Con
il termine strutturalismo si definisce una corrente di
pensiero che si sviluppa a partire dal secondo dopoguerra e che ha
diffusione in special modo in Francia nel campo della critica
letteraria, dell'antropologia, dell'etnologia, della psicologia,
della sociologia e del marxismo. Un contributo importante allo
strutturalismo proviene dalla scuola dei formalisti russi,
dalla scuola linguistica di Praga e dagli studi
semiotici sviluppatesi negli Stati Uniti d'America. Di notevole
importanza sono anche gli apporti della psicologia della forma e
della sociologia ad opera di Durkheim.
Tutti
questi contributi si sono finalizzati al superamento delle concezioni
puramente associazionistiche e atomistiche della vita psichica e
della realtà sociale.
Lo
strutturalismo non si viene a configurare come una vera e propria
scuola, bensì come un indirizzo di pensiero a cui contribuiscono
varie personalità. Tutte queste concepiscono la realtà come delle
totalità, ossia come delle strutture, all'interno
delle quali le parti si costituiscono e acquisiscono significato e
assumono un certo valore. Possiamo, a chiarimento di ciò, fare
l'esempio con una scacchiera, dove un pezzo ha un certo valore perché
rientra in quel determinato gioco con delle precise funzioni, e non
per la sua qualità intrinseca di essere un pezzo di legno, di
avorio, di metallo, di ceramica, ecc.
Ciò
non significa che la struttura sia un qualcosa di statico, ma
chiarisce soltanto il fatto che ogni sistema è costituito ed è
regolato strutturalmente, ossia secondo delle regole di quella
struttura specifica, che sono, al contempo, il criterio della sua
permanenza e della sua variazione.
Ferdinand
De Saussure (1857 – 1913), linguista svizzero, fu autore di un
importante Corso linguistico generale, postuma, del 1916.
L'opera
di De Saussure nasce dall'intento di portare la linguistica a livello
di scienza tramite il metodo dello strutturalismo. Egli non rinnega
la validità e gli importanti contributi apportati in campo
linguistico dalle correnti romanticistiche e storicistiche. Ritiene,
però, che esse si siano soffermati e basati sostanzialmente su un
metodo comparativo, senza affrontare il problema di cosa
effettivamente sia e costituisca il fatto linguistico. Per adempiere
a tale fine bisogna effettuare una distinzione ben precisa tra ciò
che nel linguaggio è stabile da ciò che è in evoluzione e da ciò che è individuale da ciò che è sociale. Bisogna, inoltre, chiarire che
il linguaggio si differenzia tra lingua e parola. La
lingua, infatti, è un qualcosa di sociale, dotata di una propria
struttura che non dipende dall'uso del soggetto parlante, ossia dalla
parola. Inoltre, la lingua esiste all'interno di una comunità come
un insieme di segni che possono essere studiati in modo oggettivo.
In
tal senso la lingua è una vera e propria “istituzione sociale”,
analoga alla scrittura, all'alfabeto dei sordomuti, ai riti
simbolici, ai segnali militari, e, in quanto tale, deve essere
considerata all'interno di quella disciplina che prende il nome di
semiologia, ossia come studio della vita dei segni nella vita
sociale. Per quanto concerne il segno linguistico bisogna evitare una
concezione della lingua che la riduca a semplice nomenclatura, ossia
ad una semplice lista di termini corrispondenti ad altrettante cose.
Ed infatti, il segno linguistico non connette una cosa ad un nome,
ma, più precisamente, un concetto ad una immagine acustica.
L'immagine acustica, a sua volta, non è il suo suono materiale, come
realtà puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono. Il
segno linguistico, quindi, è una entità psichica a due facce
(concetto ed immagine linguistica) che non deve essere
ridotto, come avviene spesso, all'immagine acustica. Per evitare
qualsiasi tipo di confusione e di ambiguità in merito bisogna
“conservare la parola segno per designare il totale, e di
rimpiazzare concetto ed immagine acustica rispettivamente con
significato e significante, poiché questi due ultimi termini hanno
il vantaggio di rendere evidente l'opposizione che li
separa tra di loro, sia dal totale di cui fanno parte”.
La
linguistica si esprime nella forma della sincronia e della
diacronia. La prima studia i segni secondo l'asse della
simultaneità, la seconda secondo l'asse della successione, ciò
significa che i segni vengono studiati o nella loro evoluzione o
prescindendo da essa.
