Nagli
anni sessanta e settanta si cercava di realizzare una fondazione
dell'ermeneutica come compito specificatamente filosofico. Tale
fondazione passava, però, non da una matrice heideggeriana, bensì
da quella fenomenologica husserliana.
In
tal senso si indirizza l'opera di Paul Ricoeur (1913 –
2005). Tra i suoi scritti principali abbiamo: Della interpretazione,
del 1965; Il conflitto delle interpretazioni, del 1969; La
sfida semiologica, del 1974 e La metafora viva, del 1975.
Ricoeuer
condivide con Husserl l'idea che la conoscenza precategoriale sia più
autentica di quella organizzata in concetti e categorie.
Questo
livello più autentico e profondo di conoscenza può essere raggiunto
solo se non si considera il linguaggio come mero strumento di
comunicazione, ma se lo si intende come sovradeterminato da
valori che non si esauriscono nella comunicazione.
In
maniera più precisa, il linguaggio comunicativo è composto solo da
segni univoci, aventi la sola funzione comunicativa; mentre il
linguaggio più fondamentale è composto da simboli, i quali non si
limitano a designare come i segni, ma esprimono anche un valore
esistenziale.
Il
riuscire a cogliere il livello più profondo del linguaggio significa
attuare una sfida semiologica. Sfida che l'uomo può e deve lanciare
contro il mondo banalizzato della modernità.
Pertanto,
Ricoeur indica la possibilità non di una sola ermeneutica, bensì di
due.
La
prima ermeneutica ha il compito di far riemergere i significati
arcaici appartenenti all'infanzia dell'umanità non ancora
banalizzata dalla modernità. La seconda ermeneutica, invece, deve
fare emergere tutte quelle figure anticipatrici del nostro futuro
sviluppo.
Entrambe
le ermeneutiche devono partire dai simboli del nostro linguaggio.
Simboli che da un lato ripetono l'autenticità della nostra infanzia
e dall'altro stimolano l'avvento del nostro futuro.
Per
tale motivo, Ricoeur interpreta l'ermeneutica dei simboli come
regressivo – progressiva: regressiva perché
si configura come reminiscenza ed arcaicità, progressiva
perché si determina come anticipazione e profezia.
Sia
l'ermeneutica di Gadamer che di Ricoeur condividono l'idea
dell'esistenza di una verità come criterio ultimo con cui deve
confrontarsi il pensiero. Ciò nonostante il fatto che alla filosofia
non venga più dato il compito di scoprire, bensì quello di
interpretare.
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