martedì 10 luglio 2012

Hegel


Nasce a Stoccarda il 27 Agosto del 1770. Affrontando nella gioventù problemi quali la vita di Gesù, il destino del cristianesimo, il rapporto tra popolo e religione, nascono alcuni scritti determinanti per la sua concezione dello spirito, della dialettica e della storia, che verranno pubblicati da Hermann con il titolo improprio di Scritti teologici giovanili. Nel 1801 insieme a Schelling fonda il Giornale critico della filosofia. Nel contempo escono i suoi primi scritti: la Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e di Schelling, Il Rapporto dello scetticismo alla filosofia, Fede e sapere, Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale e il Sistema dell’eticità e la Costituzione della Germania. Nel 1807 esce la poderosa Fenomenologia dello Spirito. Quindi la Propedeutica filosofica. Del 1812-1816 è La scienza della logica articolata in tre sezioni riguardanti rispettivamente la logica dell’essere, dell’essenza e del concetto. Nel 1817 esce L’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, quindi la Filosofia del diritto e infine la II e III edizione dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Muore a Berlino il 14 Novembre del 1831. Il nome di Hegel nel pensiero contemporaneo è strettamente connesso al concetto di dialettica. Ma se noi volgiamo uno sguardo all’opera hegeliana possiamo notare un fatto, a prima vista abbastanza sconcertante: alla dialettica Hegel non ha dedicato nessuno scritto specifico e neppure una delle tante sezioni in cui veniva meticolosamente articolando i suoi libri. Questo fatto ci porta subito nel cuore del pensiero hegeliano. La dialettica viene concepita sotto un aspetto nuovo in quanto non è più un procedimento del pensiero che si applica alla realtà e al proprio oggetto, ma è una legge interna e necessaria tanto del pensiero quanto della realtà. Quindi per Hegel la trattazione di ogni problema non può che essere una trattazione dialettica, se vuole essere filosofica e cogliere la verità. Se ancora in Kant la metafisica, come disciplina più specificatamente filosofica, viene riportata a tre problemi specifici: Dio, anima, mondo. Quindi, ancora in Kant la filosofia teoretica veniva distinta accuratamente da quella pratica, la morale dalla conoscenza, il sentimento da entrambe e così via. Con Hegel, infatti, non si può più distinguere a priori che cosa abbia rilevanza filosofica e che cosa no, ciò perché non è mai possibile trovare in un singolo concetto o in un singolo contenuto la verità; infatti, ogni passaggio è una manifestazione dialettica che ha fondamentale importanza filosofica. La dialettica hegeliana è, prima di tutto, strettamente connessa alla nozione di sviluppo, ma non di uno sviluppo illimitato, bensì di uno sviluppo che tende al concreto mediante il superamento dell’astrattezza insita in ogni opposizione. Ciò non significa che per Hegel il concreto sia il dato sensibile, e l'astratto il concetto. Veramente concreto è per Hegel il compimento di un processo, l’unità di opposti (dove l’uno ha bisogno dell’altro per realizzarsi). Per fare un esempio: elementi come idrogeno e ossigeno sono astratti rispetto alla loro sintesi, ossia l’acqua; o ancora l’uomo e la donna presi di per sé sono due elementi astratti rispetto alla loro sintesi che è l’amore e la famiglia. La nozione di astratto di Hegel non è pertanto legabile ad un significato ontologico o gnoseologico, bensì è un processo dove i termini opposti si negano reciprocatamene e si integrano in una più ricca unità. Si tratta perciò di comprendere la funzione feconda e insopprimibile della contraddizione come legge di sviluppo della realtà. Ciò significa che la logica hegeliana si contrappone alla logica tradizionale fondata sul principio di identità e sul principio di non – contraddizione, accusata di chiudersi nell'astrattezza degli opposti e di non giungere pertanto alla mediazione, ossia a cogliere l’unità degli opposti nella loro sintesi. Bisogna quindi superare la supposizione che la dialettica abbia un risultato negativo. La negazione dialettica non è mai assoluta, è, infatti, negazione di un limite e suo superamento per la realizzazione di un qualcos'altro di più alto e perfetto. Come succede nell'Idea della natura che si pone come altro da sé e poi torna a sé nello