Appena
un
anno dopo La
ragionevolezza del cristianesimo
di Locke viene
pubblicato
Il cristianesimo senza misteri
(1696) di John
Toland
(1670 – 1722). In
questo testo vengono svalutati tutti i residui soprannaturali
della fede cristiana e, conseguentemente,
la religione,
interpretata alla stessa maniera di tutti gli altri fenomeni
naturali, diviene essa
stessa oggetto
di indagine razionale. Per
Toland il Vangelo non ha nulla di misterioso. Ed infatti, così come
avviene per gli studi scientifici sul mondo fisico, dove vi sono
aspetti che ancora non sono conosciuti, alla stessa maniera nel
Vangelo vi sono elementi che ancora non sono stati spiegati e che,
erroneamente, vengono interpretati in maniera miracolosa.
Nessuna
cosa
è, però, nel Vangelo contro ragione e tutto mediante essa è
intelligibile. Per
Toland i dogmi sono uno strumento della
Chiesa
per tenere sotto controllo (potremmo dire in pugno) il popolo.
Infine, il nostro filosofo
entra in polemica sia
con
il principio di inerzia della materia che
con la
distinzione
cartesiana di estensione e pensiero. Egli, infatti, nel suo
Pntheisticon
ritiene
che la materia è per
sua natura sempre
in moto, grazie ad un principio attivo intrinseco in essa. Una
posizione materialistico–panteistica.
Nella
medesima linea si muove
Anthony
Collins
(1676-1729), autore
di un
Saggio
sull’uso della ragione.
In
esso afferma la teoria che non vi è nulla di misterioso o
soprannaturale nel Vangelo, ma semmai di irrazionale. Per
Collins, però, non si possono condurre studi di alcun genere su ciò
che è irrazionale, anche perché non ci si può pronunciare su di
esso. Affermare ciò significa per Collins postulare l'autonomia
della morale dai precetti religiosi e dalla superstizione. Ed
infatti, per il nostro filosofo, il
Vangelo insegna ad utilizzare la ragione, unico strumento che ci
possa fare capire ciò che Dio vuole da noi.
Matthew
Tindal
(1656-1733) col suo Cristianesimo
antico
quanto
la
creazione
offre la cosiddetta bibbia
del deismo.
Egli,
infatti, ritiene che tutte quante le religioni non sono altro che
espressioni parziali e storiche della religione naturale. Alla
religione naturale appartiene anche il Vangelo, il quale nel suo
nucleo centrale esprime la legge di ragione. In tal senso si può
dire che il Cristianesimo sia antico quanto la creazione.
Conseguentemente, per Tindal l'organo più autentico della
rivelazione è la ragione.
Samuel
Clarke,
(1675-1729), seguace di Newton e autore della
Dimostrazione
dell’esistenza
e
degli attributi di Dio, entra
in polemica contro i deisti e difende le verità cristiane. La difesa
che compie, condotta
sottolineando in maniera dettagliata gli aspetti razionali del
messaggio cristiano, sembra,
però, paradossalmente avvicinarlo ai deisti.
Fuori
dal coro si eleva la voce di Anthony
Shaftesbury
(1671 – 1713), autore di varie opere:Lettera
sull’entusiasmo,
I
moralisti,
Caratteristiche
di uomini, costumi, opinioni, tempi. Shaftesbury si
contraddistingue perché ritorna ad una concezione platonica del
mondo e perché si distacca dai toni eccessivamente polemici dei
deisti. Inoltre, si tiene lontano
dalle scuole teologiche e afferma
le proprie concezioni in maniera pacata ed equilibrata, senza mai
cedere al fanatismo e al bigottismo.
Con toni quasi panteistici afferma che
la natura viene retta da
un unico principio attivo (anima
mundi).
Per
cui
tutto è vita e
gioioso espandersi di forze. Nulla muore. Al
centro dell'universo
si ha l’uomo
con la sua capacità di contemplare la bellezza e la bontà
dell’universo. Shaftesbury,
quindi, offre una
visione
platonica
profondamente
ottimistica ed estetica del mondo, in
cui
tutto è bontà e bellezza. Bontà e bellezza che l’uomo coglie
tramite un gusto o senso innato.
Innato e spontaneo è l’istinto
che ci fa vivere in società, come spontaneo e naturale è il senso
interiore
o
senso
comune
che guida l’uomo nella vita morale, che lo spinge a fare il bene e
a godere del bene altrui.
