giovedì 7 giugno 2012

La rivoluzione scientifica del Seicento. Newton


Dalla pubblicazione del De revolutionibus orbium caelestium di Copernico (1543) alla comparsa dei Philosophiae naturalis principia matematica (1687) intercorrono soltanto 150 anni. Questo periodo è segnato da una totale trasformazione del sapere scientifico, con l’abbattimento della concezione aristotelica che aveva interessato l’occidente per circa 2000 anni. Cambia, quindi, la visione della fisica, che non utilizza più le proprie energie per la ricerca di essenze e sostanze. Nasce, pertanto, una nuova metodologia epistemologica che si configura come scienza sperimentale che assume come oggetto di studio i fenomeni e come strumento privilegiato di conoscenza l’esperienza.
Questa nuova scienza trova il suo valore nella certezza che l’esperienza offre, e la sua utilità nell’esser capace di descrivere quel mondo di fenomeni con il quale gli uomini sono realmente in rapporto. Ciò significa che allo studioso non interessa l’essenza o natura del fuoco, bensì il comportamento di esso rispetto ad altri fenomeni. In altri termini, si capisce chiaramente che è inutile definire il moto come l’atto dell’ente in potenza in quanto è in potenza (come affermavano gli aristotelici, mentre è utile stabilire le leggi dei corpi in movimento.
Il nuovo strumento di conoscenza della scienza è l'esperienza, la quale deve legarsi alla matematica.
L’aristotelismo rifiutava la possibilità di costruire una fisica matematica perché si riteneva che la matematica avesse per oggetto di studio soltanto enti astratti. La fisica, invece, per gli aristotelici si occupa esclusivamente di cose reali. Pertanto, vi era una radicale eterogeneità tra l’una e l’altra. Invece per la nuova scienza del Seicento la matematica costituisce la struttura stessa della realtà: i corpi si presentano come figure geometriche, lo spazio come lo spazio geometrico euclideo; il moto dei corpi come semplice processo di traslazione da un punto all’altro dello spazio senza nessun cambiamento qualitativo. Così concepiti i corpi e il movimento sono misurabili e riconducibili entro rapporti matematico-geometrici. La matematizzazione della realtà esclude lo studio delle qualità e riduce tutto al misurabile, cioè al movimento. Inoltre si rompe con la fisica aristotelica e, tutto il mondo, celeste e terrestre, viene ricondotto alle medesime leggi, senza più differenza di materia e di fenomeni.
L’opera di Newton può considerarsi il momento conclusivo della rivoluzione scientifica del seicento; essa definisce con il massimo rigore matematico e la più attenta verifica sperimentale quella fisica che si è soliti chiamare fisica classica. Essa decade in alcuni suoi capisaldi solo con la teoria della relatività di Einstein e la teoria dei quanti.
Il capolavoro di Newton prende il titolo di Principi matematici della filosofia naturale. L’opera muove da otto definizioni e da tre assiomi (le famose leggi del moto) e si sviluppa secondo un metodo matematico-deduttivo che permette di costruire una fisica matematico-meccanicistico. Nella prefazione dei Principi Newton precisa il compito che si è prefisso: la riduzione dei fenomeni della natura a leggi matematiche secondo i principi della meccanica razionale. Newton pone come oggetto della sua meccanica le forze naturali: scopo dunque della sua trattazione sarà “investigare le forze della natura a partire dai fenomeni del moto e dopo nel dimostrare i restanti fenomeni a partire da queste forze”. A fondamento della grande sintesi di Newton stanno le leggi del moto; la prima e fondamentale di queste è il principio di inerzia: “ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non sia costretto da forze impresse a mutare quello stato”. Il principio di inerzia comporta che i corpi vengano considerati come corpi geometrici (nella fisica di Newton ai corpi fisici si sostituisce una massa geometrica puntiforme) collocati in uno spazio astratto, lo spazio della geometria euclidea. Il principio di inerzia costituisce quindi il presupposto fondamentale per una completa geometrizzazione della natura, per costruire una fisica rigorosamente matematica. Newton accoglie l’atomismo antico, cioè la concezione corpuscolare della materia, rifiuta l’identificazione cartesiana di materia e estensione e accoglie il vuoto come spazio assoluto in cui i corpi si muovono. Contro l’opinione comune che concepisce lo spazio in rapporto ai corpi sensibili, Newton asserisce l’esistenza dello spazio assoluto, senza che esso ha relazione con alcunché di esteso, sempre uguale ed immobile; inoltre concepisce il tempo come assoluto, vero, matematico, considerato in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno. Tempo e spazio sono due realtà autonome rispetto ai corpi, esistono per se stessi. Newton, coerente al proprio metodo, nel terzo libro dei Principi fa derivare la forza di gravità dei fenomeni celesti dalle proposizioni matematiche dimostrate nei primi due libri. Per cui la forza di gravità è la forza che fa sì che i corpi siano attratti o respinti o che comunque tendono verso un punto come verso un centro. Questa forza è la stessa sia nel caso della caduta dei gravi verso il centro della terra, sia nel caso del moto dei pianeti intorno al Sole. Tutti i corpi infatti, una volta in movimento, tendono a proseguire secondo un moto rettilineo uniforme, per cui l’ellittica orbitale si spiega con la forza centripeta o gravitazionale che con tante rette lo tende al centro. La scoperta della forza di gravita porta Newton a formulare il principio della gravitazione universale: due corpi si attraggono con forza direttamente proporzionale alla quantità di materia (o massa) di ciascuno di essi e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. La legge di gravitazione universale viene quindi a costituire lo schema interpretativo di tutto l’universo: si ha l’unificazione tra spazio celeste e spazio terrestre in uno spazio vuoto e infinito in cui i corpi si muovono secondo le stesse leggi. Il procedimento di studio della realtà di Newton è un procedimento analitico, che riesce a comprendere dai fenomeni i principi generali, passando dalle cose composte alle semplici, dagli effetti alle cause e dalle cause particolari alle cause generali fino a pervenire alle cause generalissime. Questo procedimento analitico deve precedere il procedimento sintetico che consiste nell’assumere come principi le cause ritrovate e provate e mediante queste spiegare i fenomeni che ne derivano provando tali spiegazioni. Tale metodo è riassunto nell’Ottica e nelle Regulae philosophandi, premessa del terzo libro dei Principi. Il metodo newtoniano trova applicazione anche negli studi di ottica che porteranno alla stesura di una Memoriae e dell’Ottica. Componendo il raggio di luce con un prisma, Newton dimostra che la luce consiste di raggi diversamente rifrangibili, per cui dalla misura dell’angolo di rifrangibilità scopre che ad ogni angolo corrisponde un colore della luce, e che tale colore della luce corrisponde sempre al medesimo angolo. La luce quindi non è bianca, ma nasce dall’unione di colori semplici come rosso, giallo, verde, blu, violetto insieme ad arancione e una infinità di variazioni intermedie. Per Newton lo spazio e il tempo assoluti sono effetti emanativi di Dio, forme della presenza di Dio nel cosmo. Ma mentre Dio è eterno e infinito come lo spazio e il tempo assoluti, l’esistenza delle cose create è circoscritta in un tempo e in uno spazio determinati. Ma poiché il tempo e lo spazio assoluti sono effetti emanativi di Dio Newton potrà dire che Dio è sempre e ovunque.

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