Per
la definizione dell’Illuminismo si è fatto più volte riferimento
ad uno scritto di Kant, Che
cos’è l’Illuminismo?
In tale definizione è posto l’accento sull’identificazione
dell’Illuminismo con l’autonomo e coraggioso uso della ragione,
che rappresenta l’uscita per gli uomini dallo stato di minorità e
di sudditanza rispetto all’autorità e alla tradizione, quindi la
liberazione dai pregiudizi e la conquista della libertà. Per
l’illuminismo, la ragione è lo strumento più efficace per
liberare gli uomini – tutti gli uomini in quanto tutti ugualmente
capaci di ragione – dagli errori e dai pregiudizi che si vedono
incarnati dalle istituzioni tradizionali (la scuola, gli Stati, le
Chiese). Il centro del movimento illuminista è rappresentato dalla
cultura francese del ‘700, anche se la cultura inglese con Locke e
Newton ha avuto un ruolo grande nella formazione di tale movimento.
Gli intellettuali francesi, seppur sviluppano interessi di ricerca
diversi, convergono in alcuni temi di fondo che culmineranno nella
pubblicazione dell’Enciclopedia,
destinata a divenire il punto di incontro di molti intellettuali
illuministi ed emblema dell’intero movimento.
Le
Mettrie
(1709-1751) entra in polemica contro ogni forma di speculazione
spiritualistica e religiosa, e svolge una concezione radicalmente
materialistica. Centrale nella sua speculazione è la materia
concepita non solo come estensione, ma anche come sostanza attiva,
dotata cioè della facoltà di muoversi e di sentire. Dalla capacità
di sentire deriverebbe il pensiero. Da ciò una concezione
prettamente meccanicistica della materia o della natura, da lui
concepita come una realtà eterna in perpetua trasformazione, dove le
forme si succedono continuamente. Al vertice di questo processo
evolutivo, afferma nel “L’Uomo macchina”, si pongono le
macchine più complesse come gli animali e gli uomini. Il meccanismo
nervoso è la struttura portante sia dei processi sensitivi che di
quelli intellettuali, per cui non ha senso parlare di un’anima al
di fuori dell’organizzazione del corpo. Gli organi di senso,
passivi rispetto agli impulsi esterni, percepiscono la realtà
attraverso la modificazione dell’apparato nervoso. Da ciò nascono
la sensazione, la memoria, le inclinazioni e i caratteri. Dalla
maggiore o minore forza deriva la maggiore o minore chiarezza di
un’idea sempre legata all’esperienza sensibile. Anche lui, come
Locke, distingue idee semplici e idee complesse, quest’ultime
derivate dalle prime. Egli, però, afferma che non possiamo mai
conoscere con assoluta esattezza le cose della realtà esterna, e
neppure avere sicurezza delle qualità primarie (estensione,
movimento), in quanto queste vengono recepite dai nostri sensi e con
altri sensi avremmo idee differenti delle stesse qualità.
L’orizzonte delle nostre conoscenze è quello delle nostre
sensazioni: il nostro pensiero si ferma pertanto alle apparenze
sensibili come sono percepite dal soggetto senziente. Le Mattrie
afferma, inoltre, che gli organi di senso ci sono dati più per
l’autoconservazione che per la conoscenza delle cose esterne, ciò
non vuole dire che i nostri sensi siano erronei di per sé. L'errore,
infatti, nasce solo quando giudichiamo troppo in fretta, cioè quando
operiamo giudizi che escono dall’orizzonte delle nostre
modificazioni sensoriali. Le Mattrie non riesce, però, a dare alcuna
spiegazione di come la materia possa sentire e pensare, ma riconduce
le passioni a modificazioni indotte nel sistema nervoso dagli oggetti
esterni: di fronte a certe idee o dolore si genera l’amore o
dolore, e da qui piacere o odio. L’uomo dunque, al pari degli altri
esseri, è una macchina; con la sola differenza che essa è più
complessa in quanto ha un sistema nervoso più complesso e un
cervello più grosso. Ma non vi è bisogno di ricorrere a Dio per
spiegare la sua origine: egli nasce per caso e vive e muore come i
funghi e i fiori. Anche la natura ha in sé, e non in altro, la
spiegazione del suo esistere.
