Aristotele è uno dei filosofi più importanti dell'intera storia della filosofia occidentale, tanto da influenzarne l'intero cammino e da essere stato il punto fondamentale della ricerca scientifica e filosofica sino al XVII sec. d.C. Dante Alighieri, nel quarto canto dell'inferno, lo definisce "maestro di color che sanno" e lo colloca nel castello degli spiriti magni (insieme ad Empedocle, Democrito, Socrate e Platone, ecc). Aristotele si trova tra i nobili di pensiero. In un posto che Alighieri riserva a coloro che si sono distinti per una vita eccellente e che vanno separati dal resto degli uomini del Limbo.
Aristotele nasce nel 384 a.C a Stagira, una pólis della penisola Calcidica. Era un greco a tutti gli effetti, in quanto Stagira era una colonia di Andro, alleata di Atene. Il padre Nicomaco era medico di re Aminta III, nonno di Alessandro Magno. Rimase orfano in giovane età e venne mandato nella città di Atarneo, in Asia Minore, dallo zio Prosseno, estimatore ed amico di Platone. A diciotto anni venne mandato ad Atene per studiare all'Accademia platonica. Siamo nell'anno 367 a.C. e Platone si trova per la seconda volta in Sicilia, a Siracusa. Alla direzione della scuola si ha Eudosso di Cnido, filosofo e matematico, etnologo e botanico. Con Eudosso di Cnido, Aristotele approfondisce lo studio degli animali, dando grande spazio alla sua indole scientifica e mostrando di prediligere la ricerca empirica a quella "celeste". In quanto straniero era un meteco, ovvero uno straniero libero che risiedeva stabilmente ad Atene con alcuni obblighi e divieti: non può partecipare alla vita politica, doveva essere rappresentato legalmente da un ateniese e doveva pagare alcune tasse.
Al contrario di Platone, la filosofia di Aristotele non ha scopi politici e nasce da una incessante meraviglia che lo porta a praticare una vita di ricerca disinteressata. Una ricerca, quindi, fine a sé stessa e conseguente ad una vera e propria scelta di vita.
Aristotele rimane nell'Accademia sino alla morte del maestro nel 347. Il primo incontro tra Platone ed Aristotele si ha solo nel 364 a.C., ossia quando il filosofo rientra dal secondo viaggio in Sicilia. All'interno della scuola Aristotele fu allievo ed insegnante ed ebbe sempre grande rispetto del maestro, tanto da scrivere nell'Elegia a Eudemo le seguenti parole: "l'uomo che ai cattivi non è lecito neppure lodare, che solo o primo tra i mortali dimostrò chiaramente con l'esempio della sua vita e col rigore delle argomentazioni che buono e felice ad un tempo l'uomo diviene. A tale altezza nessuno è ormai più capace di giungere".
La critica di Aristotele verso il pensiero del suo maestro non deve essere interpretato come una sorta di ingratitudine o di rinnegazione della formazione avuta, ma piuttosto come un cammino diverso nella ricerca della verità. Un cammino fatto da medesime domande a cui vengono date delle risposte diverse. Aristotele stesso ci testimonia che la sua indipendenza intellettuale non è ingratitudine quando nell'Etica Nicomachea scrive:" l'amicizia e la verità sono entrambe care, ma è cosa santa onorare di più la verità". In altre parole, la verità deve essere ricercata nella massima libertà e al di là della formazione ricevuta. Nell'antichità spesso si è interpretato l'atteggiamento di Aristotele come quello di un ingrato. Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi scrive che lo stagirita e' simile a quei puledri che "prendono a calci la madre che li generò".
Nel 347 Aristotele lascia l'Accademia perché ad Atene si diffonde un'atmosfera ostile ai macedoni in seguito alla distruzione di Olinto (alleata di Atene) per mano di Filippo II di Macedonia, figlio di Aminta III. Torna ad Atarneo e sposa la nipote e figlia adottiva di Ermia, governante della città e suo amico. Rimane vedovo e si sposa una Erpillide, donna originaria di stagira, da cui avrà dei figli, uno dei quali di nome Nicomaco, a cui Aristotele dedicherà la sua Etica Nicomachea.
Nel 347 a.C. ad Asso, territorio sotto il controllo di Ermia, Aristotele insieme ai due amici Erasto e Corisco, e ad un allievo di Platone, Tirtamo, fonda una comunità platonica. Con Tirtamo (uomo dalle grandi capacità oratorie, tanto da essere soprannominato Teofrasto, e cioè "divino parlatore" ) il nostro filosofo si lega a sincera e duratura amicizia.
Nel 344, dopo tre anni, Aristotele con Teofrasto si trasferisce a Militene e anche qui fondano una scuola di indirizzo naturalistico. I due studiosi si dedicano alla ricerca mediante l'osservazione e la raccolta dei dati. Si fa strada un nuovo metodo che "rinnega" la formazione platonica, ridando dignità all'esperienza, alle conoscenze derivanti dai sensi e al mondo terreno.
Viene chiamato nel 342 a.C. a Pella da Filippo Ii e diviene maestro di Alessandro Magno, al tempo quattordicenne.
Torna dopo tredici anni ad Atene e nel 335 a.C. fonda la sua scuola, il Liceo, così chiamato perché sorgeva in un luogo dedicato ad Apollo Licio. La scuola venne chiamata anche Perìpato (passeggio), perché all'interno si aveva anche un colonnato ed un giardino, dove Aristotele con gli allievi passeggiava mentre faceva lezione. Qui intrattiene normalmente lezione insieme ai scolari più anziani, e cioè Eudemo di Rodi e Teofrasto.
