sabato 8 settembre 2012

L'antropologia culturale


L'antropologia culturale, a differenza di quella filosofica, si basa sulle “ricerche sul campo”, ossia su una serie di indagini dirette sulle popolazioni prese in esame.
Franz Boas (1858 – 1942), antropologo ed etnologo tedesco, fu autore de La mente dell'uomo primitivo, del 1911; di Arte primitiva, del 1927; di Antropologia e vita moderna, del 1928 e della raccolta Razza, linguaggio e cultura, del 1940.
Boas intende superare sia la dottrina evoluzionistica che diffusionista. Egli, infatti, si fa assertore di una sorta di “relativismo culturale”, ossia di una concezione intesa a cogliere ciò che caratterizza ogni singola cultura.
Boas respinge qualsiasi metodologia astratta ed afferma la presenza di elementi autonomi nello sviluppo di certe popolazioni. Ovviamente in una cultura si possono avere la presenza e l'effetto di relazioni con popolazioni più o meno vicine.
In maniera generale, però, è insostenibile il principio evoluzionistico “unilineare” secondo cui si ha in una civiltà il passaggio dal semplice al complesso. Ed infatti, come dimostra sia il linguaggio che la struttura della vita familiare, spesso i fenomeni culturali dei popoli primitivi presentano caratteri assai più complessi che non nei popoli ad alto livello di civiltà.
Si può, semmai, dire che il processo sia inverso, ossia dal complesso al semplice.
Alla stessa maniera, non si può in alcun modo concludere che che esista un'unica linea di sviluppo per tutte le culture sulla base di semplici parallelismi. Inoltre, le condizioni geografiche ed economiche possono sì influire lo sviluppo di una certa cultura, ma non possono essere in alcun modo intese come dei principi deterministici secondo cui l'evolversi di una società avviene in maniera rigida, secondo leggi di causa effetto.
Alfred Kroeber (1878 – 1960), antropologo ed etnologo statunitense, fu autore di Antropologia, del 1923; del Manuale degli indiani della California, del 1925; de La natura della cultura, del 1952 e di Antropologia oggi, del 1953.
Kroeber definisce la specificità della cultura non solo rispetto al comportamento animale, ma anche rispetto a quello personale e sociale dell'uomo stesso. Nel fare ciò si inserisce all'interno del dibattito dello storicismo tedesco inerente il problema delle scienze storico – sociali e dei valori culturali.
Per Kroeber persona, società e cultura sono tre livelli di comportamento di complessità diversa, nessuno dei quali è riducibile all'altro e rispetto ai quali non ha molto senso chiedersi la genesi o la causalità.
La specificità della cultura consiste nel fatto che essa condiziona il comportamento dell'uomo, anche quello biologico, sin dall'inizio della sua esistenza. Ora, mentre nelle scienze naturali è possibile risalire dagli elementi semplici a quelli più complessi; nel caso della cultura questa metodologia risulta impossibile. Ciò perché si ha a che fare con “relazioni totali”, entro le quali hanno particolare importanza i valori nel loro carattere sovrapersonale e collettivo.
Infine, la cultura si ha soltanto nell'uomo in quanto i rapporti vengono regolati dal linguaggio e dalla capacità di simbolizzazione. Si possono, invece, avere delle società, come quelle degli insetti, che, però, mancano di cultura.
Bronislaw Malinowski (1884 – 1942), antropologo ed etnologo polacco, fu autore de Gli argonauti del Pacifico occidentale, del 1922; de La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord – occidentale, del 1929, di Magia, scienza e religione, del 1925; di Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, del 1927 e di Teoria scientifica della cultura, del 1944.
Egli fu uno dei maggiori esponenti del cosiddetto “funzionalismo”.
Alla base di questa dottrina si ha non solo un rifiuto dell'evoluzionismo e del diffusionismo, ma anche di qualsiasi spiegazione dei fenomeni culturali basata su metafore organicistiche, così come di qualsiasi concetto di “forma” come elemento su cui basare giudizi di affinità o di differenza tra le diverse culture.
Per Malinowski, nello studio della cultura, è importante non tanto l' “identità della forma”, bensì la “diversità della funzione”.
Ciò significa che, ad esempio, non è importante ritrovare tra le diverse culture un oggetto simile (ad esempio un bastone), bensì la funzione o l'impiego che ricopre in ognuno di essa, che può essere rituale, agricola, di caccia, ecc.
Nello studio delle funzioni bisogna, inoltre, risalire ai bisogni a cui devono rispondere. Nel fare ciò si deve procedere con un metodo rigoroso, e cioè operando una distinzione tra gli imperativi fondamentali di un bisogno necessario (ad esempio la nutrizione, la riproduzione della specie, ecc.) e gli imperativi che derivano dalle modalità culturali di soddisfarli (basta pensare, ad esempio, al diverso modo di cucinare un cibo o di fare sesso. Modalità che vanno al di là della necessità biologica di nutrirsi o di riprodursi).
Si tratta, pertanto, di capire come i bisogni primari di una comunità vengano soddisfatti in modi indiretti. Modi indiretti che, a loro volta, impongono nuove condizioni e nuove bisogni. Da questi derivano i cosiddetti imperativi “strumentali” della cultura, come l'organizzazione economica, il diritto e l'educazione.
Ciò non significa che si possa istituire una connessione e corrispondenza univoca e rigida tra istituzioni e bisogni.
Bisogna, inoltre, evitare di operare una rigida differenziazione tra uomini “primitivi” e “civilizzati”, come se i primi obbedissero solamente ad una mentalità meramente magica, quando, invece, i selvaggi si comportano in maniera perfettamente logico – sperimentale nell'ambito di quelle operazioni dove le loro conoscenze e le loro tecniche sono adeguate, mentre si affidano a pratiche magiche là dove non giungono con la loro conoscenza.

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