martedì 5 giugno 2012

Baruch Spinoza


Nasce ad Amsterdam il 24 Novembre del 1632. Di famiglia ebrea, studia il latino e, insofferente al dogmatismo religioso ebraico, viene espulso dalla comunità nel 1656. In risposta all’espulsione scrive un’Apologia, oggi perduta. Tra le sue opere abbiamo Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità, Tractatus de intellectus emendatione, Renati Des Cartes principiorum philosophiae Pars I e II more geometrico demonstratae, Cogitata Methaphisica, Etica ordine geometrico demonstrata, Tractatus theologicus-politicus, Tractatus politicus (incompiuto).
Il pensiero di Spinoza si volge alla risoluzione della dualità delle sostanze di Cartesio. Nello specifico si vuole chiarire il rapporto che intercorre tra il pensiero e l'estensione, ossia tra lo spirito e la materia.
L'etica viene costruita mediante una metodologia ben precisa, che riprende il metodo geometrico euclideo. Pertanto, si procede per definizioni ed assiomi, e da essi si sviluppa tutto un discorso secondo dimostrazioni, corollari e scoli.
Il sistema spinoziano nel suo ordine geometrico muove dal concetto di sostanza e di causa. Sostanza è “ciò che è in sé e viene concepito per sé, vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale essa debba essere formato (ciò che è in sé non dipende da altro). Tale sostanza è realtà oggettiva, che non ha bisogno d’altro per esistere, è una sostanza per sé e causa di sé (causa sui) ed esiste necessariamente, cioè la sua essenza ne implica l’esistenza. È unica, perché più sostanze significherebbe che l’una dipenderebbe dall’altra. È infinita, unica e indivisibile. Tale sostanza, causa sui è Dio, e in uno stesso atto causa se stesso e causa le cose per necessità (tale necessità è come quella per cui dalla natura del triangolo segue che la somma dei tre angoli è uguale a due angoli retti). Nell’identico atto di causare sé e causare le cose si svolge la sua causalità immanente e quindi si annulla la distinzione tra causa ed effetto; questi infatti sono nel medesimo atto. Tutto è quindi all’interno e non può esservi un esterno. Pertanto, decade la concezione di un Dio personale cristiano ed ebreo che crea per libera volontà. Dio è sostanza impersonale che crea per necessità. Una, per Spinoza, la sostanza, costituita da una infinità di attributi. Gli attributi non derivano però dalla sostanza, ma sono la sostanza, sono la sua reale espressione. Gli attributi sono infiniti, eterni e ciascuno perfetto nel suo genere, ma non sono assolutamente infiniti in quanto espressione della sostanza. Noi conosciamo solo due attributi della sostanza: il pensiero e l’estensione. Spinoza supera, quindi, il dualismo cartesiano: pensiero ed estensione non sono due sostanze distinte, autonome e incommensurabili, ma l’espressione di una identica sostanza, il suo manifestarsi a noi. Ciascun attributo si esprime nei modi, considerati affezioni della sostanza, che costituiscono l’insieme delle cose determinate e finite: ovvero le cose singole. I modi non possono concepirsi senza la sostanza, per cui possiamo dire che pur esistendo, possono concepirsi come non esistenti. Ai modi appartiene la durata, in quanto la loro esistenza non è necessaria ma si pone nel tempo, alla sostanza appartiene l’eternità in quanto la sua essenza implica l’esistenza. Spinoza distingue i modi infiniti dai modi finiti. I modi infiniti procedono immediatamente da un attributo di Dio e sono sempre infiniti; per cui dall’attributo pensiero si ha l’intelletto infinito, in cui rientrano tutti gli intelletti finiti (modi finiti); e, ancora, dall’attributo estensione si ha l’estensione, il moto e la quiete. In questi modi infiniti rientrano i modi finiti delle modificazioni particolari. Ora essendo Dio – o la Sostanza – unica causa di tutti i modi, è garantita la perfetta corrispondenza tra l’ordine del pensiero e l’ordine della estensione. Tutto è dunque in Dio, unica infinita sostanza. Dio, unica sostanza, è la causa immanente di tutta la realtà che procede necessariamente da lui come le proprietà di una figura geometrica derivano dalla sua definizione. Dalla natura di Dio procede dunque l’essenza e l’esistenza di tutte le cose e ogni loro attività; nulla è contingente, “tutto è determinato dalla necessità della natura divina ad esistere e ad operare in una certa maniera”. Si definisce così chiaramente il rapporto tra natura naturata e natura naturante: la prima è Dio, la sostanza, ciò che è in sé e per sé e i suoi attributi; la seconda è invece tutto ciò che segue dalla necessità della natura di Dio o degli attributi, ovvero i modi che senza la sostanza non possono né essere, né essere concepiti. Solo l’immaginazione frantuma l’unità della natura, dandoci una conoscenza inadeguata. L’intelletto ci fa però comprendere che la realtà molteplice