domenica 5 gennaio 2014

Roma repubblicana

La storia di Roma dal 241 al 146 a.C. è una storia di vittorie e di conquiste. Il possesso di nuove terre creò una serie di lotte interne, che, se da una parte arricchirono notevolmente chi già era ricco, dall'altra impoveriva sempre più la classe dei contadini. L'insoddisfazione di questi, in aggiunta ai complotti politici, causò la disgregazione della repubblica.
Nel 509 a.C., data della fondazione dell'Urbe, i Romani erano fondamentalmente dei contadini fortemente legati al loro fondo e alla collettività, che tutti servivano come soldati e alcuni come magistrati. Essi si sentivano orgogliosi di essere cives, ossia cittadini romani. La cittadinanza dava dei privilegi particolari, tra cui la protezione delle leggi e della religione romana. La legge doveva essere seguita alla lettera e verso di essa si aveva una tale venerazione che Tito Manlio, uno dei primi consoli, fece decapitarare il proprio figlio per averla trasgredita. Per quasi duecento anni dopo la fondazione della repubblica, il governo era stato in mano ai Patrizi, ossia ai discendenti delle famiglie più antiche e fondatrici della città. Gli altri cittadini, plebei, erano estranei alla politica. Ovviamente, però, anche loro chiesero di farne parte. Le dispute tra le due diverse fazioni, patrizi e plebei, durarono per circa due secoli e vennero condotte in maniera legale, senza il ricorso delle violenza. Per esempio, i plebei nominavano degli oratori, i tribuni, che facevano valere le loro istanze davanti al Senato. La disputa ebbe fine nel 287 a.C., quando il dittatore Quinto Ortensio emanò la lex hortensia, che stabiliva uguali diritti tra patrizi e peblei. In realtà, il conflitto era ben lungi dall'essere concluso. Ed infatti, pochi plebei potevano permettersi di esercitare il consolato o di accedere al Senato senza compenso alcuno. Di fatto, quindi, il potere rimase dei patrizi, che costituivano quasi tutto il Senato, che aveva il compito di sancire con l'approvazione o di annullare con il veto qualsiasi legge proposta dalle Assemblee del Popolo. Il patriziato coincideva coi ricchi proprietari terrieri, che divennero sempre più ricchi a spese dei poveri. L'aristocrazia, infatti, si era giovata delle guerre, come quelle puniche, che aveva procurato loro una grande quantità di manodopera a buon mercato. I prigionieri di guerra venivano fatti schiavi e vennero a sostituire la mano d'opera dei liberi cittadini. Inoltre, i feudatari si accaparravano la maggior parte dei piccoli poderi che erano stati saccheggiati da Annibale. Molti contadini furono costretti ad abbandonare l?Italia, altri a recarsi a Roma, alla ricerca – spesso infruttuosa – di un nuovo lavoro.
Nel 133 a.C. il tribuno Tiberio Cracco cercò di risolvere la grave situazione sequestrando certi terreni ai patrizi per dividerli ai bisognosi. Ovviamente ebbe l'odio dei grandi proprietari terrieri e venne assassinato. Stessa sorte toccò 10 anni dopo al fratello Caio, che aveva cercato, come il fratello, di porre rimedio a questo stato d'ingiustizia.
Il secolo successivo fu intriso di rivolte e guerre civili. Vari politici cercarono di conquistare il potere aizzando il proprio esercito contro gli oppositori politici, e non contro i nemici stranieri della repubblica. Nel 100 a.C. Mario, un generale divenuto politico, aiutò i poveri reclutandoli nel proprio esercito. Anche il rivale Silla fece la stessa cosa, ma utilizzò il proprio esercito per diventare dittatore e per ridare al Senato il suo antico potere. Ormai il potere della repubblica era nelle mani di coloro che possedevano l'esercito e nel 60 a.C. i generali Pompeo, Crasso e Giulio Cesare si riunirono in un triumvirato per dividersi il territorio romano. Dopo la morte di Crasso, avvenuta in oriente nelle guerre contro i Parti, iniziarono i dissapori tra Cesare e Pompeo. Cesare, valoroso generale, vincitore contro la Gallia e conquistatore dell'Inghilterra nel 54 a.C., marciò verso Roma con le sue legioni. Pompeo fuggì e Cesare rimase l'unico reggitore del mondo romano.

Le guerre di espansione ebbero dei rivolti negativi, in quanto furono motivo di squilibrio sociale, ma ebbero anche dei risvolti positivi. In particolare, permise ai Romani di entrare in contatto coi Greci, un popolo molto più raffinato e culturalmente più elevato. I Romani ne imitarono la letteratura, l'arte e l'architettura. Anche dopo la repubblica, il mondo greco con la sua cultura rimase un punto di riferimento imprescindibile. Nel frattempo, però, i poeti della Roma repubblicana Catullo e Lucrezio, e gli oratori, come Cicerone, avevano dato lustro al latino, che divenne una delle lingue più espressive del mondo. 

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