venerdì 14 settembre 2012

Hans Georg Gadamer


La critica effettuata da secondo Wittgenstein alla propria teoria del linguaggio come raffigurazione della realtà viene ripresa in maniera costante dalla filosofia del linguaggio per polemizzare contro tutte quelle dottrine fisicalistiche del linguaggio.
In maniera più specifica sono due le idee che vengono maggiormente riprese dalla suddetta autocritica wittgensteiana. Esse sono:
  1. al linguaggio non interessa accertarsi in maniera preventiva della verità o falsità dei suoi oggetti; anzi, possiamo affermare che al linguaggio rimane inessenziale una operazione di tal genere;
  2. al linguaggio, attraverso i suoi giochi e le sue regole, si deve la genesi dei predicati che utilizziamo per designare le cose. Conseguentemente, al linguaggio si deve la nascita dei nostri stessi concetti.
Queste due idee evidenziano due aspetti specifici del concetto di “verità” in ambito filosofico. Ed infatti, esse identificano da un lato il linguaggio con l'essenza dell'uomo come essere pensante, dall'altro, però, mettono in evidenza la finitezza dell'uomo stesso, in quanto essere incapace di possedere la verità, che, nonostante ciò, ritiene di non potere fare a meno di ricercare.
L'uomo, pertanto, non ricerca più la verità, ma una parte di essa. Conseguentemente, matura una concezione della verità come interpretazione linguistica di essa, ossia, utilizzando un termine greco, come ermeneutica.
In tal senso si era già mosso Heidegger con il suo continuo rinvio delle interpretazioni, per cui ogni spiegazione rinvia ad un'altra, e questa ad un'altra ancora secondo un processo all'infinito.
Ciò metteva in evidenza l'instabilità esistenziale dell'uomo. Instabilità che, configurandosi anche come dramma esistenziale, viene studiato dalla corrente filosofica dell'ermeneutica.
Fondatore dell'ermeneutica contemporanea è un discepolo di Heidegger, ossia Hans Georg Gadamer (1900 – 2002). Tra le sue opere principali abbiamo: Verità e metodo, del 1960; Piccoli scritti, del 1967 – 1977 e La ragione nell'età della scienza, del 1976.
Gadamer capovolge il senso dei “giochi linguistici” di Wittgenstein, in quanto per lui non è vero che i giochi linguistici siano usati dal giocatore, cioè il parlante, ma, al contrario, è il parlante ad essere un ingranaggio del gioco del linguaggio.
Ciò perché il parlante si trova sempre all'interno di una realtà linguistica a lui preesistente, ossia dinanzi ad una lingua ben precisa, a cui appartengono delle parole e tutta una serie di testi che in quella lingua sono stati scritti.
Diviene, quindi, essenziale il problema di costituire una linguaggio comune tra l'uomo e i testi che gli si impongono innanzi. Tale problema viene affrontato dall'ermeneutica, che si occupa di studiare il metodo per interpretare nella corretta maniera i prodotti già esistenti e il senso di essi.
L'ermeneutica per Gadamer deve focalizzare la propria attenzione non solo su ciò che è scritto, ma, anche e soprattutto, sul nondetto, che spesso e volentieri è più importante di ciò che è esplicitato.
L'interpretante, a sua volta, interroga il testo in maniera non del tutto “libera”, ma con una precomprensione condizionante del testo. Tale autocomprensione è, a sua volta, condizionata dal testo su di noi.
Tutto ciò costituisce il cosiddetto circolo ermeneutico, e cioè le parti di un testo possono essere comprese in maniera corretta solo mediante una precomprensione preventiva del testo considerato nella sua totalità. Al contempo, però, non può essere compresa la sua totalità se non attraverso una corretta comprensione delle sue parti.
Per tale motivo si inizia da un approccio imperfetto, che possiamo definire di compromesso, e che è appunto la già detta precomprensione del testo. In realtà il testo e il suo interprete sono come due orizzonti, che dovrebbero fondersi insieme, ma che, non riuscendo a farlo, evidenziano la finitezza dell'uomo ed i limiti della sua conoscenza.
Il concetto di verità di Gadamer assume un significato del tutto particolare. La verità, infatti, si genera dall'integrazione da parte di due mondi (la realtà e l'interprete, ossia il testo e l'interprete). Tale integrazione è perseguibile perché si ha una qualche armonia di base tra le due strutture. Nonostante ciò, però, l'integrazione tra i due può essere soltanto parziale, e, comunque, mai definitiva. La formazione dei concetti nella mente dell'uomo, quindi, sono il prodotto dell'impossibilità di una comprensione totale del mondo. Incomprensione che costringe l'uomo a ripiegare su tutti quei frammenti di comprensione, che sono appunto i concetti.
Gadamer polemizza, inoltre, contro la presunzione da parte della scienza di giungere a conoscenze stabili. Tale presunzione ha la sua massima espressione nel concetto stesso di metodo. Per Gadamer con il termine metodo si intende uno strumento attraverso cui un soggetto pretende di disporre a suo piacimento un oggetto. La scienza sbaglia perché scambia tale metodo con la verità. Ed infatti, la verità non è mai un possesso dell'oggetto, ma un perenne ed incessante processo di domanda e risposta fra l'interprete e il mondo.

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