La
sociologia americana ha assunto delle caratteristiche peculiari
grazie al contesto storico – sociale in cui si è evoluta e tramite
gli sviluppi filosofico – culturali.
La
sociologia affermatesi in America risente, in un primo momento,
fortemente l'influsso delle teorie evoluzionistiche, in
special modo del darwinismo, secondo cui la vita della società
va spiegata ed interpretata in base alla lotta per l'esistenza e la
conseguente selezione naturale, in cui solo il più forte sopravvive.
L'influsso del darwinismo è dettato dallo sviluppo economico che
sembrava aprire orizzonti infiniti ed illimitati di successo e di
progresso sia individuale che collettivo.
In
seguito, però, la sociologia americana viene a interagire con il
pragmatismo e con la sua concezione attiva e dinamica della
coscienza, intesa come progettazione intersoggettiva e interazionale.
George
Herbert Mead (1863 – 1931), filosofo, psicologo e sociologo
statunitense, fu autore di Mente, sé e società, del 1934.
Egli
mette in evidenza il carattere simbolico del rapporto umano,
evidenziando l'importanza del linguaggio per la comprensione del
rapporto tra l'uomo e la società e per il controllo dei rapporti
sociali.
Thorstein
Veblen (1857 – 1929) fu autore di La teoria della classe
agiata, del 1899; de La teoria dell'impresa d'affari, del
1904; de L'istinto dell'efficienza e lo stadio delle tecniche
industriali, del 1914 e de Il ruolo della scienza nella
civiltà moderna, del 1919.
Veblen
mette in luce gli aspetti essenziali della vita sociale della società
industriale contemporanea con la cosiddetta dottrina “tecnocratica”,
che analizza ed evidenzia la funzione di guida propria dei “tecnici”
nella produzione, e quindi la necessità di tenere conto anche sul
piano politico dell'importanza di tale loro funzione.
Talcott
Parsons (1902 – 1979), sociologo statunitense, fu autore de La
struttura dell'azione sociale, del 1937; dei Saggi sulla
teoria sociologica, del 1949; de Il sistema sociale, del
1951; di Struttura e processo nelle società moderne, del 1960
e di Teoria sociologica e società moderna, del 1967.
Egli
assume il funzionalismo in chiave sociologica. Ciò è conseguente ad
una reazione contro gli indirizzi puramente storicistici ed
evoluzionistici rivolti a spiegare ogni cosa con un metodo storico –
genetico. Si deve, invece, avvicinare ai fatti sociali mediante uno
strumento di comprensione e di confronto razionale che consenta di
inquadrarli in modo veramente scientifico, e di scientificità si può
parlare solo là dove si abbia una connessione sistematica.
Nei
decenni successivi si sviluppò una serrata critica al funzionalismo,
accusato di essere troppo astratto e neutrale rispetto ai grandi
conflitti sociali e politici.
Charles
Wright Mills (1916 – 1962), sociologo statunitense, fu autore
di Colletti bianchi, del 1951; di Carattere e struttura
sociale, del 1953; de L'élite del potere, del 1956; de
L'immaginazione sociologica, del 1956; di Immagini
dell'uomo, del 1959; di I marxisti, del 1962 e di Politica
e potere, del 1963.
Egli
è uno degli esponenti più importanti della “sociologia
critica”. Importante è la sua ripresa del problema del
metodo della ricerca sociologica.
Mills
respinge la “grande teorizzazione”, e cioè il
funzionalismo, perché esso presuppone la legittimità del
potere e preclude ogni possibilità di comprendere effettivamente i
conflitti, gli antagonismi e le rivoluzioni.
Mills
polemizza anche contro gli empiristi astratti che si
illudono di garantire la scientificità della loro ricerca
appellandosi a criteri analoghi a quelle delle scienze naturali, ma
in realtà sono del tutto incapaci di cogliere le strutture storico –
sociali nella loro specificità storica, poiché considerano la
società semplicemente come la somma di individui concepiti e
studiati “atomisticamente”.
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