sabato 15 settembre 2012

Richard Rorty


Richard Rorty (1931 – 2007), autore di La filosofia e lo specchio della natura (1980) e Conseguenze del pragmatismo (1982), opera all'interno di un contesto filosofico fortemente influenzato dal secondo Derrida e dalla scuola di Yale. Da entrambi questi stimoli nasce una caratteristica riflessione americana che ha come suo massimo esponente Rorty, la cui formazione è il risultato della confluenza tra la scuola analitica di Oxford e il pragmatismo americano.
Rorty attribuisce alla posizione del secondo Derrida e della scuola di Yale il nome di “testualismo”. Con tale termine si esprime la convinzione ben precisa che l'intellettuale che pensa e scrive non dialoga mai con le cose, ma solo con in testi, e che, conseguentemente, le sue non sono mai riflessioni sul mondo, ma su testi scritti da altri.
Il testualismo, a parere di Rorty; si divide in due correnti principali. Esse sono:
  1. il testualismo debole, di cui il maggiore esponente è Gadamer, che, pur facendo consistere il pensiero nell'interpretazione dei testi, ritiene tuttavia che dietro di essi vi sia una verità, anche se questa rimane irraggiungibile nella sua interezza;
  2. il testualismo forte, di cui sono esemplari il secondo Derrida e la scuola di Yale, ha, invece, rinunciato al concetto di verità e intende tutta la realtà come una sorta di testi da interpretare, oltre che in maniera del tutto libera, senza dover rendere conto a nessuno della validità dell'interpretazione data.
Rorty ritiene da una parte che il testualismo debole sia incoerente, non riuscendo a portare sino in fondo le proprie istanze e dall'altra che il testualismo forte, interpretando il mondo come un insieme di testi, non sia altro che una stravaganza.
Le cose cambiano del tutto però se il testualismo viene utilizzato non per scoprire dei mondi, bensì per interpretarli. In tal caso, infatti, finisce di essere una stravaganza. Ciò perché i mondi non sono mai prodotti arbitrari, bensì entità valutabili in base alla loro funzionalità. In tale interpretazione del testualismo un ruolo importante lo riveste il vecchio pragmatismo.
Inoltre, Rorty prende in esame la frattura che si è venuta a creare e sempre più ad accentuare tra la filosofia tecnica e la vecchia filosofia di stampo tedesco.
La filosofia tecnica, da cui egli stesso proviene, comprende l'analisi del linguaggio, la semantica e la filosofia analitica. Tutte queste hanno rinunciato a priori ad un approccio creativo del discorso filosofico in vista del rigore dell'analisi.
La vecchi filosofia di stampo tedesco, invece, chiede alla filosofia la produzione di concetti non solo formali, ma di veri e propri discorsi sistemici, intellettualmente consistenti. Anche in questo caso il pragmatismo può essere un valido aiuto per sanare tale frattura.
Per Rorty la filosofia è sostanzialmente un “genere letterario” che deve essere sganciato da qualsiasi principio trascendentale o da qualsiasi presunto fondamento ontologico. La filosofia, in latri termini, non può garantire alcuna assolutezza o identificare la ragione con l'essenza.
Questa è una credenza che si è avuta a partire da Cartesio e che ha avuto in Kant il maggiore esponente. Il limite di questa convinzione non consiste solo nell'infondatezza della credenza stessa, ma, anche e soprattutto, nell'inutilità di essa. Ciò nel senso che il ritenere la filosofia un sapere oggettivamente fondante non ha avuto una funzionalità sociale, se non in maniera scarsa e comunque irrilevante. È stato solo una forma di culto praticato per alcuni secoli da un “isolato ordine sacerdotale”.
Per Rorty acquisisce maggiore senso rifarsi ai baconiani, che vedevano nella scienza una sorta di potere, oppure prendere sul serio le parole di Dewey, secondo cui per ridare al mondo il suo incanto, per ridare ciò che la religione dava ai nostri antenati, bisogna rimanere fedeli esclusivamente al concreto.
La ripresa del pragmatismo, in special modo di quello di Dewey, porta a tentare una “ingegneria sociale” in sostituzione della religione tradizionale. Il postmoderno, pertanto, viene dichiaratamente connesso al fatto che viviamo in un mondo secolarizzato in cui l'uomo ha preso coscienza del fatto di essere un essere finito, senza alcun legame con l'al di là.
Ciò non significa, per Rorty, affermare una sorta di relativismo o irrazionalismo. Si tratta, piuttosto, di ridimensionare i compiti affidati in maniera indebita alla ragione. Nel fare ciò bisogna tenere ben presente il legame della ragione con il linguaggio. Legame che deve instaurare una conversazione i cui criteri siano specificatamente pragmatistici, ossia temporanei punti fermi istituiti per finalità utilitarie, e cioè per scopi umani realizzabili.
Diviene chiaro, quindi, la peculiarità del neopragmatismo che, partendo dal presupposto che non esistano altri vincoli nell'indagine se non quelli discorsivi, vi scopre la base di un nuovo senso della comunità. Quest'ultima, infatti, ora può essere considerata realmente nostra, e non più della natura; e, pertanto, creata e non scoperta, ossia una delle tante edificate dagli uomini. Da Richard Rorty consegue che la forma di vita intellettuale europea non ha garanzie né di successo né epistemologiche né una meta perché è fine a se stessa. 

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