venerdì 22 novembre 2013

La valle dell'Indo


Nel 1856 l'ingegnere William Brenton, mentre stava costruendo una strada ferrata nell'India occidentale, ossia in Pakistan, trova dei tumuli polverosi, le rovine di una città da lungo tempo dimenticata. L'ingegnere utilizzò questi mattoni per innalzare la massicciata della ferrovia.

Nel 1920 alcuni archeologi rivisitarono la zona e scoprirono che quelle rovine appartenevano all'antica città di Harappa, fondata 4500 anni or sono. Si iniziò a studiare questa cultura, per molti versi consimile a quella dell'altra capitale, Mohenjo-Daro, 565 chilometri a sud del fiume Indo.

Questi due centri urbani erano al governo di una quarantina di cittadelle e villaggi, i cui abitanti condividevano la stessa unità di misura basata sul numero 16, costruivano case utilizzando lo stesso tipo di mattone, che veniva essiccato col fuoco e non con il Sole. Ciò induce a ritenere che un tempo la zona dovesse essere ricca di vegetazione e che avessero utilizzato una grande quantità di legno come combustibile per le fornaci da mattone.

Le città della Valle dell'Indo basavano la propria ricchezza sul commercio e sull'industria. Entrambe si svilupparono grazie ad un elevato sviluppo agricolo.

I coltivatori ottenevano dai terreni frumento per il pane, orzo, piselli e cotone che tessevano e tingevano con colori vivaci. Alla stessa maniera dei Sumeri, allevavano animali domestici per il cibo, per la lana e per il trasporto. Le pecore fornivano la lana per gli indumenti; maiali, pecore, capre e bovini il latte e la carne; zebù, bufali d'acqua, elefanti, asini e cammelli servivano come animali da soma.

Gli agricoltori trasportavano i prodotti mediante carri trainati da buoi. Questi, giunti nei mercati delle città, scambiavano le messi coi prodotti degli artigiani, davvero abili nella lavorazione dei metalli e delle pietre preziose. Essi ricavavano dal bronzo e dal rame rasoi, asce, armi, ornamenti come statuette di danzatrici e modellini di carri con il baldacchino. L'oro, l'argento, i lapislazzuli, l'ametista e l'agata servivano per fabbricare vasi, braccialetti, corone e collane.

Queste pietre e metalli erano il risultato di un vasto e sviluppato commercio che, mediante barche a vela e a remi, giungeva sino al Golfo Persico; e, mediante carovane di asini e cammelli, giungeva ad Ovest sino al Belucistan per il bitume e la steatite. Si giungeva anche al Nord sino all'Afganistan per l'argento e a Est sino al Ragiaputana per il piombo. Sono stati rinvenuti a Sumer sigilli di steatite dei mercanti della Valle dell'Indo. In parte, i prodotti di questo ampio commercio tornavano alle due capitali di Harappa e di Mohenjo-Daro. Entrambe le capitali erano collocate nei pressi del fiume e gli abitanti erano obbligati a costruire baluardi di fango ed argini per le alluvioni stagionali.

Le due città erano costruite in maniera molto simile: le strade principali, larghe anche nove metri, erano progettate secondo un disegno a graticola che divideva le città in zone rettangolari. Queste erano suddivise in angusti vicoli. Il tutto veniva a formare un quadrato, il cui asse era di circa un chilometro e mezzo. In entrambe le capitali si aveva un efficiente sistema fognario.

In molte case si avevano stanze da bagno e a Mohenjo-Daro si aveva un grande bagno in mattoni, forse la piscina del tempio, reso impermeabile con il bitume.

Nel 2000 a.C. circa le città vennero invase da popoli di altra razza, provenienti dal nord-ovest, che, su carri trainati da cavalli e armati di frecce di metallo, saccheggiarono e bruciarono le città dell'Indo. Questa cultura scomparve del tutto verso il 1200 a.C.

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