giovedì 28 giugno 2012

L'illuminismo italiano


Il panorama culturale italiano di inizio settecento si viene a configurare come più arretrato rispetto a quello francese ed inglese. Causa di ciò furono gli effetti della controriforma.
Lo stesso Vico fu polemico verso tutti i filosofi del seicento.
Per queste ragioni diviene notevole il pensiero di Pietro Giannone, di poco più giovane di Vico (1676 – 1748), il quale si professa seguace di Gassendi, Cartesio e Locke, tutti filosofi considerati empi dagli ambienti culturali benpensanti italiani. Pietro Giannone, però, non fu filosofo, ma storico e la sua opera dal titolo Istoria civile nel reame di Napoli assume importanza perché si scaglia contro l'ingerenza della Chiesa sullo stato. 


Un altro intellettuale vicino agli ambienti culturali europei è Ludovico Antonio Muratori (1672 - 1750). Questi è più cauto di Giannone e assume importanza non nell'ambito filosofico, bensì in quello culturale e letterario.
Un vero e proprio illuminismo in Italia nasce nella metà del settecento, soprattutto grazie agli studi giuridici ed economici che si svilupparono a Napoli.



Fondatore dell'illuminismo italiano è l'abate Antonio Genovesi (1713 – 1769), fondatore della prima cattedra europea di economia politica. Genovesi fonda il proprio metodo seguendo la speculazione, l'indirizzo e l'insegnamento di Bacone e Galileo. Insegnamento che, però, radicalizza in un empirismo radicale, seguendo l'influsso di Locke. Per Genovesi è ridicolo, infatti, ricercare l'essenza delle cose. Bisogna, semmai, studiare i fenomeni. Il principio empiristico, però, non deve essere esteso all'ambito religioso e non deve fare nascere tutti quegli atteggiamenti antireligiosi maturati all'interno dell'illuminismo francese.
Seguace del suo insegnamento è l'economista napoletano Ferdinando Galiani (1728 – 1787), che costruisce e fonda la sua dottrina del liberalismo economico su di un metodo empiristico.






Il primo pensatore italiano che si richiama esclusivamente agli ambienti illuministici francesi è il giurista napoletano Gaetano Filangieri (1752 – 1788), il quale scrive una Scienza della legislazione che riprende il pensiero di Montesquieu. Mentre, però, per quest'ultimo le diverse costituzioni nascono esclusivamente dall'ambiente storico dei singoli popoli; per Filangieri derivano per metà dalle condizioni storiche, e per l'altra metà dai principi della ragione. Sono, infatti, i principi della ragione che dettano all'uomo l'ideale di perfezione.
L'illuminismo milanese è molto più legato all'illuminismo francese. Ciò appare chiaro già in Cesare Beccaria (1738 – 1794), autore di un'opera di vastissima diffusione dal titolo Dei delitti e delle pene (1764). Beccaria ha come suoi maestri pensatori quali Montesquieu, Helvetius e Rousseau. Da questi scaturisce la concezione che le leggi dello stato non devono essere eterne, e devono seguire le varie esigenze del momento e dei diversi periodi storici. In altre parole, le leggi di uno stato devono evolversi con l'evolversi della storia. Alla base della legislazione si deve, però, avere il fine di raggiungere la massima felicità per il maggior numero possibile di persone. Tale principio riprende la teoria di Rousseau affermante la dottrina del del contratto sociale stipulato tacitamente. In tale contesto diviene conseguente la celebre tesi di Beccaria dell'abolizione della pena di morte. Ed infatti, sia la pena di morte che la tortura divengono violazione dei diritti dei cittadini, perché non hanno alcuna utilità sociale che li possa giustificare. Compito del diritto penale è, infatti, quello di prevenire i delitti, e non di vendicarli.
Notevole è l'operato di altri due intellettuali, i fratelli Alessandro Verri (1741 – 1816) e Pietro Verri (1726 – 1797).
Il primo assume merito in ambito letterario, perché sostiene che la lingua deve essere funzionale, e non un valore autonomo con l'esclusivo compito di essere fruito esteticamente, come volevano i puristi.
Il secondo, invece, fu un importante economista e un filosofo di un certo rilievo con il Discorso sull'indole del piacere e del dolore, del 1773. In questo testo riprende le teorie di Rousseau ed afferma che nello stato di natura si ha il prevalere fisiologico del piacere sul dolore. Invece, nel mondo dominato dalla cultura, il dolore e l'ansietà assumono un peso sempre più maggiore. Un peso, però, che spinge l'uomo ad agire.
Detto ciò, appare chiaro che l'illuminismo milanese è molto più avanti di quello napoletano, anche perché le due realtà storiche sono totalmente diverse. Nonostante ciò, però, l'illuminismo italiano in genere si presenta come meno profondo e geniale di quello francese, anche se modernizza la cultura italiana, rimettendola sulla linea di quella europea.

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