Spirito. Una tesi hegeliana assai celebre afferma che “ciò che è razionale, è reale; ciò che è reale, è razionale ”. Tale tesi è enunciata nella prefazione della Filosofia del Diritto. Identificando il reale con il razionale, Hegel non intende minimamente glorificare il fatto compiuto, appiattire il razionale sul reale, ma ottenere il risultato esattamente contrario, cioè dare un criterio per individuare nel complesso di fenomeni che si accavallano nella storia e nella natura un filo conduttore capace di orientarci, di farci comprendere che cosa veramente è significativo ed efficace e che cosa, invece, è soltanto contingente e irrilevante. L’identificazione di reale e razionale può sembrare scandalosa, scrive Hegel nel sesto capitolo dell’Enciclopedia, a chi non si rende conti di due punti essenziali: da un lato che Dio è reale, è la cosa più reale, è la sola cosa veramente reale, è dall'altro che l’esistenza è in gran parte fenomeno, manifestazione, apparenza e solo in parte realtà. È vero, dice Hegel, che nella vita quotidiana si attribuisce il nome reale a cose anche passeggere e difettose, ma basta pensarci un poco per capire che un’esistenza accidentale non merita il nome di reale, bensì di possibile, in quanto può esistere ma anche non – esistere. Veramente reale è, per esempio, non l’arcobaleno, ma le leggi fisiche che lo formano. Hegel chiama questo processo razionale, anche se supera i limiti e le funzioni della ragione. Perché? Per Hegel la ragione è anche un modo di pensare e di agire dell’essere umano, ma non il solo. Per Hegel la ragione si identifica con l’essenza di quella realtà di cui anche l’uomo è una manifestazione. Una razionalità che non sarebbe tale se non giungesse a conoscersi concettualmente. La conquista di questo sapere passa attraverso la natura e la storia; viceversa la natura e la storia portano alla conquista di questo sapere mediante l’Idea. Tutto questo sapere che si realizza pienamente nella filosofia. Per tale motivo il momento dialettico (negazione, movimento) è inseparabile dal momento speculativo: ossia della conquista del sapere assoluto. La ragione spiega, quindi, un sapere che nasce dal superamento degli opposti e che ne comprende l’unità dialettica, e si allontana da quelle forme di sapere (come la logica tradizionale e le scienze naturali) che derivano dall'intelletto e che, invece, si fermano agli opposti, irrigidendoli nella loro opposizione e considerandola come insuperabile e definitiva. In altre parole, possiamo dire che l’intelletto vede i finiti come termini ultimi, irriducibili, inconciliabili; la ragione comprende invece che nessuno dei finiti è autosufficiente, è veramente in sé, ma ciascuno richiede di essere compreso mediante gli altri, nell'unità dialettica e speculative degli opposti. A tale posizione Hegel non giunge in base alla risoluzione di problemi logici o metodologici, bensì in seguito allo studio approfondito del senso della storia. Ciò lo si comprende molto bene dai suoi Scritti teologici giovanili, dove cerca un nuovo concetto di filosofia che possa risolvere il problema del rapporto tra finito e infinito, e quindi le interne lacerazioni del mondo moderno, in maniera tale da potere riconciliare l’uomo e il mondo, Dio e l’uomo, Dio e il mondo. Secondo Hegel, infatti, con il tramonto del mondo classico la nuova mentalità ebraico-cristiana ha portato a contrapporre il mondo terreno a quello ultraterreno, e ha scavato tra l’uomo e Dio un solco invalicabile. Le filosofie che rimangono chiuse nell'ambito dell’intelletto corrispondono a questa lacerazione storico-politica-religiosa. Il superamento di tale posizione non si è avuta nemmeno dai più grandi pensatori moderni come Kant, Fichte e Jacobi. Ma afferma Hegel in Fede e sapere finchè tale superamento tra finito e infinito non verrà compiuto rimarrà sempre la concezione dell’infinito come “cattivo infinito”, ovvero come un qualcosa di irrealizzabile, come un qualcosa di al di là del raggiungibile. Sciogliere, dunque, la filosofia dai limiti dell’intelletto e portarla al livello della ragione significa passare a un concetto nuovo di infinito e cioè intenderlo non come semplice negazione dei finiti (gli uomini, le cose della natura, e le entità storiche), ma come la loro unita e conciliazione dialettica che si realizza nella storia.