L'evoluzione
interessa sempre un sistema ben preciso retto da regole logiche e
psicologiche. Conseguentemente il sistema linguistico muta sempre nel
suo complesso, anche se tale mutamento può iniziare da una delle sue
parti piuttosto che da un'altra.
La
lingua, infatti, non è l'espressione di un pensiero già formato in
sé, ma piuttosto il risultato di differenze concettuali e foniche
che si stabiliscono e che si definiscono all'interno di quel sistema
che è la lingua stessa.
Inoltre,
un segno non ha importanza per quello che rappresenta in sé, ma
piuttosto per quello che lo differenzia da tutti gli altri, alla
stessa maniera di un pezzo di scacchi che assume una funzione ben
precisa non mai in maniera isolata, ma solo all'interno di quel
gioco, in rapporto alla funzione degli altri pezzi.
Un
segno, quindi, acquisisce senso soltanto all'interno di un contesto
sociale, ossia nell'uso e nel consenso generale. Uso e consenso che
vanno al di là del singolo individuo, che, a sua volta, giunge a
tale senso solo dopo un faticoso esercizio di apprendimento.
In
tale prospettiva la linguistica può istituirsi come scienza. Ed
infatti, essa riconosce l'arbitrarietà e la socialità della lingua
come un sistema costituito e regolato da strutture formali autonome e
costanti.
Claude
Levi – Strauss (1908 – 2009) fu un etnologo francese. Tra le
sue opere abbiamo: Le strutture elementari della parentela,
del 1949; Tristi tropici, del 1955; Antropologia
strutturale, del 1958; Il pensiero selvaggio, del 1962; Il
crudo e il cotto, del 1964; Dal miele alle ceneri, del
1966; L'origine delle buone maniere a tavola, del 1968; L'uomo
nudo, del 1971; Antropologia strutturale due, del 1973; Lo
sguardo da lontano, del 1983; Parole date. Le
lezioni al College de France e all'Ecole pratique de hautes etudes,
del 1951 – 1982, pubblicate nel 1984 e, infine, La vasaia
gelosa. Il pensiero mitico delle due Americhe, del 1985.
Per
Levi – Strauss le condizioni che hanno permesso alla linguistica di
istituirsi come scienza, ossia il considerare la lingua come una
struttura che ha carattere di sistema, dove una qualsiasi
modificazione al suo interno comporta la modificazione di un
qualcos'altro, lascia aperta il passaggio dalle scienze esatte alle
scienze umane, permettendo cosi' di garantire scientificità
all'antropologia e all'etnologia.
La
vita delle comunità arcaiche e primitive può essere, infatti,
studiata in chiave comunicazionistica. Ciò perché la comunicazione
non deve avvenire necessariamente mediante l'uso di segni
linguistici, ma può attuarsi anche tramite scambi simbolici, come
avviene nei rapporti di parentela.
Da
tale punto di vista diviene possibile andare a costruire dei modelli
rigorosamente logici che spiegano i costumi matrimoniali e i
conseguenti rapporti di parentela (marito – moglie, fratello –
sorella, padre – figlio, zio materno – figlio della sorella,
ecc.) e, più in generale, consentono di prevedere le conseguenze
delle modifiche dei termini nei modelli stessi.
In
questa maniera l'antropologia e l'etnologia diventano una sorta di
psicologia più complessa che permette di portare alla luce i modelli
fondamentali in cui si organizzano in maniera inconsapevole le
società. Modelli che non sono ovviamente infiniti e che conservano
una certa costanza e similarità sia nei popoli detti civili, che in
quelli detti primitivi.
Jacques
Lacan (1901 – 1981), fu psicoanalista e filosofo francese,
autore degli Scritti, del 1966 e a partire dal 1973 dei
Seminari.
L'opera
di Lacan è finalizzata allo sviluppo delle opere di Freud mediante
le conquiste della linguistica strutturale. L'applicazione del metodo
strutturale alla psicoanalisi di tipo freudiana è indirizzata
all'istituzione di quest'ultima a disciplina scientifica.
In
maniera più esatta, si tratta di mettere in evidenza che la
psicoanalisi si basa su una concezione dell'inconscio come
linguaggio. Conseguentemente le opere di Freud possono essere
considerate dei testi di linguistica ante litteram.
