sabato 14 luglio 2012

Friedrich Nietzsche


Friedrich Nietzsche nasce a Lipsia il 14 Ottobre del 1844. Il suo primo scritto risale al 1872 e prende il titolo di La nascita della tragedia dallo spirito della musica; di poco successive (1873-1876) sono le sue Considerazioni inattuali, tra cui particolarmente importante quella Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Muore nel 1900 a seguito delle varie crisi psichiche che ebbe. Dal 1878 iniziano le opere volte a mettere in luce il carattere mistificante di tutte le forme di morale e a scoprire le radici nichilistiche della civiltà europea. Si hanno quindi (1878) Umano, troppo umano; (1881) Aurora; (1882) Gaia scienza ove si ha la teoria dell’eterno ritorno; quindi, si ha Così parlò Zarathustra (1883-1885); Al di là del bene e del male (1886) e l’ultima sua opera, postuma, pubblicata in maniera arbitraria dalla sorella e dall’amico Peter Gast La volontà di potenza.
Per Nietzsche come per molti altri filosofi tedeschi il rapporto con la Grecia è fondamentale, anzi in Nietzsche si ha la convinzione che la nuova cultura tedesca potrà trovare la propria strada solo rapportandosi in maniera critica con la cultura greca. La Grecia che Nietzsche prende in esame non è però quella socratico-platonico-aristotelica, bensì la Grecia dei presocratici, la Grecia del VI secolo a.C. , la Grecia della tragedia antica, dove ancora predominava il coro. In questo senso il suo studio va oltre una mera ricerca storico-filologica della Grecia, e si pone come ricerca delle radici della civiltà europea. Civiltà europea che viene ricondotta a due momenti essenziali: il dionisiaco e l’apollineo.
Il dionisiaco indica una sorta di ebrezza e di esaltazione (di cui la danza è una delle espressioni più tipiche) che travolge e supera i confini delle singole individualità, riportandole all’unità più profonda del reale.
L’apollineo scaturisce, invece, da una visione di sogno e tende a tradurre il senso oscuro delle cose in una serie di figure luminose, fredde ed equilibrate che troveranno la loro sede più naturale nella scultura e nella poesia. Queste figure plastiche e artistiche, con cui troppo spesso si è voluti erroneamente identificare la grecità, rappresentano, per Nietzsche lo sforzo compiuto dai greci per superare il dolore dell’esistenza, ovvero come prodotti necessari dell’audacia di chi ha voluto guardare nelle terribili profondità della vita.
Con Euripide però alla tragedia viene tolto il suo carattere dionisiaco e viene immessa la morale e la concezione del mondo intellettualistica di Socrate. Tale trasformazione si traduce nella proibizione di guardare negli abissi dionisiaci e in una fede ottimistica nella dialettica, nella morale e nel sapere. Si impone, quindi, con Socrate la convinzione che la virtù sia sapere e soprattutto l’illusione che il pensiero non solo è capace di sondare e conoscere a fondo la realtà, ma, anche, che il pensiero possa correggere e dominare la realtà. Socrate viene ad essere, pertanto, l’asse della “cosiddetta storia universale”, perché Socrate è l’iniziatore, il prototipo, dell’ottimismo teoretico che attribuisce alla conoscenza e al sapere la virtù di medicina universale. Ma questo atteggiamento ha comportato il giudicare la vita secondo dei criteri astratti, che ha come conseguenza il dire no alla vita. Socrate, in poche parole, apre un’epoca di decadenza in cui noi tuttora viviamo. Per Nietzsche la decadenza, e il rifiuto della vita, nella civiltà occidentale hanno raggiunto una forma estrema nell’età moderna, e soprattutto nella filosofia hegeliana con la sua mentalità storica. L’eccessivo interesse per il passato, il vivere nel ricordo non fa che distruggere la personalità dell’uomo e impedirne ogni libera e nuova esplicazione. Credere nella storia, come forza portante della vita e come criterio del suo significato, significa sacrificare le più genuine energie dell’uomo ad una astratta ed inesistente idea di umanità in generale, significa tagliare le gambe ad ogni