L'antropologia
culturale, a differenza di quella filosofica, si basa sulle “ricerche
sul campo”, ossia su una serie di indagini dirette sulle
popolazioni prese in esame.
Franz
Boas (1858 – 1942), antropologo ed etnologo tedesco, fu autore
de La mente dell'uomo primitivo, del 1911; di Arte
primitiva, del 1927; di Antropologia e vita moderna, del
1928 e della raccolta Razza, linguaggio e cultura, del 1940.
Boas
intende superare sia la dottrina evoluzionistica che diffusionista.
Egli, infatti, si fa assertore di una sorta di “relativismo
culturale”, ossia di una concezione intesa a cogliere ciò
che caratterizza ogni singola cultura.
Boas
respinge qualsiasi metodologia astratta ed afferma la presenza di
elementi autonomi nello sviluppo di certe popolazioni. Ovviamente in
una cultura si possono avere la presenza e l'effetto di relazioni con
popolazioni più o meno vicine.
In
maniera generale, però, è insostenibile il principio
evoluzionistico “unilineare” secondo cui si ha in una
civiltà il passaggio dal semplice al complesso. Ed infatti, come
dimostra sia il linguaggio che la struttura della vita familiare,
spesso i fenomeni culturali dei popoli primitivi presentano caratteri
assai più complessi che non nei popoli ad alto livello di civiltà.
Si
può, semmai, dire che il processo sia inverso, ossia dal complesso
al semplice.
Alla
stessa maniera, non si può in alcun modo concludere che che esista
un'unica linea di sviluppo per tutte le culture sulla base di
semplici parallelismi. Inoltre, le condizioni geografiche ed
economiche possono sì influire lo sviluppo di una certa cultura, ma
non possono essere in alcun modo intese come dei principi
deterministici secondo cui l'evolversi di una società
avviene in maniera rigida, secondo leggi di causa effetto.
Alfred
Kroeber (1878 – 1960), antropologo ed etnologo statunitense, fu
autore di Antropologia, del 1923; del Manuale degli indiani
della California, del 1925; de La natura della cultura,
del 1952 e di Antropologia oggi, del 1953.
Kroeber
definisce la specificità della cultura non solo rispetto al
comportamento animale, ma anche rispetto a quello personale e sociale
dell'uomo stesso. Nel fare ciò si inserisce all'interno del
dibattito dello storicismo tedesco inerente il problema delle scienze
storico – sociali e dei valori culturali.
Per
Kroeber persona, società e cultura sono tre livelli di comportamento
di complessità diversa, nessuno dei quali è riducibile all'altro e
rispetto ai quali non ha molto senso chiedersi la genesi o la
causalità.
La
specificità della cultura consiste nel fatto che essa condiziona il
comportamento dell'uomo, anche quello biologico, sin dall'inizio
della sua esistenza. Ora, mentre nelle scienze naturali è possibile
risalire dagli elementi semplici a quelli più complessi; nel caso
della cultura questa metodologia risulta impossibile. Ciò perché si
ha a che fare con “relazioni totali”, entro le
quali hanno particolare importanza i valori nel loro carattere
sovrapersonale e collettivo.
Infine,
la cultura si ha soltanto nell'uomo in quanto i rapporti vengono
regolati dal linguaggio e dalla capacità di simbolizzazione. Si
possono, invece, avere delle società, come quelle degli insetti,
che, però, mancano di cultura.
Bronislaw
Malinowski (1884 – 1942), antropologo ed etnologo polacco, fu
autore de Gli argonauti del Pacifico occidentale, del 1922; de
La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord –
occidentale, del 1929, di Magia, scienza e religione, del
1925; di Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, del 1927
e di Teoria scientifica della cultura, del 1944.
Egli
fu uno dei maggiori esponenti del cosiddetto “funzionalismo”.
Alla
base di questa dottrina si ha non solo un rifiuto dell'evoluzionismo
e del diffusionismo, ma anche di qualsiasi spiegazione dei fenomeni
culturali basata su metafore organicistiche, così come di qualsiasi
concetto di “forma” come elemento su cui basare giudizi di
affinità o di differenza tra le diverse culture.
Per
Malinowski, nello studio della cultura, è importante non tanto l'
“identità della forma”, bensì la “diversità della
funzione”.
Ciò
significa che, ad esempio, non è importante ritrovare tra le diverse
culture un oggetto simile (ad esempio un bastone), bensì la funzione
o l'impiego che ricopre in ognuno di essa, che può essere rituale,
agricola, di caccia, ecc.
Nello
studio delle funzioni bisogna, inoltre, risalire ai bisogni a cui
devono rispondere. Nel fare ciò si deve procedere con un metodo
rigoroso, e cioè operando una distinzione tra gli imperativi
fondamentali di un bisogno
necessario (ad esempio la nutrizione, la riproduzione della specie,
ecc.) e gli imperativi che derivano dalle modalità culturali di
soddisfarli (basta pensare, ad esempio, al diverso modo di cucinare
un cibo o di fare sesso. Modalità che vanno al di là della
necessità biologica di nutrirsi o di riprodursi).
Si
tratta, pertanto, di capire come i bisogni primari di una comunità
vengano soddisfatti in modi indiretti. Modi indiretti che, a loro
volta, impongono nuove condizioni e nuove bisogni. Da questi derivano
i cosiddetti imperativi “strumentali” della cultura, come
l'organizzazione economica, il diritto e l'educazione.
Ciò
non significa che si possa istituire una connessione e corrispondenza
univoca e rigida tra istituzioni e bisogni.
Bisogna,
inoltre, evitare di operare una rigida differenziazione tra uomini
“primitivi” e “civilizzati”, come se i primi
obbedissero solamente ad una mentalità meramente magica, quando,
invece, i selvaggi si comportano in maniera perfettamente logico –
sperimentale nell'ambito di quelle operazioni dove le loro conoscenze
e le loro tecniche sono adeguate, mentre si affidano a pratiche
magiche là dove non giungono con la loro conoscenza.
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