Comprendere l’identità di razionale e reale significa non solo raggiungere un adeguato sapere filosofico, ma anche saper cogliere il significato più profondo della storia. Queste tesi hegeliane non sono però frutto di una metodologia; in questo caso di una metodologia che sembrerebbe dialettico-speculativa. Come dimostra la Fenomenologia dello spirito la conquista del sapere assoluto (o speculativo) è il risultato necessario dell’intero sviluppo della storia della coscienza umana e dei suoi modi di pensare, dalle forme più semplici a quelle più elevate come la filosofia, che non è più sapere proprio di questa o quella coscienza singola, ma sapere assoluto dove lo spirito ha finalmente trovato e compreso se stesso e la propria storia. Considerare il problema del metodo o il problema del criticismo rispetto alla verità significa semplicemente pensare che la verità esiste in sé e per sé indipendentemente dalla via in cui viene raggiunta. Ciò significa precludersi la conoscenza della verità che non sta nel soggetto o nell’oggetto, ma nella loro sintesi. Ma non per questo Hegel cade nell’errore dei romantici, secondo i quali la verità sta in una intuizione immediata, in un atto di fede o di sentimento: la verità è sempre ragione, è negazione degli opposti e loro superamento, è sintesi. Pertanto, non vi è verità senza ragione. La mediazione, la sintesi avviene all’interno dell’Assoluto. L’Assoluto non è una sostanza morta, ma è una sostanza che è anche soggetto, poiché ha in sé il principio del proprio movimento e della distinzione negli opposti e della loro unione nella sintesi. Questa sintesi è lo Spirito, che nel suo sviluppo ha una finalità ben precisa, che è quella della conquista graduale del sapere assoluto. Il problema della verità non  è più il problema posto dal soggetto rispetto all’oggetto; il problema della verità trova la sua più grande risoluzione nell’intero, ovvero nella dialettica che muove all’interno delle negazioni per sintetizzarle. Il processo di conquista del sapere implica l’intera storia dell’umanità: dal primitivo dispotismo che dà vita alla dialettica tra padrone e servo, al mondo greco idealizzato nelle grande figure della tragedia, allo stoicismo, allo scetticismo, alla coscienza infelice, fino alla cultura frivola del settecento e all’aridità della ragione illuministica, destinata a concludersi nel terrore, alla nuova moralità rigorista kantiana e alla incapacità dell’anima bella di realizzare il suo ideale di riconciliazione. Questo quadro storico non è però una sintesi, bensì è la dispiegazione dell’assoluto secondo una successione di gradi o, meglio, di figure della coscienza sempre più alte e complesse, di cui lo Spirito, alla fine, coglie la necessità e l’ordine in un quadro dialettico unitario. Dal cammino fenomenologico si giunge alla scienza del concetto come sapere puro, che conosce la necessità logica del proprio sviluppo, e in questo senso Hegel può definire la logica come speculativa. Oggetto della logica è infatti “la verità come essa è in sé e per sé senza velo”, ossia l’Idea pura, le leggi e le determinazioni del pensiero quali il pensiero dà a se stesso senza presupporli, o esserne dipendente. Ossia l’insieme di nozioni che permettono lo sviluppo interno, dialettico del pensiero puro. La logica si divide in tre parti: dottrina dell’essere, dottrina dell’essenza e dottrina del concetto.
