Nasce
ad Amsterdam il 24 Novembre del 1632. Di famiglia ebrea, studia il
latino e, insofferente al dogmatismo religioso ebraico, viene espulso
dalla comunità nel 1656. In risposta all’espulsione scrive
un’Apologia,
oggi perduta. Tra
le sue opere abbiamo
Breve
trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità,
Tractatus
de intellectus emendatione,
Renati
Des Cartes principiorum philosophiae Pars I e II more geometrico
demonstratae,
Cogitata
Methaphisica, Etica ordine geometrico demonstrata, Tractatus
theologicus-politicus, Tractatus politicus
(incompiuto).
Il
pensiero di Spinoza si volge alla risoluzione della dualità delle
sostanze di Cartesio. Nello specifico si vuole chiarire il rapporto
che intercorre tra il pensiero e l'estensione, ossia tra lo spirito e
la materia.
L'etica
viene costruita mediante una metodologia ben precisa, che riprende il
metodo geometrico euclideo. Pertanto, si procede per definizioni ed
assiomi, e da essi si sviluppa tutto un discorso secondo
dimostrazioni, corollari e scoli.
Il
sistema spinoziano nel suo ordine geometrico muove dal concetto di
sostanza e di causa. Sostanza è “ciò
che è in sé e viene concepito per sé, vale a dire ciò il cui
concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale
essa debba essere formato”
(ciò che è in sé non dipende da altro). Tale sostanza è realtà
oggettiva, che non ha bisogno d’altro per esistere, è una sostanza
per sé e causa di sé (causa
sui)
ed esiste necessariamente, cioè la sua essenza ne implica
l’esistenza. È unica, perché più sostanze significherebbe che
l’una dipenderebbe dall’altra. È infinita, unica e indivisibile.
Tale sostanza, causa sui è Dio, e in uno stesso atto causa se stesso
e causa le cose per necessità (tale necessità è come quella per
cui dalla natura del triangolo segue che la somma dei tre angoli è
uguale a due angoli retti). Nell’identico atto di causare sé e
causare le cose si svolge la sua causalità immanente e quindi si
annulla la distinzione tra causa ed effetto; questi infatti sono nel
medesimo atto. Tutto è quindi all’interno e non può esservi un
esterno. Pertanto, decade la concezione di un Dio personale cristiano
ed ebreo che crea per libera volontà. Dio è sostanza impersonale
che crea per necessità. Una, per Spinoza, la sostanza, costituita da
una infinità di attributi. Gli attributi non derivano però dalla
sostanza, ma sono la sostanza, sono la sua reale espressione. Gli
attributi sono infiniti, eterni e ciascuno perfetto nel suo genere,
ma non sono assolutamente infiniti in quanto espressione della
sostanza. Noi conosciamo solo due
attributi
della sostanza: il pensiero
e l’estensione.
Spinoza
supera, quindi,
il dualismo cartesiano: pensiero ed estensione non sono due sostanze
distinte, autonome e incommensurabili, ma l’espressione di una
identica sostanza, il suo manifestarsi a noi. Ciascun
attributo si esprime nei modi,
considerati affezioni della sostanza, che costituiscono l’insieme
delle cose determinate e finite: ovvero le cose singole. I modi non
possono concepirsi senza la sostanza, per cui possiamo dire che pur
esistendo, possono concepirsi come non esistenti. Ai modi appartiene
la durata, in quanto la loro esistenza non è necessaria ma si pone
nel tempo, alla sostanza appartiene l’eternità in quanto la sua
essenza implica l’esistenza. Spinoza distingue i modi
infiniti
dai modi
finiti.
I modi infiniti procedono immediatamente da un attributo di Dio e
sono sempre infiniti; per cui dall’attributo pensiero si ha
l’intelletto infinito, in cui rientrano tutti gli intelletti finiti
(modi finiti); e, ancora, dall’attributo estensione si ha
l’estensione, il moto e la quiete. In questi modi infiniti
rientrano i modi finiti delle modificazioni particolari. Ora essendo
Dio – o la Sostanza
– unica causa di tutti i modi, è garantita la perfetta
corrispondenza tra l’ordine del pensiero e l’ordine della
estensione. Tutto
è dunque in Dio, unica infinita sostanza.
Dio, unica sostanza, è la causa immanente di tutta la realtà che
procede necessariamente da lui come le proprietà di una figura
geometrica derivano dalla sua definizione. Dalla natura di Dio
procede dunque l’essenza e l’esistenza di tutte le cose e ogni
loro attività; nulla è contingente, “tutto
è determinato dalla necessità della natura divina ad esistere e ad
operare in una certa maniera”.
Si definisce così chiaramente il rapporto tra natura
naturata
e natura
naturante:
la prima è Dio, la sostanza, ciò che è in sé e per sé e i suoi
attributi; la seconda è invece tutto ciò che segue dalla necessità
della natura di Dio o degli attributi, ovvero i modi che senza la
sostanza non possono né essere, né essere concepiti. Solo
l’immaginazione
frantuma l’unità della natura, dandoci una conoscenza inadeguata.