deriva dalla sostanza. Nella sostanza la necessità si identifica con la libertà, in quanto Dio crea incondizionato, come causa sui. Non vi può pertanto essere una finalità nella creazione, poiché dire che Dio operi secondo un fine, significherebbe ammettere che Dio tende verso qualcosa di cui è privo (e quindi sarebbe imperfetto). Tutto il complesso della natura naturata procede necessariamente da Dio secondo l’immanente causalità divina. Quindi, tutti gli individui sono intrinsecamente necessitati e rientrano nell’ordine eterno della realtà. L’uomo si crede libero per ignoranza, perché non comprende che tutto è determinato, e da tale ignoranza deriva la concezione del libero arbitrio. L’uomo deve quindi staccarsi, nel suo processo conoscitivo, da una visione empirica del reale per giungere a una superiore visione intuitiva che coglie in Dio l’essenza delle cose. Quando ciò è fatto perde valore anche la consueta distinzione tra bene e male, in quanto tale distinzione nasce da un rapportare, in maniera frammentario, una cosa ad un’altra. Inoltre la visione intuitiva permette di liberarsi dalle passioni, alla quale la mente è soggetta finchè non ne ha un’idea chiara e distinta. Si definisce così una scalarità nelle forme di conoscenza: prima l’immaginazione: conoscenza inadeguata, ove la realtà viene vista nella sua frammentarietà; poi la ragione: conoscenza che coglie i nessi causali fra le cose e la necessità che regge i rapporti nel tutto; infine la conoscenza intuitiva: che coglie il tutto nella sua unità. E con questa conoscenza che l’uomo giunge alla piena libertà, in quanto egli viene a conoscere la necessaria connessione del tutto e in essa si inserisce. Si giunge in tal modo all’amore intellettuale di Dio che si risolve nell’identificazione della propria mente con Dio, divenendo in tal modo amore stesso di Dio. In questa ascesa all’unità la nostra mente coincide con Dio e in ciò si realizza l’eternità dell’individuo. L’amore intellettuale di Dio costituisce il vertice dell’etica spinoziana: esso è il termine di un’assidua opera di liberazione dalle passioni. L’etica di Spinoza vuole avere la stessa necessità di un trattato di geometria (more geometrico). Spinoza constata che ognuno vuole perseverare nel suo essere: tale sforzo si dice volontà quando è riferito solo alla mente, appetito quando è riferito alla mente e al corpo. L’appetito è dunque dell’uomo, che cerca sempre il proprio utile, così il bene e il male ( che sono solo modi di pensare poiché tutto è necessitato da Dio) sono solo in rapporto a ciò che può esserci utile e nocivo. Liberarsi dall’immaginazione significa dunque liberarsi dalle passioni, e vivere sotto la guisa della ragione: essi usciranno dallo stato di competizione per dedicarsi alla conoscenza. Vivere in tale modo significa anche liberarsi dalla paura della morte poiché l’uomo si trova totalmente teso alla realizzazione del proprio essere, quindi la sapienza diviene meditazione della vita, meditatio vitae. Il diritto di natura si risolve sia nelle passioni che nella ragione, in quanto entrambi sono necessitati dalla sostanza. Il patto sociale per Spinoza nasce per regolare ogni cosa secondo il dettame della sola ragione. Quindi nell’etica individuale e nell’etica politica l’ascesa dell’uomo è sempre nella liberazione dalle passioni e nel riconoscimento del primato della ragione. Solo all’interno dello stato si ha la distinzione tra buono e cattivo, giusto e peccato, ma tali distinzioni perdono di significato nello stato di natura. Nello stato si realizza pertanto la razionalità e si afferma la libertà dell’uomo. La libertà quindi per Spinoza significa liberarsi dall’immaginazione e raggiungere una conoscenza intuitiva che diventi amore intellettuale di Dio. Lo stato quindi non può limitare la libertà di pensare, in quanto ciascuno è signore del proprio pensiero, inoltre lo stato non può nemmeno obbligare il credo in una religione, se non solo nel culto e nella ritualità esteriore. Lo stato può e deve intervenire solo se le azioni del singolo portano ad un attentato alla pace dello stato. Tutto ciò viene chiarito nel Trattato teologico-politico, ove viene fatta anche un esame storico-critico della Bibbia che lo farà indicare dai suoi contemporanei come un ateo. Spinoza afferma che l’insegnamento vero della Bibbia è vivere secondo ragione, e secondo carità e giustizia. La Bibbia infatti insegna che vi è un solo Ente supremo che ama la giustizia e la carità, a cui tutti per essere salvi, debbono ubbidire. Non può esservi contrasto tra fede o teologia e filosofia, in quanto anche la filosofia tende alla verità e al suo raggiungimento, unica differenza con la religione è che quest’ultima, fatta per il popolo, usa un linguaggio più semplice.

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