Dottrina dell’essere. In questa prima parte della logica che concerne le determinazioni dell’essere come qualità, quantità e misura, si ha a che fare con categorie che passano l’una nell’altra, nel senso di avere una propria determinatezza, ma che tale si realizza soltanto in quanto ciascuna svanisce nella successiva. È quello che si vede all’inizio con la triade “essere, nulla, divenire”. Tale triade riconosce che la nozione di essere, presa in sé isolatamente, è del tutto vuota, non indica nulla in quanto ciò che conosciamo è sempre qualcosa di determinato, dotato di questa o quella qualità, quantità, ecc. Inoltre tale triade chiarisce che l’essere puro stesso, preso nella sua immediatezza, nella sua essenza più propria, si rovescia dialetticamente, passa necessariamente nel suo opposto, nella sua negazione, ossia nel non-essere, nel nulla; tutto questo non deve essere inteso però come se essere e nulla fossero dei termini sussistenti di per sé, di cui il divenire rappresenterebbe una sintesi estrinseca; al contrario, il divenire non è altro che il passare dell’essere nel nulla in un processo che si conclude con il superamento dei primi due termini nel terzo, dando luogo ad un ulteriore sviluppo del processo, a una nuova nozione; come dice Hegel, la sfrenata inquietudine del divenire precipita in un risultato calmo, e cioè nella quieta semplicità dell’essere determinato. Hegel quindi prende in esame il concetto di infinito sotto due aspetti: qualità e quantità. Nel caso della qualità Hegel si preoccupa di mostrare l’inadeguatezza di qualsiasi concezione dell’infinito che viene limitato o contrapposto al finito; un infinito che avesse qualcosa di fronte a sé come esterno, ne sarebbe limitato e sarebbe quindi esso stesso finito. avremmo quindi il cattivo infinito, poiché si dovrebbe andare oltre il finito. Nel caso della quantità afferma che una concezione sbagliata dell’infinito ha fatto si che esso venisse concepito come una progressione quantitativa infinita, ma il limite del quanto rinvia al di là di esso stesso a qualcosa che a sua volta è ancora un quanto e che per sua natura rinvia ulteriormente a un quanto, e così all’infinito in una contraddizione irrisolta.
La dottrina dell’essenza. In questa seconda parte della logica vengono esaminate quelle categorie che non passano più l’una nell’altra, ma si trovano in un rapporto relazionale intrinseco, per cui si riflettono l’una nell’altra avendo al proprio interno il momento della negazione e della mediazione. Pertanto, se prendiamo ad esempio, i termini positivo e negativo e li confrontiamo con quelli essere e nulla, vediamo subito la differenza. Il positivo preso di per sé non ha alcun senso, richiede infatti necessariamente e intrinsecamente il riferimento al negativo; e questo al positivo. Quindi nella dottrina dell’essere, l’essere svanisce nel nulla, e in questo svanire sia il divenire; che la quietitudine dell’essere determinato. Nella dottrina dell’essenza ogni termine è già determinato, ma è relativo al suo altro, cioè all’opposto. Pertanto non si ha un vero e proprio passare, perché nel passare del diverso al diverso, il diverso non scompare, ma i diversi non avrebbero significato se non relazionati tra loro. La dottrina dell’essenza si articola in tre sezioni e cioè, l’essenza in quanto appare in se stessa, l’essenza in quanto esce fuori di se e si manifesta come fenomeno, e infine l’essenza quale unità di essenza e fenomeno nella realtà effettiva. Nella prima parte fondamentale è la discussione sulle classiche categorie di identità (A=A), di non contraddizione (A=A diverso da B) e del terzo escluso (se A è A allora, posto che A è affermato non può essere B). Tale logica se è valida da un punto di vista intellettivo, perde di significato da un punto di vista razionale, ove la ragione muove da una dialettica che nella sua negazione sintetizza gli astratti opposti in una realtà.