Helvetius
(1715-1771) scrisse un’opera capitale per l’illuminismo: Lo
spirito
(1758). Lo spirito è per l’autore la facoltà sensitiva che riceve
impressioni prodotte in noi dagli oggetti esterni. Queste impressioni
vengono conservate nella memoria. Ora, sensazioni e memoria sono le
uniche due cause produttrici dei nostri pensieri. Se l’uomo ha
capacità più raffinate rispetto agli animali, questo è dovuto alla
migliore organizzazione degli organi corporei. Dalle sensazioni e
dalle parole per indicare gli oggetti sentiti nasce anche il mondo
dei valori morali. Helvetius vuole costruire una morale utile,
secondo principi certi come quelli della fisica sperimentale. Lo
studio si muove dalle passioni. Di esse solo due sono fondamentali, e
cioè il piacere e il dolore: questi due sono i soli motori del mondo
morale. Dagli interessi privati nasce un interesse generale per
tutelare meglio la conservazione della vita e dei beni, rinunciando
alla forza e stipulando delle convenzioni; in base a queste
convenzioni si sono costituite le idee di giusto e ingiusto.
Diderot
(1713-1784) nei suoi Pensieri
Filosofici,
in polemica con gli esiti estremi dell’ateismo e contro le varie
forme di superstizione che avevano inquinato le religioni storiche,
difende i temi di una religione naturale fondata sulla ragione; nel
fare ciò però egli nega la necessità della rivelazione,
l’ispirazione della Sacra Scrittura, i miracoli e allinea tutte le
religioni all’interno di una medesima fenomenologia. In seguito fa
propria l’idea (nell’Interpretazione
della natura)
di una originaria materia dotata di movimento e capace di spiegare,
per il suo interno dinamismo, la formazione di tutti gli esseri,
compreso l’uomo che ha origini e destini non diversi da tutti gli
altri esseri. Diderot afferma, comunque, che l’uomo ha una
posizione differente dall’animale e non si differisce da esso per
il solo fatto che combina le idee. A proposito del senso della vita
scrive: “Cos’è
un essere? La somma di un certo numero di tendenze. Le specie non
sono che tendenze, verso un termine comune che è loro proprio. E la
vita? La vita, un seguito di azioni e reazioni. Da vivo agisco e
reagisco in massa…da morto agisco e reagisco in molecole…dunque
non muoio? No senza dubbio, in questo senso non muoio affatto né io
né chicchessia…nascere, vivere e trapassare è cambiare forme”.
Condillac
(1714-1780) avvia un discorso dove si ha la totale riduzione alle
sensazioni di ogni attività psichica e conoscitiva. Nel suo Saggio
sull’origine delle conoscenze umane
e nel Trattato
delle sensazioni
Condillac critica la distinzione lockiana tra sensazioni e
riflessione come fonti distinte delle idee, riducendo alla sola
sensazione l’origine delle nostre idee e intendendo la riflessione
non come sorgente delle idee, ma come canale per cui queste derivano
dai sensi. Per spiegare il costituirsi della conoscenza e dei
comportamenti nell’uomo, Condillac fa l’uso del paragone
dell’uomo con una statua.