L’intelletto
ci fa però comprendere che la realtà molteplice deriva dalla
sostanza. Nella
sostanza la necessità si identifica con la libertà, in quanto Dio
crea incondizionato, come causa sui.
Non
vi può pertanto essere una finalità nella creazione, poiché dire
che Dio operi secondo un fine, significherebbe ammettere che Dio
tende verso qualcosa di cui è privo (e quindi sarebbe imperfetto).
Tutto il complesso della natura naturata procede necessariamente da
Dio secondo l’immanente causalità divina. Quindi, tutti gli
individui sono intrinsecamente necessitati e rientrano nell’ordine
eterno della realtà. L’uomo si crede libero per ignoranza, perché
non comprende che tutto è determinato, e da tale ignoranza deriva la
concezione del libero arbitrio. L’uomo deve quindi staccarsi, nel
suo processo conoscitivo, da una visione empirica del reale per
giungere a una superiore visione intuitiva che coglie in Dio
l’essenza delle cose. Quando ciò è fatto perde valore anche la
consueta distinzione tra bene e male, in quanto tale distinzione
nasce da un rapportare, in maniera frammentario, una cosa ad
un’altra. Inoltre la visione intuitiva permette di liberarsi dalle
passioni, alla quale la mente è soggetta finchè non ne ha un’idea
chiara e distinta. Si definisce così una scalarità nelle forme di
conoscenza: prima l’immaginazione: conoscenza inadeguata, ove la
realtà viene vista nella sua frammentarietà; poi la ragione:
conoscenza che coglie i nessi causali fra le cose e la necessità che
regge i rapporti nel tutto; infine la conoscenza intuitiva: che
coglie il tutto nella sua unità. E con questa conoscenza che l’uomo
giunge alla piena libertà, in quanto egli viene a conoscere la
necessaria connessione del tutto e in essa si inserisce. Si giunge in
tal modo all’amore
intellettuale di Dio
che si risolve nell’identificazione della propria mente con Dio,
divenendo in tal modo amore stesso di Dio. In questa ascesa all’unità
la nostra mente coincide con Dio e in ciò si realizza l’eternità
dell’individuo. L’amore intellettuale di Dio costituisce il
vertice dell’etica spinoziana: esso è il termine di un’assidua
opera di liberazione dalle passioni. L’etica di Spinoza vuole avere
la stessa necessità di un trattato di geometria (more geometrico).
Spinoza constata che ognuno vuole perseverare nel suo essere: tale
sforzo si dice volontà quando è riferito solo alla mente, appetito
quando è riferito alla mente e al corpo. L’appetito è dunque
dell’uomo, che cerca sempre il proprio utile, così il bene e il
male ( che sono solo modi di pensare poiché tutto è necessitato da
Dio) sono solo in rapporto a ciò che può esserci utile e nocivo.
Liberarsi dall’immaginazione significa dunque liberarsi dalle
passioni, e vivere sotto la guisa della ragione: essi usciranno dallo
stato di competizione per dedicarsi alla conoscenza. Vivere in tale
modo significa anche liberarsi dalla paura della morte poiché l’uomo
si trova totalmente teso alla realizzazione del proprio essere,
quindi la sapienza diviene meditazione della vita, meditatio
vitae.
Il diritto di natura si risolve sia nelle passioni che nella ragione,
in quanto entrambi sono necessitati dalla sostanza. Il patto sociale
per Spinoza nasce per regolare ogni cosa secondo il dettame della
sola ragione. Quindi nell’etica individuale e nell’etica politica
l’ascesa dell’uomo è sempre nella liberazione dalle passioni e
nel riconoscimento del primato della ragione. Solo all’interno
dello stato si ha la distinzione tra buono e cattivo, giusto e
peccato, ma tali distinzioni perdono di significato nello stato di
natura. Nello stato si realizza pertanto la razionalità e si afferma
la libertà dell’uomo. La libertà quindi per Spinoza significa
liberarsi dall’immaginazione e raggiungere una conoscenza intuitiva
che diventi amore intellettuale di Dio. Lo stato quindi non può
limitare la libertà di pensare, in quanto ciascuno è signore del
proprio pensiero, inoltre lo stato non può nemmeno obbligare il
credo in una religione, se non solo nel culto e nella ritualità
esteriore. Lo stato può e deve intervenire solo se le azioni del
singolo portano ad un attentato alla pace dello stato. Tutto ciò
viene chiarito nel Trattato
teologico-politico,
ove viene fatta anche un esame storico-critico della Bibbia che lo
farà indicare dai suoi contemporanei come un ateo. Spinoza afferma
che l’insegnamento vero della Bibbia è vivere secondo ragione, e
secondo carità e giustizia. La Bibbia infatti insegna che vi è un
solo Ente supremo che ama la giustizia e la carità, a cui tutti per
essere salvi, debbono ubbidire. Non può esservi contrasto tra fede o
teologia e filosofia, in quanto anche la filosofia tende alla verità
e al suo raggiungimento, unica differenza con la religione è che
quest’ultima, fatta per il popolo, usa un linguaggio più semplice.
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