La dottrina del concetto. In questultima parte viene studiato lo sviluppo intrinseco del concetto, termine che in Hegel non ha nulla a che fare con una concezione astratta, nominalistica o psicologica del pensiero, ma che costituisce una parte fondamentale della realizzazione dell’Idea. Anche questa dottrina si divide in tre parti che studiano rispettivamente la soggettività, l’oggettività e l’Idea. Anche nella dottrina del concetto però i vari tipi di concetto (universale, particolare, singolare) e di giudizio (positivo, negativo, infinito) vengono inclusi nel quadro del processo dialettico-speculativo, nel quale il concetto, attraverso la determinazione data dal giudizio come rapporto di soggetto e predicato tra le determinazione del concetto realizza la totalità sempre più complessa del sillogismo. Il sillogismo pertanto non è un semplice strumento argomentativi, bensì costituisce la dimostrazione del carattere intrinsecamente dialettico del concetto e quindi della sua oggettività, quale momento essenziale della realizzazione dell’Idea. L’oggettività a sua volta si esplica in tre gradi: meccanismo, chimismo, teleologia. Nella teleologia vediamo una ripresa della fisica aristotelica, per cui si ha una finalità interna. L’ultima sezione del concetto considera infine la realizzazione dell’Idea nei tre gradi dell’Idea della vita, dell’Idea del conoscere e dell’Idea assoluta. L’Idea del conoscere a sua volta si articola in Idea del vero e Idea del bene. La trattazione dell’Idea assoluta si conclude con il passaggio dalla logica alla filosofia della natura attraverso quella che Hegel chiama l’assoluta liberazione dell’Idea, ovvero la sua decisione di estrinsecarsi nello spazio e nel tempo, come natura.
La natura Nella parte della filosofia della natura, la natura rappresenta la realizzazione e l’estrinsecarsi dell’Idea per ritrovarsi come spirito. Tale estrinsecità non va però intesa come una semplice contrapposizione esterna tra la natura e l’Idea (quasi come tra una creatura e il creatore, o qualcosa di derivato e la sua fonte), bensì come estrinsecità dell’Idea a se stessa. A questo punto si acquisisce un criterio ben preciso per comprendere per comprendere l’articolazione e distribuzione della filosofia della natura, come ricostruzione dell’itinerario attraverso il quale l’Idea cerca di superare tale estrinsecità e di tornare a se stesso. Tale tentativo non verrà mai raggiunto in maniera completa e totale in quanto anche nelle forme di vita animale più complesse il rapporto tra l’individuo e l’universale non sarà mai un rapporto di conciliazione adeguata e completa quale si potrà avere solo nello spirito. Non si può fare quindi nessuna divinizzazione della natura, in quanto anche la forma più elementare di manifestazione dello spirito è già un fondamento della conoscenza dell’essere di Dio di gran lunga superiore a qualsiasi oggetto naturale. Hegel afferma che la natura ha una contraddizione insoluta e non è in grado a realizzare il concetto. Sottolineare i limiti della natura non significa però dimenticare che anch’essa costituisce un momento dello sviluppo dell’Idea e in quanto tale richiede una considerazione rigorosamente razionale e concettuale. Per tale motivo Hegel polemizza contro coloro che riducono la natura ad un sapere puramente intellettivo. Infatti se è vero che essa è esperienza è anche vero che nella natura il processo dialettico rimane fondamentale per capire che la verità si raggiunge a gradi, ove il successivo e meno completo del seguente e così via.
La Meccanica. Questa parte si apre con lo studio dei complessi rapporti dialettici tra spazio e tempo, considerati da Hegel i primi parametri dell’estrinsecità. Da tali parametri trovano risultato la nozione di luogo, movimento e materia. Si affronta quindi la meccanica finita con il suo movimento costituito da inerzia, urto e caduta. Si giunge quindi alla terza parte dedicata alla meccanica assoluta che tratta della gravitazione universale. Suo oggetto di studio è il sistema dei corpi celesti, ove i corpi celesti sono presi di per sé, e non tornati ancora all’unità organica del concetto. Per Hegel il sistema solare costituisce una forma di organismo che ha estrinsecato le sue parti, cioè non è un vero e proprio organismo in sé, in quanto l’unità (o idealità) delle sue parti è dato dal movimento.
La Fisica. Questa parte studia gli elementi della natura e il suo giungere alla vita. Questo processo, che innalza la materia al di sopra della gravitazione e culmina con la vita, viene studiata nella realizzazione di quella forma che è l’individualità. Individualità che però non è ancora organicità. Infatti tale individualità si manifesta in un rapporto di neutralizzazione e differenziazione degli opposti, che però non ha ancora il carattere di circolarità ed autonomia propria della vita.
