Dopo la morte di
Socrate vennero fondate delle scuole da parte di alcuni dei suoi
discepoli. La storiografia filosofica li definisce “scuole
socratiche minori” per differenziarle dall'indirizzo di Platone, e
cioè dello scolaro più importante di Socrate.
Le
scuole socratiche sviluppano alcuni aspetti del pensiero del maestro,
che in parte venne modificato per rispondere alle esigenze del tempo.
Tutte, però, cercano di fondare un'etica universalmente valida;
dando soluzione, quindi, alla questione principale della speculazione
di Socrate.
La nascita delle
scuole socratiche è da cercare nelle questioni politiche di Atene
nel V secolo a.C. La città era governata da un partito democratico
di stampo conservatore. A capo di esso si aveva Trasibulo, nemico di
Socrate, perché quest'ultimo era stato amico (oltre che amante) di
Alcibiade, che si era fatto fama di patteggiare per Sparta e di avere
tradito Atene.
Trasibulo intendeva
riportare in auge i valori prefissati da Pericle. Si intendeva,
infatti, restaurare gli antichi ideali, i principi morali e i costumi
tradizionali, fondati sulla religione ufficiale. In realtà, i tempi
erano profondamente cambiati, e i giovani prestavano attenzione alle
lezioni dei sofisti, che criticavano e polemizzavano contro ogni
principio o verità che si basasse sulla tradizione o sulla
religione. In questo contesto si inseriva anche Socrate, che, con la
sua maieutica e con il suo perenne dialogo, poneva in discussione
ogni principio considerato certo. A tale ragione, venne ritenuto un
nemico pubblico. Con l'accusa di empietà e di corrompere i giovani
per sedurli alla falsità, venne condannato a morte.
In
realtà furono i rapporti che Socrate ebbe con Alcibiade e Crizia a
procurargli la diffidenza dei nuovi governatori; e sebbene sia
Alcibiade che Crizia fossero morti, i democratici non si sentivano
tranquilli finché non veniva eliminato colui che era considerato il
loro ispiratore e che godeva ancora di grande credito presso
l'opinione pubblica ateniese.
Molti
discepoli di Socrate temettero per la propria vita. Decisero, quindi,
di allontanarsi da Atene e di trasferirsi in altre città. Qui
fondarono le proprie scuole e partirono dalla convinzione che la
politica, ormai, si fosse totalmente discostata dalla filosofia. Per
tal motivo, saggio era colui che viveva al di fuori della società e
che si ritirava in se steso. Il filosofo, inoltre, doveva studiare ed
approfondire la questione etica. Ciò al fine di giungere a delle
soluzioni che permettano al singolo individuo di risolvere i propri
problemi esistenziali.
La
scuola Megarica
La scuola di Megara
venne fondata da Euclide di Megara (450 a.C – 365 a.C), allievo di
Zenone di Elea e di Socrate. Euclide, afferma Platone, fu testimone
oculare della morte del maestro.
Tra gli esponenti
più importanti della scuola di Megara abbiamo Eubulide di Mileto
(450 a.C. - 380 a.C.), Stilpone di Megara e Diodoro Crono. Essi
operarono nella metà del IV secolo a.C. e concentrarono le proprie
ricerche sulla logica. A tale ragione vennero considerati gli eredi
della dialettica di Zenone di Elea e chiamati i “nuovi eleati”.
In
logica i megarici operarono degli studi che chiariscono che ad uno
stesso soggetto non possono essere riferiti più attributi (negazione
della predicazione) e che uno stesso predicato non può essere
riferito a molteplici soggetti (negazione della generalità dei
predicati). Ciò significa che il giudizio, inteso come unione di un
predicato con un soggetto, può essere posto solo come identità.
Quindi, possiamo effettuare solo affermazioni di identità. Ad
esempio, possiamo dire che “coraggio è coraggio”, “bene è
bene”, ecc. Ciò risponde ai postulati parmenidei, secondo cui
l'essere coincide solo con se stesso.
Stilpone di Megara
polemizza contro il giudizio aristotelico, affermante che di un
soggetto si può predicare un qualsiasi termine. A tal riguardo
Stilpone ritiene che:
“ Se
predichiamo il correre di un cavallo, egli dice che il predicato non
è identico al soggetto di cui si predica; l'essere del cavallo
differisce infatti dall'essere del correre, perché se siamo
richiesti della definizione dell'uno e dell'altro, non diamo la
stessa risposta. Così anche la definizione dell'essenza necessaria
di un uomo è diversa da quella di buono. Donde deriva che sbagliano
quelli che predicano i due termini uno dell'altro; se sono identici
infatti il buono e l'essere uomo, il correre e l'essere cavallo, come
potremo predicare il buono anche del cibo e della medicina e il
correre del leone e del cane? Ma se sono diversi non è corretto dire
che l'uomo è buono e il cavallo corre.” Plutarco, Contro Colote,
23, 1120a.
