioni intere, come le scoperte geografiche
hanno mostrato, sono prive di idee morali e religiose). Contro
l’innatismo
Locke oppone come fonte delle nostre idee l’esperienza. Quest'ultima si lega alla
sensazione in rapporto alle cose esterne, da
cui si genera
la riflessione, che percepisce le operazioni interne dell’anima.
Tramite questa duplice attività
(esterna di
percezione
ed
interna di
riflessione)
noi abbiamo delle idee
semplici,
perfettamente chiare e distinte: “per
esempio, quelle di bianco, nero, caldo, freddo, morbidezza, lunghezza
o estensione, unità, tutti i colori, i particolari gusti e odori).
Le idee
semplici
sono chiare e distinte perchè
si impongono necessariamente al soggetto senziente (necessariamente
perché
la sensibilità opera
in maniera passiva, e cioè non decide di percepire, ma l'oggetto le
si pone necessariamente).
La
passività della sensazione non garantisce però una piena
rispondenza delle idee alla realtà delle cose. Ed
infatti, dobbiamo operare una distinzione tra
idee
di qualità primarie
(estensione,
solidità, figura, e mobilità) che sono totalmente rispondenti agli
oggetti, ed
idee di qualità secondarie
(colore, sapore, odore) che sono semplicemente modificazioni
dell’oggetto senziente, ma che non trovano reale rispondenza nelle
cose del reale.
Mediante
operazioni tra le idee
semplici
si generano
le
idee complesse,
e da
queste, mediante
ulteriori separazioni, le idee
astratte.
Conseguentemente
tutte le idee hanno un’origine empirica. Possiamo,
pertanto, affermare che
senza
l’esperienza l’intelletto sarebbe una tabula rasa.
Le
idee complesse si
distinguono in idee di
modi,
di
sostanze,
di
relazioni.
Tra le idee
di modi
( cioè quelle idee che non esistono di per sé ma in funzione di
altre) vi è l’idea di spazio e di tempo. La prima deriva dalle
idee semplici di tatto e di vista; la seconda dall’esperienza
interiore di un flusso continuo di idee che si succedono l’una
all’altra: questa esperienza di durata noi la proiettiamo anche
sulla realtà. Particolare importanza riveste l’idea
di sostanza,
essa in Locke non è più oggetto della metafisica o fondamento
ultimo della realtà, ma è un’idea formata mediante l’unificazione
di idee semplici diverse che si presentano nell’esperienza sempre
insieme, e che quindi ci faranno supporre, ma non conoscere,
l’esistenza di un sostrato o sostegno che costituisce il fondamento
di quelle qualità o attività che provocano le nostre idee semplici.
Quindi, con materia noi intendiamo tutte quelle cose che hanno
solidità ed estensione, con spirito il senso interno, come la
capacità di percepire, scegliere, agire. Ma non potremmo comunque
mai conoscere la materia, cioè la contemplazione di essa non ci fa
capire se anche i corpi hanno la capacità di pensare o meno. Le idee
di relazione,
cioè di causa – effetto, nasce in noi perché siamo portati a
considerare tale successione in termini di rapporto di causa ed
effetto. Inoltre nell’idea di causa sta l’idea di potenza che si
ricava solo dalla nostra esperienza interiore.
L’esperienza però non ci dice nulla della necessità di tali
rapporti, e si limita ad indicare i rapporti probabili. Infine vi
sono anche le
idee generali o astratte,
che nascono mediante un processo di generalizzazione delle idee
particolari, per cui noi togliamo ogni riferimento di tempo e
spazio. Pertanto,
per esempio, conoscendo molti uomini noi ci formiamo l’idea
astratta di uomo.
L’universale
è
un concetto che non ha esistenza reale, perché
“sono
invenzioni e creazioni dell’intelletto, fatte da esso e per il suo
uso”.
Alle idee generali o astratte corrispondono i nomi o le parole
generali. Detto
ciò, è chiaro che solo la sensazione ci prova l'esistenza della
realtà. La realtà, però, viene conosciuta sempre nell'ambito delle
idee. Gli unici oggetti della mente, infatti, sono le proprie idee.
Pertanto, la
nostra conoscenza non è altro che “la
percezione del legame o concordanza, o della discordanza o contrasto
tra le idee”.
La nostra conoscenza rimane quindi tutta l’imitata all’ambito
delle idee.
Nel
IV
libro del
Saggio,
Locke afferma che la nostra conoscenza è costruita sulla intuizione
e sulla dimostrazione.
L’intuizione riconosce in maniera chiara e immediata l’accordo o
disaccordo di due idee; la dimostrazione invece, attraverso la
mediazione di altre idee intermedia ottiene con certezza l’accordo
o disaccordo tra due idee. Nel
terzo
libro III del
Saggio,
Locke
passa
alla trattazione della semiotica.
La semiotica
studia
i segni con cui l’uomo si rappresenta la realtà (tali segni sono
le idee) e
i segni (le parole) con cui comunica le proprie idee.