Innato è anche il senso del gusto o senso del bello:
moralità e bellezza sono sempre connesse, il gusto del bene non è
disgiunto dal gusto del bello e del sublime. Gusto del bello e del
sublime che elevano l’uomo alla contemplazione dell’armonia del
tutto, della bellezza del creato, dell’unità del molteplice, della
divinità ovunque presente.
Orientamento
analogo assume la riflessione di Francis
Hutcheson
(1694-1746) autore della Ricerca
sull’origine delle nostre idee di bello e di virtù
e del Saggio
sulla natura e sviluppi delle passioni e dei sentimenti.
Per questo filosofo l’uomo è naturalmente portato ad un
atteggiamento di benevolenza verso gli altri. Atteggiamento
che gli permette di intessere relazioni e di promuovere la comune
felicità: “l’azione
virtuosa infatti non è in relazione ad una astratta tavola di valori
ma si concreta nel realizzare la maggior felicità per il più gran
numero di persone”.
Bernard
Mandeville
si oppone alla
morale irreale e ipocritamente ottimista di questi due autori e
sviluppa un discorso basato su un punto di vista fortemente
realistico. Nel suo Favola
delle api,
e Vizi
privati benefici pubblici,
afferma che il progresso di una società (sviluppo di commercio,
attività produttiva, invenzioni, benessere) è frutto dell’amore
proprio, dell’orgoglio, delle ambizioni, della competitività. Non
si potranno mai eliminare le passioni e i vizi (e neppure gli
squilibri sociali), pena il ritorno a forme di vita elementare,
malinconica, pigra e inerte. Il
ritorno cioè ad uno stato di sciocca
innocenza
e di stupidità
naturale.
Adam
Smith
(1723-1790) scrive la Teoria
dei sentimenti morali.
Qui
polemizza contro una morale che trova fondamento
nell’intellettualismo. Nel
fare ciò, inizia il discorso
da quello che gli sembra un dato certo, e cioè la simpatia.
Simpatia
che per
Smith
è innata
in tutti noi. Mediante
di essa noi siamo
capaci,
oltre a
regolare i rapporti con gli altri, ad
interessarci
della sorte altrui e a
cercare di
rendergli la necessaria felicità. I nostri giudizi morali dipendono
da questa simpatia innata. La
coscienza,
invece,
valuta la
natura delle
nostre azioni e
si chiede sul
come possano
apparire agli altri. Da ciò nasce un raffronto appropriato tra i
nostri interessi e quelli degli altri. Nella
ricchezza delle nazioni
(1776) Smith mette alcuni capisaldi della scuola classica
dell’economia. Prospetta la divisione del lavoro come giusto metodo
per aumentare la produzione. Inoltre, comprendendo
che l’individuo non può da solo sostenere tutte le necessità di
una produzione più complessa, delinea la figura dell’imprenditore,
di colui cioè che mette il capitale e le strutture a disposizione.
L’imprenditore in cambio avrà il profitto, che è quello che
rimane dalle spese di produzione e dai salari pagati. La divisione di
lavoro comporta un nuovo tipo di pagamento che è il salario, il
quale non corrisponde all’effettivo lavoro svolto dal lavoratore,
in quanto l’imprenditore lo pagherà meno di quello che
effettivamente ha prodotto. Ciò per assicurarsi un maggiore
profitto. Da tale motivo nascono le tensioni tra imprenditore e
salariati, i quali si dovranno accontentare, in quanto più deboli,
di salari di sussistenza. Infine, lo stato non deve intervenire nella
vita economica del paese, ma solo assicurarsi a garantire l’ordine
giuridico, la difesa dello stato e a promuovere l’educazione.
Thomas
Reid
(1710-1796), autore della Ricerca
sulla mente umana secondo i principi del senso comune (1764),
sostiene che tutto il nostro comportamento morale ha il suo
fondamento in un potere originario dell’animo, detto coscienza
o facoltà
morale
che indica e
distingue
il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. È in questa facoltà
che si trovano i principi
primi
dell’etica.
Infine,
Reid sostiene che l’uomo possiede un senso
comune
(composto
da principi
primi
di validità necessaria come le verità matematiche)
che, immesso in noi da Dio,
ci fa affermare che gli oggetti che noi vediamo esistono realmente.
Tale
senso comune
permette a
Reid
di superare la posizione di Cartesio, Locke, Berkeley e di
sostenere l’esistenza della
realtà materiale e della realtà spirituale. Questo senso comune è
immessi in noi da Dio che Questi principi primi hanno la stessa
validità delle verità necessarie come le verità matematiche.
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