La fisica organica. Questa parte con il termine organico comprende dei significati molto ampi, tanto che per organico si intende anche l’organismo terrestre, a cui è dedicata la prima parte. Quindi si passa alla trattazione degli organismi che hanno una propria individualità vivente, e che realizzano una reciproca funzionalità tra le proprie membra. Si parla pertanto delle piante e degli animali. Nelle piante questa organicità e individualità è ancora imperfetta, in quanto la pianta è sola un aggregato di individualità indipendenti e capaci di scindersi da essa; si realizza però pienamente negli animali, ove l’individualità è garantita dalla differenziazione sessuale e dalla capacità di riprodurre il proprio genere tramite un complesso e articolato rapporto con la natura esterna. Per quanto alta e perfetta questa vita però non si realizza quella negazione “ideale” dell’altro che solo con lo spirito e il sapere si realizza. Infatti questo grado di vita si esaurisce in un cattivo infinito, in quanto non si realizza un’autentica sintesi di unità e singolarità, ma solo in una continua ripetizione di un medesimo processo di riproduzione di altri individui.
Lo spirito soggettivo. Con il superamento della natura nello spirito, l’Idea che nella logica era sta concepita nel suo sé e nella filosofia della natura nella sua estrinsecità a se stessa, viene invece colta nel suo essere per sé, a partire dalle forme più embrionali della coscienza sino al sapere concettuale assoluto della filosofia. lo studio di questo processo, a cui è dedicata la terza parte delle Enciclopedia delle scienze filosofiche, si articola in tre sezioni concernenti rispettivamente lo spirito soggettivo, lo spirito oggettivo e lo spirito assoluto. Anche in questo caso si tratta di cogliere il nesso dialettico-sintetico tra lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo che si realizza con lo spirito assoluto, ovvero con arte, religione e filosofia. Infatti lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo, nella loro opposizione, sono ancora finiti, limitati e, richiedono quindi la sintesi (che si realizza con lo spirito assoluto). Lo spirito soggettivo rappresenta il momento di negazione della natura che si realizza a partire dalle forme più elementari di vita psichica, e via via nelle forme più elevate di sapere e di volere. Lo spirito oggettivo invece si realizza con la negazione dello spirito soggettivo nelle istituzioni, nella storia, e nell’eticità. Lo spirito soggettivo si attua con la sintesi dell’anima con la coscienza. E cioè lo spirito soggettivo si realizza in tale modo: anima + coscienza = spirito soggettivo. Ciò significa che lo spirito soggettivo è il risultato della sintesi dato dal processo dialettico che nega i due e li supera nella realizzazione dello spirito soggettivo. La filosofia hegeliana nega pertanto ogni forma di dualismo tra corpo e anima, tra sensibilità e ragione, e anzi cerca di cogliere lo sviluppo integrale della psiche umana, che nel suo primo momento (anima) getta le basi profonde nella corporeità. L’anima indica infatti tutto quel complesso di legami tra spirito e natura che nell’uomo si manifestano come carattere, come temperamento, come le varie disposizioni psicofisiche connesse alle diverse età della vita e alle differenze di sesso; è la vita nel sonno e nella veglia, dello sviluppo regolare della mente o delle sue deviazioni; è la vita psichica che culmina nell’abitudine come esercizio in cui l’anima prende veramente possesso del proprio corpo, delle proprie sensazioni, dei propri sentimenti, in modo da trasformarli in strumenti duttili e maneggevoli. A questo momento iniziale di identificazione con il proprio corpo segue un secondo momento opposto e antitetico, in cui lo spirito non solo tende a distinguersi dal proprio corpo, ma anche dall’individualità particolare e dal mondo sensibile e naturale: è il cammino della coscienza all’autocoscienza, gia descritta nella Fenomenologia dello spirito, e dove gioca un ruolo importante la dialettica servo–padrone. Dopo che la coscienza penetra la natura scoprendone le leggi e capendo che in tale leggi si ha un principio intelligibile analogo a sé, la coscienza tende ad