Euclide di Mileto
confutava le dimostrazioni partendo dal presupposto che le
conclusioni sono sempre incerte. Alla stessa maniera, anche i
ragionamenti comparativi non assumono statuto di certezza. Ed
infatti, se dico che una cosa è simile ad un'altra, è meglio
osservare la cosa stessa, e non l'oggetto ritenuto simile; se,
invece, sono oggetti diversi, allora l'accostamento tra di essi
risulta superfluo.
Euclide connette la
filosofia di Zenone di Elea con la morale. Da tale unione si ricava
che l'essere e il bene coincidono. Entrambi, infatti, sono eterni,
immutabili e incorruttibili. Il Bene di Euclide, denominato in
molteplici maniere, e cioè come dio, saggezza, intelletto, sapienza,
ecc. coincide con l'Essere parmenideo.
A
chiarimento di ciò che abbiamo detto riportiamo la testimonianza di
Diogene Laerzio, che, in Vita
dei filosofi,
scrive:
“Euclide
diceva che uno è il bene, chiamato con molti nomi: a volte saggezza,
a volte dio, altre volte intelletto e in altri modi ancora. Egli
eliminava ciò che è opposto al bene, dicendo che è non essere.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, II, pag. 106.”
Il saggio, il
filosofo, quindi, non può cogliere il bene nel quotidiano. Deve,
pertanto, allontanarsi da ogni desiderio e da ogni passione, per
giungere all'apatia.
La
morale della scuola di Megara coincide per molti versi con quella dei
Cinici e sarà di ispirazione per quella stoica. A tal riguardo,
basta ricordare che Zenone di Cizio fu allievo di Stilpone.
La
scuola cinica
La
scuola cinica venne fondata da Antistene. Egli aveva conosciuto
Socrate in età avanzata e da giovane era stato discepolo del sofista
Gorgia. Antistene fu autore di un'opera dal titolo Sulla
liberta e la schiavitù.
Il nome di scuola
cinica ha una doppia valenza. Ed infatti, da una parte è dato dal
fatto che la scuola venne fondata in un antico ginnasio e santuario
di Atene, situato in una zona periferica, dal nome Cinosarge (il cane
agile), che accoglieva ogni genere di persone, compresi schiavi,
prostitute, stranieri ed illegittimi. Dall'altra parte, invece,
indicava il nome con cui venivano chiamati in maniera dispregiativa
dagli altri filosofi. I cinici, infatti, venivano criticati per il
loro comportamento libero e irrispettoso di qualsiasi regola del buon
vivere sociale. Gli stessi cinici affermavano di vivere come i cani,
e cioè in maniera semplice e naturale, senza ricercare alcuna cosa e
alcun bene materiale.
Il saggio, quindi,
doveva vivere seguendo la ragione. Ciò al fine, non solo di non
sottostare alle passioni, ma anche di poterle controllare. Inoltre,
doveva avere dominio di sé e doveva bastare a se stesso.
Antistene
polemizzava contro lo stile di vita cittadino e criticava tutti
coloro che credevano nelle disparità sociali e razziali e che
approvavano la schiavitù. Per tali motivi, veniva accusato di
frequentare chiunque, anche i delinquenti ed i malvagi. Egli
rispondeva che anche i medici stanno con i malati, ma non per questo
si ammalano essi stessi.
L'esponente cinico
più conosciuto è Diogene di Sinope. Questi fu l'unico che riuscì a
farsi accettare come allievo dal maestro Antistene.
Diogene ebbe molti
seguaci. I più importanti furono Onesicrito, Monimo, Cratete di Tebe
con la moglie Ipparca e il cognato Metrocle.
In seguito, si
ebbero Menedemo e Menippo di Gadara. Questi, insieme a Bione di
Boristene, Talete e Cercida, fece assurgere a genere letterario vero
e proprio le diatribe date dalle discussioni etiche effettuate con
toni sarcastici, satirici, impetuosi ed aspri.