Il linguaggio è un sistema di segni. Il segno linguistico, però,
non si riferisce direttamente alla cosa significata, bensì all’idea,
la quale è a sua volta segno della cosa. La corrispondenza tra segno
linguistico e idea non è necessaria, ma arbitraria, in quanto l’uomo
in maniera arbitraria sceglie
un suono particolare (parola) come segno di un’idea. Il linguaggio,
per necessità di comunicazione, non potendo usare una parola per
ogni singola cosa, usa termini o parole generali, frutto del processo
astrattivo che fa sì che con una sola parola si indichi un gran
numero di oggetti simili.
Locke
vede nella ragione una guida sicura per la risoluzione dei problemi
religiosi e politici. Si tratta, infatti,
di sottoporre al vaglio di una sensata ragione le norme etiche e
religiose, e, quindi, di chiarire l’origine e il senso di una serie
di idee complesse dettate dal legislatore e da costume. Inoltre,
Locke cerca di potere costruire una religione
razionale
fondata sulla possibilità di giungere, a prescindere dalla
Rivelazione e con il solo aiuto della ragione, alla dimostrazione di
verità quali l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.
Accanto alla religione razionale Locke riconosce uno spazio
privilegiato alla Rivelazione cristiana, che egli, contro ogni
costruzione dogmatica, riassume in
un solo postulato, cioè
Gesù è il messia, l’inviato di Dio promesso nell’Antico
Testamento. Questo
è il nucleo centrale della fede salvifica, che si lega e si completa
nel pentimento e nelle opere della fede di una vita dedicata al bene.
Questo
è il nucleo essenziale della religione cristiana, e costituisce
quello che Locke chiama la
ragionevolezza
del cristianesimo.
Non
si ha, pertanto, conflitto o opposizione tra il Cristianesimo e la
ragione. Non lo si ha se il Cristianesimo viene depurato
da tutte le dottrine dogmatiche. Anzi,
la ragione, la
lampada di Dio
nell’uomo, è un mezzo per cercare di intendere le Sacre Scritture.
La Rivelazione rimane, quindi,
sempre in accordo con la ragione e
la aiuta
nei suoi più ardui problemi. In
Locke rimane sempre fondamentale il
concetto di tolleranza,
che
si collega
con il primato della ragione in tutto il mondo umano. Ciò
significa che
la fede, essendo
oggetto
di libera scelta,
riguarda soltanto la sfera personale ed individuale.
Conseguentemente, non
può essere imposta a nessuno. La tolleranza è un dovere religioso
imposto dallo stesso Vangelo. Lo stato, associazione di uomini, è
costituito solo in vista del mantenimento e progresso dei loro
interessi civili; la chiesa è una libera associazioni di uomini che
si riunisce al fine di onorare il proprio Dio nella forma che pensano
più congeniale. Stato e Chiesa hanno due funzioni totalmente diverse
e non devono interferirsi, anzi, lo stato deve essere laico e deve
intervenire
solo nel caso in cui il credo porta malessere all’interno dello
stato. La Chiesa, da parte sua, non
può pretendere che un uomo che sia stato espulso per problemi
religiosi possa essere perseguitato dallo stato.
La ragione, guida principale nell’approccio ai problemi religiosi,
è uno strumento valido per la dimostrazione dell’esistenza di Dio
e dell’immortalità dell’anima, nonché della tolleranza
religiosa e della separazione di Chiesa e Stato. Tutti questi
aspetti
sono
gli elementi fondamentali
del deismo di Locke.
La
teoria politica di Locke viene spiegata nei suoi Due
trattati sul governo,
e soprattutto
nel secondo. Alla base della sua dottrina politica si ha la
distinzione tra diritto
di natura
e contratto
sociale.
Il diritto
di natura
obbliga tutti e si fonda sulla ragione, la quale insegna a tutti gli
uomini che essi sono dotati degli stessi diritti, e che, quindi,
nessuno deve danneggiare l’altro nella libertà, nella vita e
nella proprietà. Per meglio garantire i diritti di ciascuno e
promuovere il comune benessere si
regolarizza
un contratto sociale. Quindi, fine dello stato è la difesa dei
diritti naturali degli uomini dagli inconvenienti dello stato
di natura.
Ogni cittadino ha diritto alla libertà e alla proprietà; e la
comunità politica, che si esprime nel potere legislativo, deve
tutelare tali diritti. Uno stato democratico che trova la sua fonte
di potere nel popolo e nella maggioranza in cui si esprime. Il potere
supremo è il legislativo,
quindi si ha l’esecutivo
e infine il federativo
(il potere di fare guerre, pace, alleanze, e politica estera). Se il
potere supremo è il legislativo, l’esecutivo ne dipende e anche il
federativo. Ora se l’esecutivo (il sovrano) soverchia il
legislativo il contratto sociale può essere sciolto.
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