innalzarsi a libera autocoscienza mediante il riconoscimento dell’altro. Questo riconoscimento avviene con il conflitto tra due autocoscienze, ognuna delle quali si pone come assoluta contro l’altra; cade nello stato di servitù colui che sceglie la vita a posto della libertà, e che pertanto preferisce la servitù alla morte. La condizione di servitù e il conseguente obbligo di lavorare per il padrone portano il servo a negare, mediante il lavoro, la propria singolarità e l’egoismo del proprio appetito naturale. Singolarità ed egoistico appetito naturale di cui invece rimane prigioniero il padrone. Per cui il prodotto del lavoro non è altro che il termine di tale fruizione o negazione del servo rispetto al padrone. Il prodotto è il risultato della modificazione apportata dal soggetto, e viceversa ogni modificazione dell’oggetto è apportata dal soggetto. Attraverso ciò il servo giunge alla propria autocoscienza, in quanto coscienza di chi lavora. Il terzo momento è quello dello spirito soggettivo vero e proprio, che unifica in se i due opposti, e cioè l’anima come attività produttiva inconscia e la coscienza come sapere. Tale unità si ha nell’intelligenza come sapere produttivo e conscio insieme. All’intelligenza che si realizza come momento teoretico si contrappone un momento pratico (ma sempre soggettivo), che è la volontà di autodeterminazione: è la vita degli impulsi e del libero arbitrio, come possibilità formale di fare o di non-fare qualcosa. Dalla sintesi di intelligenza e volontà si giunge allo spirito soggettivo vero e proprio. Lo spirito soggettivo è libero (in quanto volontà) e sa (in quanto intelligenza) di essere libero. Questa sul libertà però si può realizzare solo con un ulteriore passaggio dialettico, ovvero nello spirito oggettivo.
Lo spirito oggettivo. Lo spirito oggettivo è il mondo della storia e delle istituzioni. Hegel, polemizzando contro il romanticismo che affermava che la storia doveva essere compresa nel mondo del linguaggio, della poesia e del mito, afferma che non vi può essere storia là dove non vi sono istituzioni, ovvero dove lo spirito non si sia realizzato solo in maniera soggettiva mediante il linguaggio, ma anche in rapporti oggettivi come quelli giuridici-politici. Questi rapporti non sono però il frutto di contratti sociali, o di accordi tra uomini. Al contrario le istituzioni si possono avere solo all’interno di un tessuto storico (costume, ethos) che costituisce la seconda natura non traducibile in principi astratti o generici, ma corrisponde alla vita spirituale di un singolo popolo in una fase determinata del processo storico. Perciò il momento più alto dello spirito oggettivo è l’eticità come sintesi dei due momenti anteriori e tra loro opposti: il diritto e la morale. Il diritto corrisponde all’esistenza del singolo sotto il piano formale. La moralità invece rappresenta l’interiorizzarsi del volere non come semplici rapporti esterni in ossequio alla legge, o al diritto; bensì rappresenta l’interiorizzarsi del volere come intenzioni e propositi. Tuttavia la moralità chiusa e isolata in sé stessa finisce per scomparire in una soggettività astratta che vuole il bene generico, universale, senza aggancio con il mondo dei doveri e dei diritti. Quindi la moralità chiusa si supera nell’eticità come libertà diventata consapevole di sé, come unità di essere e di dovere essere che si realizza nello spirito di un popolo. La storia viene pertanto vista da Hegel in secondo una sua intrinseca razionalità. L’eticità si distingue in una articolazione dialettica che vede la famiglia, la società civile e lo stato. La società civile si articola in classi e in diverse forme di lavoro, si dispiega in una serie di funzioni e di organismi che vanno dall’amministrazione della giustizia alle corporazioni che devono garantire all’individuo il suo riconoscimento all’interno di una collettività. Lo stato a sua volta è la sintesi della famiglia e della società civile. Se sul piano concettuale sembra che lo stato appaia come il risultato di due momenti precedenti, sul piano dell’Idea lo stato è il divaricarsi in questi due momenti. L’individuo pertanto trova oggettività, eticità e verità solo all’interno dello stato.