Solo
in questa maniera possono essere superate le varie concezioni
limitative e superficiali del concetto di inconscio, che è stato
interpretato come un ostacolo alla realtà, come una delle tante
stratificazioni dei diversi piani del soggetto o, ancora peggio, come
una sorta di conflitto tra la sfera istintiva e le forze psichiche.
Questo
nuovo punto di vista porta ad interpretare l'inconscio per quello che
realmente è, ossia un discorso intersoggettivo e sociale. Per potere
avviare una reale scienza del soggetto bisogna, però, svincolarsi da
quelle dottrine che affermano l'autonomia del soggetto. Ed infatti,
si deve tenere sempre presente che nel formarsi della coscienza del
fanciullo incide in maniera decisiva l'insieme dei simboli in cui si
è costituito il discorso umano nella storia e nella società. Da
questa prospettiva divengono perfettamente spiegabili in maniera
adeguatamente simbolica e sociale anche tutti quei problemi
squisitamente psicoanalitici, a partire dal complesso di Edipo, che
rappresenta il dramma dell'uomo nel suo sforzo di diventare soggetto,
di entrare nell'ordine sociale. Soggetto che può divenire sociale
solo se si inserisce in un ordine simbolico già ben strutturato,
ossia in un regno della cultura che è andato a soppiantare quello
della natura e dove il padre rappresenta la legge della società con
tutti i suoi divieti.
La
rilettura operata da Lacan dell'opera di Freud diviene più chiara se
si tengono conto dei motivi hegeliani della Fenomenologia dello
spirito, ossia della dialettica dell'appetito e del rapporto
coscienza – autocoscienza – riconoscimento, da lui utilizzati.
In
altri termini, il discorso intersoggettivo, entro il quale la
coscienza si costituisce, è animato dalla forza dell'appetito, ossia
dal desiderio di essere riconosciuto dall'altro.
Tale
desiderio è realizzabile solo tramite il linguaggio, e cioè
mediante il mondo dei simboli, che comporta l'umanizzazione o la
disumanizzazione del soggetto, che attraverso i simboli cerca di
realizzarsi o che si allontana necessariamente da se stesso.
L'uomo,
quindi, scopre l'importanza dell'altro per la formazione della
propria coscienza. Tutto quanto abbiamo detto, pertanto, si
sintetizza nella concezione che l'uomo sia una struttura, una rete di
simboli, che vuole essere riconosciuto nel suo rapporto con l'altro.
Tra psicoanalisi e linguistica si viene ad instaurare una inevitabile
collaborazione metodologica. Ciò perché entrambi studiano il
simbolo come sintomo.
Michel
Foucault (1926 – 1984) fu autore della Storia della follia
nell'età classica, del 1963; de Le parole e le cose, del
1966; della Nascita della clinica, del 1969; de
L'ordine del discorso, del 1970; de L'archeologia del
sapere, del 1976; de L'uso dei piaceri, del 1984 e de
La cura di sé, del medesimo anno.
Foucalt
giunge ad una critica radicale delle scienze umane e del loro
oggetto. Inoltre, la sua opera è intrisa di una serie di analisi
suggestive riguardo alla storia della medicina e della scienza, della
filosofia e del pensiero economico, dell'arte e della letteratura.
La
sua opera, però, non ha un intento meramente storico circa l'origine
delle scienze e delle idee. Per Foucault, infatti, si tratta di
effettuare una “archeologia del sapere”.
L'archeologia
del sapere è un tipo di studio di stampo strutturalistico sia dei
sistemi di simultaneità sia di mutazioni necessarie che hanno
determinato profonde variazioni culturali all'interno di un certo
campo epistemologico e di una certa concezione del sapere. Una
ricerca, quindi, che intende studiare le diverse condizioni, o,
ancora meglio, dell'a priori storico che ha portato il sapere a
configurarsi via via in modo diverso sia dal punto di vista
metodologico quanto nel suo concretizzarsi nelle varie e diverse
forme di conoscenza empirica.