A questa statua Condillac ipotizza di dare uno ad uno, in
successione, i cinque sensi (odorato, udito, gusto, vista, tatto),
per poi studiare come dal progressivo ampliamento delle esperienze
sensibili nascano nella statua “il giudizio, la riflessione, i
desideri, le passioni” che sono “la sensazione stessa che si
trasforma diversamente”. Funzione prioritaria nell’attività
della statua svolgono le sensazioni di piacere e di dolore, esse
fanno nascere i desideri, le abitudini e le inclinazioni di ogni
sorta. In altre parole, alla base di tutti i processi psicologici e
conoscitivi vi è una dinamica emotiva e passionale. Ora, mentre i
primi quattro sensi (odorato, udito, gusto, vista) non permettono di
uscire dall’orizzonte della propria interiorità, perché con essi
i corpi non sono percepiti come esterni. La statua, infatti,
percepisce solo le proprie modificazioni, le “modificazioni
dell’anima”.
Il tatto, invece, si viene a configurare come il più importante di
tutti i sensi, ed infatti ci porta a giudicare che vi sono fuori di
noi delle realtà vicine le une alle altre. La statua scopre, in tal
modo, i corpi estesi, ai quali vengono attribuite le qualità
percepite dagli sensi. È così il soggetto prende conoscenza del
proprio corpo e dei corpi esterni. Divenuto capace di esercitare
tutti i sensi, il soggetto, spinto dalla necessità di provvedere
alla propria conservazione, da senziente diviene attento e
riflessivo: nella memoria ripone le sensazioni passate; quindi,
facendo attenzione alle sensazioni passate e presenti, le paragona
tra loro formulando giudizi: “In tal modo la sensazione diviene
successivamente attenzione, comparazione, giudizio”. Tutta la
nostra conoscenza ha origine diretta dalla sensazione e da essa si
formano le idee, distinte in semplici
e intellettuali.
Le semplici sono quelle che agiscono attualmente
sui sensi. Le intellettuali sono quelle che abbiamo dopo che
l’oggetto rappresentato non è più innanzi a noi, ma che ha
lasciato, in noi, la sua impressione. Dal susseguirsi delle
sensazioni e dai bisogni nasce il linguaggio, dapprima gestuale e poi
articolato. Nel Trattato
sui sistemi critica
ogni pretesa metafisica.
D’Holbach
(1723-1789), collaboratore dell’Enciclopedia,
scrive il Cristianesimo
svelato, L’abate e il rabbino, Il contagio sacro, David, Storia di
Gesù,
ove svolge una critica radicale delle tradizioni religiose, ridotte
ad impostura che assoggetta i popoli a inutili paure ultraterrene per
tenerli schiavi del potere politico; inoltre nelle Lettre
a Eugenia,
critica radicalmente la Bibbia e il sistema cristiano. Nel 1770 esce
la sua opera più importante: Il
sistema della natura,
poi Il
buon senso, la Politica naturale
e il Sistema
sociale.
La sua concezione della realtà è radicalmente materialistica, egli
afferma che natura è materia e movimento, in una perenne successione
di cause ed effetti secondo leggi inflessibili. Tutto è materia e
movimento: inutile chiedersi l’origine dell’una o dell’altra;
la materia è sempre esistita, il movimento gli appartiene
dall’eternità; gli eventi sono un concatenarsi necessario di moti
diversi e successivi. L’anima non è altro che il corpo stesso
considerato relativamente a talune sue funzioni. Il sentire è fonte
di ogni conoscenza, e da essa nasce la memoria, l’immaginazione.
Queste due nell’uomo si chiamano facoltà intellettuali.
Quest’ultima è la ragione, ovvero la natura modificata
dall’esperienza. Scopo dell’uomo è quello di conservare se
stesso, a tale scopo intreccia rapporti con gli altri. Virtù e vizio
non sono valori astratti ed eterni, ma nascono da dai concreti
rapporti umani. Infine, la politica è “l’arte di dirigere le
passioni degli uomini verso il bene della società”. Quindi, si ha
una morale umana fondata sulla natura dell’uomo, sull’esperienza
e sulla ragione. Questa morale avrà come suo compito la ricerca
della felicità, cioè del benessere individuale e collettivo. Virtù
è ciò che aiuta al raggiungimento di tale benessere, il vizio è
invece quanto nuoce a tale felicità.
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