Lo spirito assoluto. Se lo spirito vive negli stati e nei popoli, e se questa vita è essenziale perché lo spirito si attui concretamente come libertà, in queste sue realizzazioni vive però ancora in modo essenzialmente oggettivo, e cioè senza un sapere pieno e assoluto del significato della propria vita e del proprio sviluppo. Questo sapere, come conciliazione autentica tra finito e infinito, può essere attinto nelle tre “forme” dello spirito assoluto, arte, religione e filosofia, identiche per il loro contenuto (che è appunto l’Assoluto, l’integrazione dialettica di finito e infinito), ma diverse per il modo in cui lo esprimono e comprendono. Nell’arte, essendo l’opera d’arte finita e sensibile, lo spirito coglie l’Assoluto come sapere immediato che consiste nell’intuizione della forma sensibile come segno dell’idea. Nella religione, al contrario, l’Assoluto viene colto nella rappresentazione; ovvero la religione va oltre l’immagine che è sempre legata al sensibile, e trasferisce tutto sul piano dell’universalità e del pensiero. Tuttavia la rappresentazione anche se tenta di negare l’immagine e il sensibile, non vi riesce in maniera completa, pertanto la religione rimane sospesa tra l’intuizione e il pensiero. Ciò significa che il rapporto tra l’uomo e Dio rimane sempre un rapporto contraddittorio e dualistico, senza che si arriva alla loro autentica conciliazione sul piano del sapere. Perciò la religione non può essere l’ultima forma dello spirito, ma deve essere superata nella filosofia, dove l’Assoluto passa nella forma del concetto, l’unica forma completamente adeguata per la verità, l’unica forma in cui lo spirito è veramente per se stesso. Tra arte, religione e filosofia si ha un rapporto dialettico che si manifesta nel processo storico, per cui dall’arte alla religione, e dalla religione alla filosofia. L’arte nasce in oriente e vede come sua massima espressione la sfinge, che con la sua figura enigmatica (tra uomo ed animale) corrisponde ancora ad una concezione inadeguata e confusa che lo spirito ha di se stesso. Con un passaggio dialettico lo spirito arriva nelle polis greche a contrapporsi dalla natura, quindi si contrappone alle divinità della terra e del sangue con quelle etiche della vita dello Stato. Quindi si ha l’arte classica che si manifesta come perfetta corrispondenza tra lo spirito e la sua espressione sensibile, nasce la rappresentazione plastica della figura umana. Con la morte delle polis e della società greca si ha il Cristianesimo, nuova religione ove lo spirito si riconosce come interiorità. L’arte diventa quindi un’arte intrinsecamente romantica in quanto si distacca sempre più dal sensibile e avverte l’impossibilità di esprimere adeguatamente lo spirituale nel sensibile. Si ha la cosiddetta morte dell’arte in quanto questa avverte l’impossibilità di esprimere lo spirituale. Arte che viene soppiantata dalla religione e dalla filosofia. Hegel distingue tra religione precristiane ed extracristiane, che si autoescudono a vicenda, e religione rivelata e assoluta, quella Cristiana, che ne supera le unilateralità. Quanto alle prime si possono ricordare le religioni naturali o immediate, diffuse soprattutto nel mondo orientale e ove l’unione tra naturale e spirituale viene colta con divinità dalle varie forme. Quanto alla religione rivelata o assoluta Hegel dice che essa riprende lo schema trinitario e la concezione storica salvifica che coinvolge la natura, la caduta, l’incarnazione, la redenzione e il costituirsi della comunità dei fedeli. La religione in questo modo rappresenta l’unione globale e conclusiva dell’unita della natura umana e divina e del carattere divino dello spirito. Quindi Hegel non sottolinea solo il carattere speculativo della religione, ma rivendica il suo strettissimo rapporto con la filosofia. Essa infatti è l’esplicazione concettuale del contenuto assoluto manifestatosi nella religione. Tutto questo però non deve fare pensare ad un carattere mistico della filosofia, in quanto essa è sempre razionalità che si identifica nella dialettica negativa che supera l’opposizione e la sintetizza nella più alta realtà dell’unità. Inoltre la filosofia non è altro che il proprio tempo appreso con il pensiero al punto che la filosofia non può mai andare oltre il proprio tempo. Pertanto la serie dei sistemi filosofici, quale si rivelano nella storia, coincide con la successione delle determinazioni che lo spirito ha dell’Idea. Quindi la storia della filosofia sarebbe la storia della riappropriazione del concetto dell’Idea. 

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