sabato 22 marzo 2025

Il mondo delle idee



La comprensione del mondo delle idee platoniche non è certamente cosa semplice e chiara. In questo post cercherò di chiarirne i punti essenziali e porre in evidenza una mia interpretazione, o, meglio ancora, una riflessione a riguardo.

Il mondo delle idee non è un altro luogo o una sorta di paradiso, similmente alla concezione salvifica cristiana. A mio parere, il mondo delle idee è una sorta di struttura mentale, che tutti noi abbiamo e che ci permette di conoscere le cose mediante una forma di intuizione. In altre parole, riusciamo a cogliere la quiddità (o l'essere) perché riusciamo a "spogliarla" di tutto ciò che è un sovrappiù. Questa capacità è innata in ogni anima e, solo in tal senso, si può dire che Platone sia un assertore dell'innatismo. Non lo è certamente nel senso comune, ovvero nell'affermazione che tutti noi abbiamo delle conoscenze innate che possediamo sin dalla nascita e che, mediante l'esperienza, riportiamo progressivamente al ricordo in un processo continuo e faticoso.

Quindi, il mondo delle idee non è un altro mondo, ma un modo di pensare innato e comune a tutti, che per Platone conferma la natura divina dell'anima. Ho molto riflettuto su questo punto e sono giunto a una conclusione: l'anima ha, per Platone, qualcosa in comune con il cosmo e ne riflette la struttura. In quanto "specchio" del reale, può, se ben esercitata, conoscere la realtà nella sua interezza. E infatti, l'uomo è capace di matematica, e quest'ultima è per Platone l'essenza stessa della realtà. Platone era un pitagorico e, a tal prova, la sua Accademia era organizzata come la scuola di Pitagora. La dottrina della dualità anima-corpo è essenziale nello sviluppo della speculazione platonica e in tutta la sua riflessione, rimanendo un punto saldo del suo sistema. Quindi, per il filosofo, l'uomo intuisce la matematica (il codice essenziale del cosmo) perché in lui c'è qualcosa di divino ed eterno. Da questa natura divina dell'uomo deriva la base e la certezza della conoscenza. Il mondo delle idee è il mondo dell'uomo, che nel conoscere si avvicina alla divinità e al vero, poiché intuisce la struttura essenziale dell'universo. Solo l'uomo può fare questo, perché solo lui è in comunione con il divino.  Così tanto in comunione da essere specchio di esso ed intuizione della verità. 

Affermare che, dopo la morte, l'anima ritorni nel mondo delle idee significa, per Platone, dire che l'anima si ricongiunge a quel mondo divino strutturale dove tutto è intuito, svelato, detto, conosciuto e chiarito. Significa, in altre parole, tornare in una totale comunione con l'essenza cosmica e disperdersi in essa, nella sua luce. Rimane tuttavia la nostra individualità, che, se non è del tutto pura, ci costringe a tornare nel mondo sensibile mediante reincarnazione. Il mondo sensibile è copia dell'Iperuranio; ma anche qui bisogna stare attenti a cosa si intende con questo termine. L'Iperuranio non è un luogo, bensì il mondo intellegibile, l'essenza e la struttura di tutto ciò che esiste (e in tal senso l'unico vero "luogo" di conoscenza). La nascita è sempre una morte, poiché è un distacco dal luogo più bello: il pensiero strutturato in essenze (appunto le idee), che rimangono stabili nella loro perfezione e nella bellezza della luce irradiata dall'idea del Bene. Quella di Platone è, a mio parere, una visione bellissima, che il nostro ateniese comunica mediante i miti, metafore, esempi e paragoni. Non poteva fare altrimenti, perché l'argomento era troppo complesso per essere compreso da tutti i lettori del tempo.

Infine, l'anima si reincarna sino a quando non sarà del tutto pura, poiché la purificazione è l'unico modo per rimanere in quella dimensione (che dimensione non è) da cui ogni cosa ha origine.

All'anima viene richiesta di necessità la totale ed assoluta purezza perché quel mondo essenziale è semplicità, chiarezza; e un'anima gravata dal peccato "sporca" ciò che è perfetto chiarore di luce.

Platone (ormai è cosa certa e risaputa) non mise per iscritto molte delle sue dottrine. Probabilmente, o quasi certamente, quelle ritenute più importanti. Io credo che non abbia messo per iscritto quelle che riteneva segrete, ossia quelle che erano il risultato di una combinazione tra ricerca, visione, intuizione e studio. Ora, per Platone, la filosofia aveva una finalità quasi esclusivamente politica. La filosofia era un farmaco per risolvere i mali del suo tempo: una sorta di medicina rigenerante, che, combattendo la relatività sofistica, poteva dare delle certezze, sulle quali era possibile redigere leggi giuste. In un'epoca di crisi, la conoscenza come reminiscenza rappresentava un modo per fondare quei valori ormai in declino. Platone, come Socrate, riteneva la parola più importante dello scritto. In tal senso, basta leggere il mito di Theuth o Thamus. Eppure, Platone, per farsi intendere meglio dai lettori, usa esempi, paragoni, metafore, miti e una sintassi elegante, pulita, curata (potrei dire accattivante). Che senso ha tutta questa cura e preoccupazione nella scrittura, se l'oralità è considerata la forma migliore di ricerca della conoscenza? Secondo me, ci sono due Platone diversi. Con diversi non intendo contrastanti o contraddittori, ma sicuramente non sovrapponibili. La scrittura, per Platone, ha un mero valore educativo e deve assolvere proprio a questa funzione: educare i lettori e insegnare il bene (la virtù) secondo la dottrina praticata da Socrate.

La virtù può essere insegnata; e allora Platone pensa: "educhiamo le masse. Cerchiamo di avvicinarle alla verità. Facciamolo, almeno, in un modo che permetta loro di capirla". In altre parole, Platone, negli scritti, sacrifica la verità alla divulgazione; il vero alla "formazione" delle masse, ossia dei lettori. È una questione di priorità e di importanza. Il filosofo si chiede se sia più importante scrivere il vero, rischiando di non essere compreso, oppure cercare un linguaggio comprensibile a tutti per raggiungere la mente di ciascuno. Nel fare ciò, ha "abbassato" le sue dottrine, rendendole più accattivanti e fruibili. Il suo ragionamento fu quello di ritenere molto più importante dare delle risposte al popolo ateniese del suo tempo in crisi, piuttosto che renderlo sapiente nella totalità del vero. Ripeto, è una questione di priorità.

All'interno delle mura dell'Accademia, invece, Platone, insieme ai propri discepoli, ricerca la verità e lo fa senza l'utilizzo di esempi, miti o metafore. La verità è cercata attraverso il dialogo, il confronto, la disputa, ma anche mediante esercizi spirituali, ascesi e visione. Una verità difficile da spiegare a coloro che sono al di fuori delle mura della scuola. Una verità che è illuminazione, oltre che conoscenza e comprensione. Una verità che non contraddice i libri di Platone, ma che si esplica nello stesso rapporto che lega il mondo ideale a quello sensibile. I libri di Platone sono una copia imperfetta e impoverita della vera essenza del pensiero non scritto del grande filosofo.


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