Seguendo
questo metodo di studio Foucault ravvisa due grandi discontinuità
nell'episteme della cultura occidentale. La prima è quella
inaugurata nell'età classica della scienza moderna, ossia nel XVII
secolo, ed è tutta incentrata sul concetto di rappresentazione e
sulla concezione della scienza come sistema di rappresentazioni
regolate da relazioni reciproche. L'altra ha avuto come presago Kant,
che ha posto le domande “che cosa posso sapere, che cosa devo
fare, che cosa posso sperare?”. A questi tre quesiti ne va
aggiunto un altro, e cioè “che cosa è l'uomo?”. Questo
quesito inizia ad essere posto agli inizi del XIX secolo e segna
l'avvento del sonno antropologico. Caratteristica di
quest'epoca, la nostra epoca, o, meglio ancora, dell'epoca che oggi
volge al tramonto, è il diffondersi di un profondo senso di
storicità che investe ogni campo del sapere e che ha tolto al
linguaggio rappresentativo il posto privilegiato che aveva riservato
nell'epoca precedente. Ciò ha posto per la prima volta al centro del
sapere l'uomo e con ciò ha promosso lo sviluppo delle scienze umane.
L'uomo è, pertanto, per Foucault una invenzione estremamente recente,
una sorta di “lacerazione nell'ordine delle cose, una semplice
piega nel nostro sapere che sparirà non appena questo non avrà
trovato una nuova forma”.
La
controprova di ciò è data dal carattere fortemente ambiguo delle
scienze umane, che si trovano sospese tra l'empirico e il
trascendentale, tra la scienza esatta (che pretende di fondare) e la
filosofia (che pretende di sostituire e occuparne il campo).
Ciò
avviene perché le scienze umane sono rimaste ancora legate ad una
concezione della scienza come sistema di rappresentazioni, pur
essendo ormai scomparsa la fiducia riservata nell'età precedente al
valore scientifico assoluto del linguaggio rappresentativo.
Dalla
condanna delle scienze umane si salvano però la psicoanalisi,
l'etnologia e la linguistica. Psicoanalisi ed etnologia, infatti,
operano in maniera del tutto opposta alla scienze umane. Ed infatti,
mirano a ciò che sta al di là della rappresentazione. La
psicoanalisi si rivolge all'inconscio, che interpreta come momento
inaccessibile alla conoscenza teorica e ne fa emergere quelle che
sono le figure fondamentali ( la Morte, il Desiderio e la Legge).
L'etnologia, invece, interrompe il discorso cronologico della
continuità storica per individuare le correlazioni sincroniche, le
invarianti di struttura delle diverse culture.
La
psicoanalisi e l'etnologia, quindi, si salvano dal naufragio delle
scienze umane e fanno emergere i limiti di queste ultime. Ciò perché
la psicoanalisi e l'etnologia lavorano alla dissoluzione dell'uomo, e
corrispondono alla morte dell'uomo, già intravista da Nietzsche con
la morte di Dio, e operano in un contesto linguistico divenuto teoria
generale del discorso.
Si
ha un rapporto diretto tra scomparsa dell'uomo e ritorno del
linguaggio, poiché l'uomo costituisce l'a priori storico della
cultura degli ultimi due secoli, ma la sua, altro non è, che
l'inserimento tra due modi di essere del linguaggio, quando il
linguaggio, dopo essersi dissolto nella rappresentazione, ha creduto
di potersene liberare frammentandosi. Una figura quella dell'uomo che
è destinata ad essere cancellata se andrà accentuandosi quella
rinascita del linguaggio di cui è testimonianza e promessa la
linguistica come una forma del tutto nuovo di decifrare le cose.
Jacques
Derrida (1930 – 2004) fu filosofo francese. Numerosissime sono
le sue opere. Tra di esse le più importanti sono: Della
grammatologia, del 1967; La scrittura e la differenza, del
1967; La voce e il fenomeno. Introduzione al problema del segno
nella fenomenologia di Husserl, del 1967; Margini della
Filosofia, del 1972; Posizioni, del 1972; La
disseminazione, del 1972; La verità in pittura, del 1978;
La cartolina postale. Da Socrate a Freud, del 1980; Dello
spirito. Heidegger e la questione, del 1987 e Spettri di Marx
del 1993.
Il
confronto con lo strutturalismo porta Derrida a ritenere che la
grammatologia, ossia la scienza della scrittura, sia lo
strumento per affrontare le difficoltà in cui si è impigliata da
secoli la filosofia.