La
scuola cirenaica
La scuola di Cirene
venne fondata dal discepolo di Socrate Aristippo. Questi si recò a
Corinto e a Siracusa. Qui conobbe quasi certamente Platone. Aristippo
morì nel 355 a.C. e gli succedette alla guida della scuola la figlia
Arete e il figlio di lei Aristippo Metrodidatta. Quest'ultimo definì
la dottrina ufficiale della scuola ed elaborò la dottrina
dell'edonismo, attribuita al nonno.
Per gli esponenti
della scuola di Cirene alla base dell'agire umano si hanno le
sensazioni e le passioni. Aristippo, come il maestro Socrate,
riteneva che la matematica e la fisica non potessero elaborare
conoscenze certe. L'unico sapere sicuro che l'uomo può sviluppare è
quello della condotta morale. Ora, mentre per Socrate, essa
coincideva con la virtù, per i cirenaici coincideva con il piacere
corporeo. Quest'ultimo veniva inteso come movimento calmo e dolce,
che si contrapponeva a quello aspro e violento dato dal dolore.
Bisognava, quindi, comportarsi come Aristippo, che si adeguava con
“[…]
disinvoltura a luogo, a tempo, a persona e recitava il suo ruolo
convenientemente in ogni circostanza. Perciò più degli altri godeva
del favore di Dionisio, poiché riusciva sempre a rendere accettabile
ogni situazione. Godeva il piacere dei beni presenti, ma rinunziava
ad affaticarsi per il godimento di beni non presenti. Fu per questo
che Diogene lo chiamava cane (o cinico) regale”.
Diogene
Laerzio, Vite
dei Filosofi,
II, pag. 66,
Ciò
non significa affermare che tutti i piaceri portino al bene. Per
Aristippo, infatti, bisogna godere solo di quei piaceri che la
ragione reputa idonei. Inoltre, è sempre meglio astenersi dai
piaceri, dominarli e non lasciarsi prendere e vincere da essi.
I cirenaici, infine,
rifiutavano qualsiasi forma di partecipazione politica. Per loro, la
gestione della cosa pubblica era causa di turbamento e di dolore.
Inoltre, non intendevano legarsi ad alcuna nazione, in quanto si
ritenevano cittadini del mondo.
Da ricordare è il
cirenaico Anniceri, che, oltre ad avere elaborato una raffinata
dottrina etica, riscattò Platone dalla schiavitù.
Altro
esponente di rilievo fu Egesia. Anche lui sviluppa una concezione
etica edonistica. Questa, però, si distingue da quella di Aristippo.
Ed infatti, Egesia non ricercava il piacere, ma piuttosto l'assenza
di dolore, e cioè l'insensibilità, l'imperturbabilità e la
tranquillità interiore perfetta ed assoluta. Una concezione di
difficilissima realizzazione nel quotidiano e che culminava, per tale
motivo, con il suicidio. Egesia passò alla storia come il persuasore
di morte e scrisse un trattato dal titolo
Sul suicidio mediante il digiuno.
Infine, da
menzionare è Teodoro. Questi si predicava ateo e, oltre a negare
l'esistenza degli dei, polemizzava contro qualsiasi tipo di valore
tradizionale, anche l'amicizia e l'amore verso la propria patria.
Inoltre, Teodoro legittimava l'adulterio, il furto, il sacrilegio.
Essi, infatti, per la loro costituzione naturale, non erano sempre da
condannare.
La
scuola eliaco-eretriaca
Bisogna ricordare
anche la scuola socratica minore fondata da Menedemo di Eretria.
Egli, oltre che filosofo, fu scrittore conosciuto di drammi a
carattere satirico e di tragedie. Fu un maestro nell'arte
dell'eristica e si diede anche alla politica.
Scarse sono le
notizie su di lui. Sappiamo con certezza che proveniva dall'Eretria e
che visse tra il 339 a.C. e il 265 a.C. Fu discepolo di Fedone di
Elide. Alla morte di questi si trasferì in Eretria e qui, insieme
all'amico Asclepiade di Fliunte, fondò una nuova scuola filosofica.
Le poche testimonianze su Menedemo di Eretria ci provengono da
Plutarco, da Diogene Laerzio, da Cicerone e da Simplicio.
Venne sospettato di
tradimento politico in favore della Macedonia e, costretto a fuggire,
si recò alla corte di Antigono Gonata. Qui morì nella disperazione.
Il nucleo centrale
del suo pensiero afferma che il bene coincide con l'unico essere di
stampo eleatico e in etica riprende sostanzialmente il pensiero
stoico.