La scuola veniva finanziata da Alessandro Magno, che nel 323 a.C. muore per una febbre.
Aristotele viene malvisto per i suoi rapporti con Alessandro e viene accusato di empietà. Decide di fuggire con tutta la famiglia per evitare che gli ateniesi "peccassero una seconda volta contro la filosofia". Muore a Calcide nel 322 a.C. per una malattia allo stomaco.
Di Aristotele ci sono due diverse tipologie di opere:
1) gli scritti acroamatici (destinati agli scolari) o esoterici ( dottrine segrete) e sono gli appunti delle lezioni del filosofo;
2) gli scritti essoterici (rivolti al pubblico), elaborati in forma dialogica come Platone e ad imitazione del maestro. Di questi ci sono rimasti solo pochi frammenti.
Sino al I sec. A.C. si conoscevano principalmente gli scritti essoterici. Le cose cambiarono quando, ci dice lo storico greco Strabòne, lo scolarca del liceo Andronico di Rodi trovò l'intero gruppo degli scritti esoterici casualmente nella cantina di una casa appartenente ai discendenti di Neleo. Quest'ultimo li aveva ereditati da Teofrasto, successore alla direzione della scuola dopo la morte di Aristotele.
Le opere essoteriche sono fortemente influenzate dal maestro Platone e non rivestono una grande importanza in filosofia. A tale ragione scomparvero e ci sono rimasti solo i titoli e qualche frammento. Ricordiamo solo l'esortazione alla filosofia scritta nell'opera il "Protrettico", dove Aristotele afferma: "O si deve filosofare o non si deve: ma per decidere di non filosofare è pur sempre necessario filosofare; dunque in ogni caso filosofare è necessario".
Anche i titoli di questo gruppo di opere ricordano le opere platoniche: Simposio, Sofista, Menesseno, Eudemo o Dell'anima (ad imitazione del Fedone), il già citato Protrettico (simile all'Eutidemo), il Grillo o Della retorica (sulla scia del Gorgia).
Le opere esoteriche (pervenute nella loro interezza) sono raggruppati per argomenti e sono:
le Categorie (opera suddivisa in dieci libri), Sull'interpretazione (un trattato a carattere grammaticale), Analitici (scritto comprendente due libri), Topici (opera divisa in otto libri); queste opere costituiscono il complesso degli scritti di logica, che prende il nome di Organo. Opere acromatiche sono la Fisica (divisa in otto libri), vari scritti di zoologia, di cui il più noto è quello intitolato Storia degli animali (comprendente dieci libri), alcuni scritti riguardanti le questioni celesti, Sull'anima (un trattato di psicologia diviso in tre libri), Parva naturalia (un complesso costituito da sette scritti sulla sensazione, sulla memoria, sul sonno, sulla veglia, sui sogni, sulle età della vita), la Metafisica (suddivisa in tredici libri; l'opera presenta questo titolo, in quanto è stata composta dopo gli scritti di fisica ed è ritenuta la più importante di tutta la speculazione aristotelica; inoltre presenta all'inizio, il primo sommario di storia della filosofia), le tre opere etiche, ovvero Etica Eudemia, Grande etica ed Etica Nicomachea (in dieci libri), la Politica (in otto libri), la Retorica (in tre libri) e la Poetica (in due libri, di cui solo il primo è superstite).
Infine, per completezza, riportiamo il testamento di Aristotele:
«Andrà senz'altro bene, ma qualora capitasse qualcosa, Aristotele ha steso le seguenti disposizioni: tutore di tutti, sotto ogni aspetto, dev'essere Antipatro; però, Aristomene, Timarco, Ipparco, Diotele e Teofrasto, se è possibile, si prendano cura dei figli, di Eroillide [la sua convivente] e delle cose da me lasciate, fino all'arrivo di Nicanore. E al momento giusto, mia figlia [Piziade] sia data in sposa a Nicanore [...] Se invece Teofrasto vorrà prendersi cura di mia figlia, allora sia padrone lui [...]
I tutori e Nicanore, ricordandosi di me, si prendano cura anche di Erpillide, sotto ogni aspetto e anche se vorrà risposarsi, in modo che non sia data in sposa indegnamente, visto che è stata premurosa con me. In particolare, le vengano dati, oltre a quello che ha già ottenuto, anche un talento d'argento e tre schiave, quelle che vuole, la schiava che già ha e lo schiavo Pirro. E se vorrà abitare a Calcide, le sia data la casa per gli ospiti vicino al giardino; se invece vorrà stare a Stagira, le sia data la mia casa paterna [...]
Sia libera Ambracide e le si diano, alle nozze di mia figlia, cinquecento dracme e la giovane serva che già possiede [...] Sia liberato Ticone quando mia figlia si dovesse sposare, e così anche Filone, Olimpione e il suo ragazzino. Non vendano nessuno dei giovani schiavi che attualmente mi servono, ma siano impiegati; una volta dell'età giusta, siano liberati, se lo meritano [...]
Ovunque sia costruita la mia tomba, là siano portate e deposte le ossa di Piziade, come lei stessa ordinò; dedichino poi anche da parte di Nicanore, se sarà ancora vivo - come ho pregato a suo favore - statue di pietra alte quattro cubiti a Zeus Salvatore e ad Atena Salvatrice a Stagira.»
(Diogene Laerzio, Vite, V, 11-16.)