sabato 14 luglio 2012

Herbart


Herbart nasce il 4 maggio del 1776. Nel 1806 scrive la Pedagogia generale dedotta dal fine dell’educazione; I punti principali della metafisica, I punti principali della logica, La filosofia pratica generale. Del 1813 è il Manuale per l’introduzione alla filosofia, a cui segue il Manuale di Psicologia. Del 1822 è Sulla possibilità e necessità di applicare la matematica alla psicologia, i due volumi della Psicologia come scienza, nuovamente fondata sull’esperienza, la metafisica e la matematica. Segue la Metafisica generale accanto ai principi della dottrina filosofica della natura e la Breve enciclopedia della filosofia. Muore nell’agosto del 1841.
Herbart viene usualmente considerato come uno dei massimi esponenti del filone kantiano che si contrappone alla filosofia idealistica, e che dapprima non ebbe molto eco all’interno del pensiero occidentale, ma che poi verrà rivalutato con l’eclissarsi dell’idealismo. Ciò non significa che Herbart accetti tutta la speculazione kantiana, in quanto egli stesso vede alcuni punti di essa come insostenibili. Rimane, però, fermo in Herbart il punto che afferma che la via d’uscita delle difficoltà del kantismo non è da vedersi certamente in Hegel, anzi l’idealismo elimina gli aspetti reali della filosofia, inoltre la soggettività pura è un concetto contraddittorio che non può fondare il sapere filosofico. Bisogna prima di ogni cosa distinguere il reale nel suo carattere immutabile, e quelle che sono il continuo mutare del mondo fenomenico. Continuo mutare che non è legato al divenire, ma al fatto che non si ha un unico essere, come affermava Parmenide, ma un’infinità di esseri reali che entrano tra loro in infinite relazioni. Per cui non si deve solo riconoscere le contraddizioni interne nel mondo dell’esperienza, ma bisogna andare a studiare le relazioni, tramite il metodo delle relazioni, in modo tale da pensare come molteplice quello che non può essere inteso come unitario senza inciampare in contraddizioni interne. Nell’adempiere tale compito il pensiero deve attenersi a delle regole che sta alla logica andare a precisare. Per Herbart però non bisogna in alcun modo confondere la logica con la psicologia e soprattutto non si deve fare l’errore di ridurre la logica ad una sorta di storia naturale dell’intelletto, o peggio ancora, come aveva fatto in parte Kant, andare a ricondurre la logica a delle facoltà. Importante anche il sottolineare da parte di Herbart il carattere ipotetico del giudizio. Carattere ipotetico del giudizio che nasce come risposta alla domanda che sorge dall’accostare diversi concetti e dalla necessita di vedere se tali concetti si accordino, e se si accordano vedere come. Una volta stabilite le condizioni formali che permettono la logica bisogna passare alla trattazione dei concetti fondamentali della metafisica, nella quale un posto particolare spetta alla dottrina kantiana dell’essere come “posizione assoluta”. L’essere in altre parole non può essere ricondotto al piano logico o della possibilità di essere pensato, cioè Kant, per Herbart, ha avuto il merito di spazzare via quelle concezioni dell’esistenza come semplice complemento della possibilità del pensabile, e con ciò stesso tutte quelle forme inadeguate di metafisica. Al concetto di essere non si arriva mediante l’intuizione ( che Herbart critica aspramente), bensì per la necessità concettuale di ammettere come esistente ciò che ci appare e, la cui apparizione non potrebbe essere spiegata senza la posizione assoluta dell’essere e la molteplicità degli esseri. Ciò non significa allontanarsi dal sensibile, ma anzi ritornare al sensibile per meglio comprenderlo scientificamente. Herbart chiarisce una serie di punti fondamentali che sono: ciascuno dei reali può entrare in una serie illimitata di relazioni con gli altri reali, e ciò fa sviluppare un perturbamento reciproco che ne permette l’autoconservazione; un esempio viene offerto dalla nostra vita psichica. Si deve evitare l’illusione di Kant che il pensiero sia un qualcosa di a priori a cui va ricondotto il dato; anzi è sempre nella determinatezza del dato che si dispiega l’esperienza sensibile e il suo graduale evolvere di relazioni concettuali. Herbart critica anche le categorie e in special modo quella della causalità legata alla temporalità. In tal modo non si supera lo scetticismo di Hume. Mentre per comprendere la causalità si deve ricondurla alla sostanzialità, al di là dell’esperienza sensibile e del flusso temporale. Dalla logica e dalla metafisica vanno distinte nettamente sia l’estetica che la psicologia. Herbart riconduce anche la morale all’interno della tipologia del giudizio estetico. Con il termine di giudizio estetico si vuole indicare tutto ciò che riguarda non la conoscenza, ma l’apprezzamento; e che si concretizza in una vera e propria scienza delle valutazioni. Per quanto riguarda la morale Herbart afferma che essa non può essere fondata su qualcosa di vuoto come una presunta libertà trascendentale e di ristretto come la dottrina dei doveri; secondo Herbart infatti le valutazioni morali rispondono a cinque gradi di idee tra loro irriducibili che sono la libertà interiore, la perfezione, la benevolenza, il diritto e l’equità. Una volta eliminato l’ostacolo costituito da indebite concezioni di facoltà dell’anima o da una nozione assoluta dell’Io, è possibile studiare la vita dell’anima, come di qualsiasi altro reale, come un processo di perturbazioni e autoaffermazioni che è la fonte delle rappresentazioni, liberate in tal modo dalle sterili e insolubili alternative tradizionali circa la loro collocazione dentro o fuori della coscienza. Il problema è ora quello divedere come queste rappresentazioni vengano a risultare dall’incontro e scontro ed è qui che intervengono le possibilità di un’applicazione del metodo matematico, che consente di dare alla psicologia uno statuto di scientificità quale non le può derivare da una sperimentazione analoga a quella delle scienze naturali. Le rappresentazioni possono inoltre esercitare reciprocamente una funzione di inibizione e impedimento che non le distrugge, ma li respinge al di sotto della coscienza; di qui l’introduzione del concetto di soglia della coscienza, e di qui anche una concezione della vita psicologica molto più ampia di quella rappresentata dalla consapevolezza delle rappresentazioni, e dunque l’affermazione di una sorta di inconscio, di profondo, di dove le rappresentazioni inibite e respinte, trasformatesi in forze, in tendenze, possono tornare a superare la soglia della coscienza, o per la loro propria forza o perché ne vengono richiamate. Un’adeguata conoscenza della vita psichica e dei suoi processi, così come delle idee della morale, consente poi, secondo Herbart, di delineare in modo organico finalità e metodi del processo educativo. Alla sua base sta il concetto di plasmabilità dell’uomo se correttamente osservato e seguito. L’educatore potrà dunque procedere nei suoi confronti attraverso diversi procedimenti atti a portarlo alla virtù e a realizzarsi come persona veramente e interiormente libera. In primo luogo il governo del fanciullo, avvalendosi anche di minacce e della costrizione se indispensabile, ma soprattutto dell’autorità e dell’amore. Inoltre Herbart sviluppa un metodo articolato in una maniera che riesca a provocare nel fanciullo un interesse multilaterale tale da consentire uno sviluppo adeguato nei diversi stati d’animo rispetto alla realtà che lo circonda e all’umanità nel suo complesso.

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