giovedì 28 giugno 2012

Jean-Jacques Rousseau


Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) si viene a configurare come l'ultimo grande rappresentante dell'illuminismo francese. Pensatore ribelle, fuori dal tradizionalismo e dalle mode del tempo, viene odiato dai conservatori cattolici e protestanti, e, a seguito della pubblicazione dell'Emilio, viene condannato dal parlamento francese ed arrestato. Non fu simpatico nemmeno agli illuministi francesi: Diderot lo definisce un “grande sofista”, Voltaire ne parla come di un “arcipazzo”.
Rosseau nasce a Ginevra e fino a 28 anni conduce una vita dissoluta ed irregolare. Inoltre, non ha alcun contatto con la cultura ufficiale del tempo. Si mantiene alla meglio: dapprima fa il servitore per una ricca dama, poi per un conte. Fuggito da questi, vive di espedienti e si fa mantenere da una protettrice, di cui diviene amante. Nel 1740 si trasferisce a Parigi, e qui inizia a mantenersi copiando musica. A Parigi conosce gli ambienti illuministici, anche se il suo ingresso nel mondo della cultura avviene solo nel 1749, quando invia all'Accademia di Digione un saggio dal titolo Se il rinnovamento delle scienze e delle arti abbia contribuito a nobiliare i costumi. Inviò un secondo saggio nel 1753 da titolo Sull'origine della diseguaglianza tra gli uomini. Con questi due lavori si afferma nel mondo culturale francese, e la sua fama cresce con la pubblicazione nel 1761 della Nuova Eloisa. Qui viene esaltato l'amore semplice ed istintivo. Nel 1762 pubblica l'Emilio e il Contratto sociale. Con questi lavori iniziano le persecuzioni contro di lui: condannato dal parlamento francese, ripara a Ginevra e a Berna. Dovette, però, fuggire anche da qui perché la condanna si ripetette da parte del parlamento svizzero. Si reca allora in Inghilterra, dove viene ospitato dal filosofo Hume. Con cui, però, ben presto entra in collisione. Ritorna, quindi, frettolosamente in Francia, dove muore nel 1778.
Rousseau può considerarsi l'ultimo grande esponente dell'illuminismo. Con lui emerge una nuova sensibilità. Egli, infatti, si pone il problema se la cultura sia veramente utile. La risposta che fornisce non si inserisce né nella cultura tradizionalistica né nella nuova cultura illuministica. Ed infatti, Rousseau afferma che la cultura è dannosa per l'uomo primitivo, perché lo allontana dalla felicità dello stato naturale. Diviene, però, necessaria per gli uomini civilizzati. Ciò perché è meglio che un uomo corrotto (ovvero civilizzato) sia istruito piuttosto che ignorante. Detto ciò, è chiaro che il riconoscimento dell'importanza della cultura avviene solo perché ormai l'uomo si è corrotto con la conoscenza. Nel frattempo, però, Rousseau avanza una concezione del tutto nuova ed estranea alla mentalità illuministica, e cioè l'ideale del ritorno dell'uomo allo stato di natura. Il danno fondamentale che la cultura ha provocato nell'uomo è quello di aver fatto perdere l'equilibrio tra i bisogni e la facoltà di soddisfarli, propria dello stato naturale. Questo equilibrio è venuto meno perché l'uomo ha iniziato a riflettere tra i vari soddisfacimenti. Da questa riflessione nascono le passioni, la fantasia e la riflessione; e proprio con la riflessione si perde lo stato di natura. Una sola facoltà dello stato di natura ci è sopravvissuta, il sentimento. È, quindi, ad esso che bisogna rivolgersi se si vuole ritrovare quel minimo di autenticità che ancora è concesso all'uomo. Soltanto la rivalutazione del sentimento può portare ad un totale rinnovamento della società e della vita dell'uomo. Un rinnovamento molto più radicale e sostanziale di quello auspicato dagli illuministi con la ragione.
L'ideale di rinnovamento mediante il sentimento e la spontaneità viene da Rousseau applicato al campo dell'educazione, della religione e dello stato. La teoria dell'educazione si trova esposta nell'Emilio. Qui Rousseau afferma che il compito dell'educatore è quello di lasciare libero campo alla natura. Per fare ciò bisogna eliminare ogni ostacolo che impedisce il libero esercizio delle facoltà naturali del fanciullo. Il bambino non deve essere guardato con gli occhi dell'adulto, bensì con quelli del fanciullo, e il modo di procedere dell'educatore deve essere negativo (cioè volto ad eliminare gli ostacoli) e non positivo. L'educatore nel fare ciò non rimane inattivo, ma anzi si prodiga nel prevenire gli errori. L'educazione elaborata da Rousseau è un po' come la maieutica socratica, dove al posto dell'intelletto si trova il sentimento.
Il progetto di un rinnovamento religioso si trova in una nota dell'Emilio da titolo La confessione di fede del vicario savoiardo. Qui Rousseau afferma una religione naturale in linea con il deismo. L'unica differenza è che la fede in Dio non nasce da un atteggiamento razionale, bensì da un bisogno sentimentale; dal fatto che per l'uomo il dubbio è uno stato emotivamente insopportabile.
Il Contratto sociale nasce dalla voglia di un rinnovamento politico fondato sull'ideale dello stato di natura. Ed infatti, la sovranità per Rousseau è sempre del popolo. Pertanto, una sola è la forma di stato, anche se tante sono le forme di governo. Tra le varie forme di governo, quella che Rousseau preferisce è quella di un'aristocrazia elettiva. Ritiene, però, che il popolo non possa essere adeguatamente rappresentato dai deputati. Ed infatti, il popolo per esprimersi davvero dovrebbe essere adunato tutto quanto per le grandi decisioni. Ciò potrebbe avvenire soltanto se lo stato è di modeste dimensioni. Uno stato piccolo, governato direttamente dal popolo, è il solo che si avvicina allo stato ideale di natura.

Nessun commento:

Posta un commento