Nel 1856 l'ingegnere William Brenton, mentre stava
costruendo una strada ferrata nell'India occidentale, ossia in
Pakistan, trova dei tumuli polverosi, le rovine di una città da
lungo tempo dimenticata. L'ingegnere utilizzò questi mattoni per
innalzare la massicciata della ferrovia.
Nel 1920 alcuni archeologi rivisitarono la zona e
scoprirono che quelle rovine appartenevano all'antica città di
Harappa, fondata 4500 anni or sono. Si iniziò a studiare
questa cultura, per molti versi consimile a quella dell'altra
capitale, Mohenjo-Daro, 565 chilometri a
sud del fiume Indo.
Questi due centri urbani erano al governo di una
quarantina di cittadelle e villaggi, i cui abitanti condividevano la
stessa unità di misura basata sul numero 16, costruivano case
utilizzando lo stesso tipo di mattone, che veniva essiccato col fuoco
e non con il Sole. Ciò induce a ritenere che un tempo la zona
dovesse essere ricca di vegetazione e che avessero utilizzato una
grande quantità di legno come combustibile per le fornaci da
mattone.
Le città della Valle dell'Indo basavano la propria
ricchezza sul commercio e sull'industria. Entrambe si svilupparono
grazie ad un elevato sviluppo agricolo.
I coltivatori ottenevano dai terreni frumento per il
pane, orzo, piselli e cotone che tessevano e tingevano con colori
vivaci. Alla stessa maniera dei Sumeri, allevavano animali domestici
per il cibo, per la lana e per il trasporto. Le pecore fornivano la
lana per gli indumenti; maiali, pecore, capre e bovini il latte e la
carne; zebù, bufali d'acqua, elefanti, asini e cammelli servivano
come animali da soma.
Gli agricoltori trasportavano i prodotti mediante carri
trainati da buoi. Questi, giunti nei mercati delle città,
scambiavano le messi coi prodotti degli artigiani, davvero abili
nella lavorazione dei metalli e delle pietre preziose. Essi
ricavavano dal bronzo e dal rame rasoi, asce, armi, ornamenti come
statuette di danzatrici e modellini di carri con il baldacchino.
L'oro, l'argento, i lapislazzuli, l'ametista e l'agata servivano per
fabbricare vasi, braccialetti, corone e collane.
Queste pietre e metalli erano il risultato di un vasto e
sviluppato commercio che, mediante barche a vela e a remi, giungeva
sino al Golfo Persico; e, mediante carovane di asini e cammelli,
giungeva ad Ovest sino al Belucistan per il bitume e la steatite. Si
giungeva anche al Nord sino all'Afganistan per l'argento e a Est sino
al Ragiaputana per il piombo. Sono stati rinvenuti a Sumer sigilli di
steatite dei mercanti della Valle dell'Indo. In parte, i prodotti di
questo ampio commercio tornavano alle due capitali di Harappa e di
Mohenjo-Daro. Entrambe le capitali erano collocate nei pressi del
fiume e gli abitanti erano obbligati a costruire baluardi di fango ed
argini per le alluvioni stagionali.
Le due città erano costruite in maniera molto simile:
le strade principali, larghe anche nove metri, erano progettate
secondo un disegno a graticola che divideva le città in zone
rettangolari. Queste erano suddivise in angusti vicoli. Il tutto
veniva a formare un quadrato, il cui asse era di circa un chilometro
e mezzo. In entrambe le capitali si aveva un efficiente sistema
fognario.
In molte case si avevano stanze da bagno e a
Mohenjo-Daro si aveva un grande bagno in mattoni, forse la piscina
del tempio, reso impermeabile con il bitume.
Nel 2000 a.C. circa le città vennero invase da popoli
di altra razza, provenienti dal nord-ovest, che, su carri trainati da
cavalli e armati di frecce di metallo, saccheggiarono e bruciarono le
città dell'Indo. Questa cultura scomparve del tutto verso il 1200
a.C.
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