possibilità di autentico futuro. In maniera più specifica occorre distinguere tre possibili atteggiamenti di fronte alla storia: quello che considera la storia in maniera monumentale, in quanto gli eventi storici possono servire da stimolo e da modello all’azione del presente; quello che guarda alla storia in modo antiquario, in quanto cerca di conservare il passato che ritiene unico fondamento del presente, ciò significa che il passato viene vissuto come un tessuto collante in cui si trovano valori permanenti costitutivi della nostra società; quello, infine, critico che si rivolge alla storia con intenti di rottura, di distruzione dei suoi elementi codificati e cristallizzati, elementi questi che impediscono il realizzarsi di nuove forme di vita. Solo quest’ultimo elemento permette secondo Nietzsche di potere creare nuovi valori e di potere liberare l’uomo da una mentalità decadente e ripetitiva. L’atteggiamento critico di Nietzsche verso tutto quanto il decorso storico, porta questo filosofo a dare un giudizio negativo di tutto quanto il pensiero che parte da Socrate e giunge ai giorni nostri. In tale giudizio negativo rientra anche il Cristianesimo. Mentre l’affermazione dell’elemento dionisiaco e del tragico è stato sempre una rivendicazione alla vita e all’arte, tanto che nell'Origine della tragedia Nietzsche afferma che il mondo è tollerabile solo come fenomeno estetico; il Cristianesimo, fino a quando è rimasto autentico, ha condannato l’arte e l’apparenza, in altre parole, ha condannato la vita pretendendo di poterla giudicare in nome di certi valori. La stessa ricerca dell’aldilà, di un mondo che sta dietro questo mondo, è espressione di un disgusto nichilistico per la vita; e in questo senso il Cristianesimo è l’estrema prosecuzione dell’ellenismo come dimostra anche il fatto che si è intriso di platonismo. Il platonismo con il suo iperuranio e con le sue idee immutabili ed eterne ha giudicato come apparente e transeunte questo mondo, tanto che ha usato l’iperuranio come criterio e prototipo di fondazione di questo mondo. In questo senso Cristianesimo e platonismo non sono altro che successive manifestazioni di questo dire no alla vita, di questo atteggiamento nichilistico, che ha determinato l’intero decorso della storia europea e che è ormai giunto all’estremo con la malattia storica e con la totale caduta dei valori su cui si era fondata la civiltà greco-ebraico-cristiana. In questa linea di pensiero si inserisce la celebre tesi nietzschiana secondo cui Dio è morto. Tale tesi si distingue da qualsiasi forma tradizionale di ateismo. Per Nietzsche, infatti, non si tratta di porre in astratto la questione se Dio esista o meno, secondo i principi universali della ragione, semplicemente perché tali principi non esistono, e si devono spiegare solo come il frutto di una necessità biologica, ovvero una sorta di errore necessario per la sopravvivenza. La logica non è, quindi, un organo della verità quale appare alle scienze o alle filosofie tradizionali. Parlare della morte di Dio significa invece dare una valutazione critica di un processo storico che si è venuto compiendosi e che è culminato con il nichilismo. L’atteggiamento di Nietzsche verso il Cristianesimo è un atteggiamento molto complesso in quanto egli distingue quella che era la vera predicazione di Cristo, in cui mai affiora traccia di odio o risentimento per la vita, dal successivo indirizzo impresso al Cristianesimo da San Paolo, considerato il responsabile della contrapposizione tra fede e opere, tra anima e corpo, tra spirito e carne, tra vita celeste e vita terrena e quindi dell’interpretazione nichilistica (negatrice della vita terrena) del messaggio di Cristo. È da dire che da Nietzsche sono più apprezzate le forme originarie di Cristianesimo, più vigorose e radicali, rispetto alla successive elaborazioni, troppo complesse e sostanzialmente inclini al compromesso. La morte di Dio è, afferma Nietzsche, un avvenimento tremendo e sconvolgente perché segna il crollo di un’impalcatura