L'opera
di De Saussure viene interpretata in una duplice maniera da Derrida,
che da un lato gli riconosce il merito di avere operato un nesso
inscindibile tra significante e significato, ma, al contempo, critica
il limite della distinzione tra signans
e signatum. Ed infatti, tale distinzione fa pensare al
signatum come ad un concetto dotato in se stesso di un proprio
significato nella sua semplice presenza al pensiero.
Inaccettabile
anche il privilegiare l'elemento fonetico del linguaggio rispetto
alla scrittura. Privilegio questo connesso e conseguente ad una lunga
tradizione del pensiero occidentale e al suo carattere logocentrico
che annovera studiosi quali Platone, Aristotele, Rousseau, Hegel,
Husserl. Tale privilegio dell'elemento fonetico del linguaggio
rispetto alla scrittura porta a considerare quest'ultima come un
qualcosa che sopravvive alla parola e che in qualche maniera la
occulta e sclerotizza. Tutto ciò ha portato ad una elusione della
scrittura dal campo della linguistica. Il nesso tra scrittura e
linguaggio fonetico è qualcosa di molto settoriale e vi sono,
inoltre, forme di scrittura diverse da quella fonetica. Questa
impostazione, però, porta ad un problema ben più radicale e in un
certo senso ontologico. Ed infatti, tale opposizione comporta
l'opposizione tra un interno e un esterno e la convinzione che
l'interno sia la verità come un dato, secondo uno schema analogo a
quello che per Heidegger è stata nella storia della metafisica la
riduzione dell'Essere all'ente nella sua presenzialità.
Questa
prospettiva deve essere del tutto rovesciata. Ciò nel senso di
ammettere come originaria una sorta di archistruttura che
mantiene dello strutturalismo la concezione del linguaggio come gioco
di differenze, ma esclude che queste differenze siano, per così
dire, piovute dal cielo.
Proprio
liberando la struttura da qualsiasi rigidità e considerando la
struttura soggetta ad un continuo processo di trasformazione è
possibile dare riconoscimento e sviluppo alle esigenze più legittime
dello strutturalismo stesso.
Per
comprendere meglio questa posizione bisogna riprendere il riferimento
polemico alla concezione della verità come presenza enunciata da
Heidegger.
Per
un certo verso Derrida accetta le istanze heideggeriane circa la
metafisica e la riduzione della verità alla rappresentazione
dell'ente come presenza. Per altro verso, però, radicalizza tale
critica per rivolgerla contro Heidegger stesso.
Con
la nozione di differenza ontologica e del suo oblio in Heidegger, a
parere di Derrida, rimane aperto uno spiraglio alla possibilità di
un rapporto con l'Essere come un qualcosa di sussistente in sé al di
là dell'ente, e, soprattutto, la concezione dell'opera d'arte come
accadere della verità in una certa misura legittima ancora la
concezione della verità come presenza. Da ciò anche la differenza
della decostruzione di Derrida dalla distruzione di Heidegger della
metafisica, a cui viene contrapposta. Il termine difference
non può esser tradotto adeguatamente nella nostra lingua, forse,
però, il concetto di differimento ne rende più aspetti.
Mentre
la difference indicherebbe solo la differenza tra due termini, il
termine difference è scelto per sottolineare che si tratta di
qualcosa di processuale e temporalizzante, dove ogni termine
acquisisce senso e sussiste solo in quanto tende a rinviare al da là
di se stesso.
In
tal senso nemmeno differimento rende bene l'idea, perché anche se
contiene in sé il concetto di una dislocazione temporale, può
essere interpretata come un atto più o meno arbitrario compiuto da
un soggetto estrinseco e presupposto.
In
realtà la difference qualifica intrinsecamente la scrittura
poiché essa altro non è che un mondo di tracce, ciascuna delle
quali a sua volta rinvia ad altre tracce, e non, come in una teologia
negativa, ad un sottofondo inattingibile e ineffabile. La posizione
di Derrida è qualificabile come testualismo (egli stesso ha detto
“niente fuori del testo”), poiché non condivide
l'illusione di un linguaggio nuovo o di un linguaggio perfetto, ma
opera nella convinzione che l'intero ambito del linguaggio nel suo
continuo differire o rinviare sia fonte inesauribile del processo
decostruttivo.
Quindi,
né metafisica e neppure superamento di essa, ma, piuttosto,
grammatologia, e cioè una pratica che mette in luce e decodifica le
componenti logocentriche sempre presenti nel linguaggio.