lunedì 11 giugno 2012

Deisti, Moralisti ed economisti: John Toland, Anthony Collins, Matthew Tindal, Samuel Clarke, Anthony Shaftesbury, Francis Hutcheson, Bernard Mandeville, Adam Smith


Appena un anno dopo La ragionevolezza del cristianesimo di Locke viene pubblicato Il cristianesimo senza misteri (1696) di John Toland (1670 – 1722). In questo testo vengono svalutati tutti i residui soprannaturali della fede cristiana e, conseguentemente, la religione, interpretata alla stessa maniera di tutti gli altri fenomeni naturali, diviene essa stessa oggetto di indagine razionale. Per Toland il Vangelo non ha nulla di misterioso. Ed infatti, così come avviene per gli studi scientifici sul mondo fisico, dove vi sono aspetti che ancora non sono conosciuti, alla stessa maniera nel Vangelo vi sono elementi che ancora non sono stati spiegati e che, erroneamente, vengono interpretati in maniera miracolosa.
Nessuna cosa è, però, nel Vangelo contro ragione e tutto mediante essa è intelligibile. Per Toland i dogmi sono uno strumento della Chiesa per tenere sotto controllo (potremmo dire in pugno) il popolo. Infine, il nostro filosofo entra in polemica sia con il principio di inerzia della materia che con la distinzione cartesiana di estensione e pensiero. Egli, infatti, nel suo Pntheisticon ritiene che la materia è per sua natura sempre in moto, grazie ad un principio attivo intrinseco in essa. Una posizione materialistico–panteistica.
Nella medesima linea si muove Anthony Collins (1676-1729), autore di un Saggio sull’uso della ragione. In esso afferma la teoria che non vi è nulla di misterioso o soprannaturale nel Vangelo, ma semmai di irrazionale. Per Collins, però, non si possono condurre studi di alcun genere su ciò che è irrazionale, anche perché non ci si può pronunciare su di esso. Affermare ciò significa per Collins postulare l'autonomia della morale dai precetti religiosi e dalla superstizione. Ed infatti, per il nostro filosofo, il Vangelo insegna ad utilizzare la ragione, unico strumento che ci possa fare capire ciò che Dio vuole da noi.


Matthew Tindal (1656-1733) col suo Cristianesimo antico quanto la creazione offre la cosiddetta bibbia del deismo. Egli, infatti, ritiene che tutte quante le religioni non sono altro che espressioni parziali e storiche della religione naturale. Alla religione naturale appartiene anche il Vangelo, il quale nel suo nucleo centrale esprime la legge di ragione. In tal senso si può dire che il Cristianesimo sia antico quanto la creazione. Conseguentemente, per Tindal l'organo più autentico della rivelazione è la ragione.


Samuel Clarke, (1675-1729), seguace di Newton e autore della Dimostrazione dell’esistenza e degli attributi di Dio, entra in polemica contro i deisti e difende le verità cristiane. La difesa che compie, condotta sottolineando in maniera dettagliata gli aspetti razionali del messaggio cristiano, sembra, però, paradossalmente avvicinarlo ai deisti.








Fuori dal coro si eleva la voce di  Anthony Shaftesbury (1671 – 1713), autore di varie opere:Lettera sull’entusiasmo, I moralisti, Caratteristiche di uomini, costumi, opinioni, tempi. Shaftesbury si contraddistingue perché ritorna ad una concezione platonica del mondo e perché si distacca dai toni eccessivamente polemici dei deisti. Inoltre, si tiene lontano dalle scuole teologiche e afferma le proprie concezioni in maniera pacata ed equilibrata, senza mai cedere al fanatismo e al bigottismo. Con toni quasi panteistici afferma che la natura viene retta da un unico principio attivo (anima mundi). Per cui tutto è vita e gioioso espandersi di forze. Nulla muore. Al centro dell'universo si ha l’uomo con la sua capacità di contemplare la bellezza e la bontà dell’universo. Shaftesbury, quindi, offre una visione platonica profondamente ottimistica ed estetica del mondo, in cui tutto è bontà e bellezza. Bontà e bellezza che l’uomo coglie tramite un gusto o senso innato. Innato e spontaneo è l’istinto che ci fa vivere in società, come spontaneo e naturale è il senso interiore o senso comune che guida l’uomo nella vita morale, che lo spinge a fare il bene e a godere del bene altrui. Innato è anche il senso del gusto o senso del bello: moralità e bellezza sono sempre connesse, il gusto del bene non è disgiunto dal gusto del bello e del sublime. Gusto del bello e del sublime che elevano l’uomo alla contemplazione dell’armonia del tutto, della bellezza del creato, dell’unità del molteplice, della divinità ovunque presente.
Orientamento analogo assume la riflessione di Francis Hutcheson (1694-1746) autore della Ricerca sull’origine delle nostre idee di bello e di virtù e del Saggio sulla natura e sviluppi delle passioni e dei sentimenti. Per questo filosofo l’uomo è naturalmente portato ad un atteggiamento di benevolenza verso gli altri. Atteggiamento che gli permette di intessere relazioni e di promuovere la comune felicità: “l’azione virtuosa infatti non è in relazione ad una astratta tavola di valori ma si concreta nel realizzare la maggior felicità per il più gran numero di persone”. 