di credenze e di certezze su cui gli uomini hanno basato la loro vita per due millenni e che non sono per nulla preparati a sostituire. Nel quadro della valutazione complessiva della civiltà europea diventa allora possibile comprendere rettamente la posizione di Nietzsche di fronte alla morale. Quando, infatti, Nietzsche si professa immoralista o invita ad andare al di là del bene e del male o auspica un rovesciamento dei valori, non intende distruggere valori morali esistenti e accettabili come tali, ma al contrario vuole mostrare l’insostenibilità di vecchie tavole di valori, che gli appaiono come semplici codificazioni di quel no alla vita che è il nucleo sostanziale del nichilismo. Proprio perché il nichilismo è stato negativo di fronte alla vita occorre dunque negare o, come si direbbe oggi, demistificare il nichilismo, i suoi presunti valori e le sue effettive deformazioni. Il nichilismo stesso se ben interpretato è un segno di forza, un sintomo del fatto che l’energia dello spirito è cresciuta al punto da non considerare più adeguati i fini finora perseguiti, e ciò spiega il fatto che dalla diagnosi del carattere nichilistico della società europea Nietzsche passa alla predicazione del superuomo. Per comprendere realmente il concetto di superuomo bisogna ricordare che Nietzsche critica la civiltà greco-cristiana per la sua malattia storica, che può essere superata solo con l’annuncio del nichilismo e della morte di Dio. Questo discorso non si prefigura come una nostalgia per uno stato originario dell’uomo al quale si potrebbe o dovrebbe tornare. L’uomo infatti è stato troppo deformato da secoli di civiltà per potere ritornare a uno stato di innocenza e felicità primitiva. Al contrario la sua unica possibilità di salvezza sta nel compiere un esperimento, nel tentare di andare oltre il suo stadio attuale, inventando una forma di vita più alta, più piena e più felice. In questo senso Zarathustra afferma “ io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato”. Il superuomo cioè indica un nuovo tipo di uomo che deve nascere dal superamento del nichilismo mediante una sorta di salto, di mutazione, come si direbbe in un linguaggio biologico, esattamente come l’uomo può essere ritenuto il risultato di un superamento qualitativo della pura animalità. Non è possibile anticipare e prevedere però i tratti del superuomo, se non dire soltanto che sarà l’uomo dal grande disprezzo, ossia del completo rifiuto di quelli che sono stati considerati finora come valori (giustizia, verità, compassione, ecc.) e che, in realtà, nascevano da una prospettiva nichilistica destinata a tenere l’uomo lontano dalla felicità. L’intero discorso di Nietzsche si inserisce in una concezione cosmica ben precisa e cioè la negazione di qualsiasi presupposto teologico, antropologico dell’universo: la terra e l’universo non hanno alcun senso, se non quello che di volta in volta dà l’uomo ad essi. L’universo non ha senso perché, contrariamente alla concezione ebraico-cristiana, non ha né un inizio né una fine né un fine, ma è sostanzialmente eterno ritorno dell’identico; un eterno ritorno dell’identico privo di qualsiasi bontà e razionalità, contrariamente a ciò che affermavano gli stoici, e ciò perché bontà e razionalità sono finzioni e funzioni biologiche, strumenti di sopravvivenza strettamente legati alla prospettiva dell’uomo. In questo quadro si inserisce anche la sua dottrina della volontà di potenza, che non è il desiderio di affermarsi sugli altri con la forza, bensì è la scoperta e la messa in atto delle infinite potenzialità insite nell’uomo e rimaste per secoli mortificate e trascurate in ossequio a valori puramente negativi. Proprio perché nell’universo non vi è nulla che possa o si debba subordinare alla vita nelle sue infinite potenzialità, occorre dedicarsi pienamente al loro sviluppo, e da questo punto di vista la più grande colpa dell’uomo è quella di non avere voluto essere abbastanza felice. 

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