Bernard Mandeville si oppone alla morale irreale e ipocritamente ottimista di questi due autori e sviluppa un discorso basato su un punto di vista fortemente realistico. Nel suo Favola delle api, e Vizi privati benefici pubblici, afferma che il progresso di una società (sviluppo di commercio, attività produttiva, invenzioni, benessere) è frutto dell’amore proprio, dell’orgoglio, delle ambizioni, della competitività. Non si potranno mai eliminare le passioni e i vizi (e neppure gli squilibri sociali), pena il ritorno a forme di vita elementare, malinconica, pigra e inerte. Il ritorno cioè ad uno stato di sciocca innocenza e di stupidità naturale.
Adam Smith (1723-1790) scrive la Teoria dei sentimenti morali. Qui polemizza contro una morale che trova fondamento nell’intellettualismo. Nel fare ciò, inizia il discorso da quello che gli sembra un dato certo, e cioè la simpatia. Simpatia che per Smith è innata in tutti noi. Mediante di essa noi siamo capaci, oltre a regolare i rapporti con gli altri, ad interessarci della sorte altrui e a cercare di rendergli la necessaria felicità. I nostri giudizi morali dipendono da questa simpatia innata. La coscienza, invece, valuta la natura delle nostre azioni e si chiede sul come possano apparire agli altri. Da ciò nasce un raffronto appropriato tra i nostri interessi e quelli degli altri. Nella ricchezza delle nazioni (1776) Smith mette alcuni capisaldi della scuola classica dell’economia. Prospetta la divisione del lavoro come giusto metodo per aumentare la produzione. Inoltre, comprendendo che l’individuo non può da solo sostenere tutte le necessità di una produzione più complessa, delinea la figura dell’imprenditore, di colui cioè che mette il capitale e le strutture a disposizione. L’imprenditore in cambio avrà il profitto, che è quello che rimane dalle spese di produzione e dai salari pagati. La divisione di lavoro comporta un nuovo tipo di pagamento che è il salario, il quale non corrisponde all’effettivo lavoro svolto dal lavoratore, in quanto l’imprenditore lo pagherà meno di quello che effettivamente ha prodotto. Ciò per assicurarsi un maggiore profitto. Da tale motivo nascono le tensioni tra imprenditore e salariati, i quali si dovranno accontentare, in quanto più deboli, di salari di sussistenza. Infine, lo stato non deve intervenire nella vita economica del paese, ma solo assicurarsi a garantire l’ordine giuridico, la difesa dello stato e a promuovere l’educazione.
Thomas Reid (1710-1796), autore della Ricerca sulla mente umana secondo i principi del senso comune (1764), sostiene che tutto il nostro comportamento morale ha il suo fondamento in un potere originario dell’animo, detto coscienza o facoltà morale che indica e distingue il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. È in questa facoltà che si trovano i principi primi dell’etica. Infine, Reid sostiene che l’uomo possiede un senso comune (composto da principi primi di validità necessaria come le verità matematiche) che, immesso in noi da Dio, ci fa affermare che gli oggetti che noi vediamo esistono realmente. Tale senso comune permette a Reid di superare la posizione di Cartesio, Locke, Berkeley e di sostenere l’esistenza della realtà materiale e della realtà spirituale. Questo senso comune è immessi in noi da Dio che Questi principi primi hanno la stessa validità delle verità necessarie come le verità matematiche.

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